Stati Generali dell’Economia Circolare: il futuro è d’obbligo

Dalle difficoltà normative agli esempi virtuosi, ecco come Italia ed Europa stanno affrontando la sfida epocale verso l’economia circolare. Un percorso indispensabile per gli obiettivi di sostenibilità che richiede più investimenti e attenzione dal mondo politico
Stati Generali dell'Economia circolare a Mce 2022

Il tema dell’economia circolare ha trovato il suo spazio in occasione di MCE – Mostra Convegno Expocomfort. L’evento “Gli Stati Generali: circular economy, circular city” è stato infatti occasione per parlare della situazione italiana di questo importante e necessario viaggio. Dalle difficoltà normative agli esempi virtuosi, fino ai risvolti virtuosi della non linearità, tanti gli interventi di esperti del settore e di rappresentanti istituzionali.

Il concetto, nel suo senso più pieno, non è sicuramente facile da applicare e forse nemmeno da definire. Ha provato a mettere ordine nella materia Silvia Grandi, direttore generale Economia Circolare del Ministero della Transizione Ecologia (MiTe). “Il ciclo della materia e il ciclo dell’energia in questo momento si incontrano. L’economia circolare è una parola che, pur entrata da pochi anni nelle policy europee, ha avuto un grande successo – ha detto -. Oggi è parte integrante del Green Deal ed è centrale per le politiche pubbliche che coniugano i grandi temi della sostenibilità. Non solo curando l’ambiente e l’integrità degli ecosistemi, ma anche l’aspetto sociale”. Si tratta dunque di una straordinaria opportunità per creare nuovi posti di lavoro ad alto valore aggiunto e di inclusione. Risale a poche settimane fa l’adozione, con decreto del MiTe, di una vera e propria strategia per l’economia circolare. Una delle riforme previste dal Pnrr che si fonda sul percorso avviato dal Ministero dell’Ambiente nel 2017.

Circular economy a Mce 2022: il convegno sugli stati generali

La strategia italiana parla di Ecodesign

L’Italia sui tassi di circolarità più famosi, come per esempio la carta, ha degli indicatori estremamente alti e quindi gioca un ruolo di leadership, anche se non così percepito e riconosciuto. “Anche nella capacità di progettazione – ha aggiunto Grandi -. Qui, una delle parole chiave della strategia è ecodesign: progettazione in ottica di sostenibilità e minimizzazione del rifiuto. Penso che questo sia il migliore dei contributi, i cui effetti si vedranno un po’ più sul lungo periodo rispetto, ma senz’altro quello più trasformativo. Ecodesign, ovvero lavorare su riusabilità e riparabilità, significa mettere a sistema anche principi a favore del consumatore, portando a un’economia circolare trainata da due grandi processi: quello di produzione quello del consumo”.

Altrettanto importanti, il viaggio verso la decarbonizzazione, che rafforza il ruolo delle rinnovabili, e la necessità di porre più attenzione alla materia che compone i prodotti. Questo per evitare di andare a estrarre risorse in modo non sostenibile. In questo contesto, le città diventano una sorta di miniera: il cosiddetto “urban mining” diventa una nuova frontiera, dove bisogna valorizzare i rifiuti da apparecchiature elettroniche ed elettriche (Raee). Recuperare in questo modo materia prima serve sia ridurre l’estrazione sia a controllare meglio gli equilibri geopolitici.

Economia circolare vista dall’Europa

La visione europea è arrivata agli Stati Generali dell’Economia Circolare da Isabella Tovaglieri, deputata al Parlamento Europeo nonché membro della Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre). “Sicuramente l’economia circolare è un caposaldo della transizione ecologica – ha detto -. I dati ci dicono che l’economia circolare è l’unica risposta efficace per usare in modo efficiente i materiali, ridurre lo spreco di risorse e diminuire gli scarti. Questi ultimi, entro il 2050 sono destinati ad aumentare del 70%. Così come è destinato a raddoppiare nei prossimi quarant’anni l’utilizzo dei materiali”.

Transizione ecologica ed economia circolare

Per l’europarlamentare italiana è necessario identificare nuove soluzioni per migliorare la produzione e incrementare riuso e riciclo. “Sono indispensabili sistemi produttivi industriali virtuosi, perché da essi dipende l’80% dell’impatto ambientale dei prodotti – ha sostenuto -. È una strada sicuramente da adottare come modello di sviluppo dei sistemi urbani di nuova generazione. Qui, infatti, vive la maggior parte della popolazione mondiale e si producono l’80% del Pil e il 70% delle emissioni di CO2”. Come siamo messi oggi? In Italia abbiamo tante best practice, che spesso rimangono episodi isolati. Un esempio è l’innovativo impianto di Truccazzano, che estrae la cellulosa dai fanghi derivanti dalle acque reflue per riutilizzarla nei settori della plastica o dell’edilizia per la produzione dell’asfalto stradale. Un progetto da emulare e da mettere a sistema.

3 conseguenze economiche della svolta green

Agli Stati Generali dell’Economia Circolare di MCE 2022 sono emerse anche le difficoltà. Lo ha ben evidenziato l’economista Alessandro Giraudo, che ha spiegato come sia possibile analizzare il passato per capire il futuro. Nella condizione odierna stiamo riscoprendo delle vecchie relazioni economiche merceologiche fra vari prodotti, nonché il ruolo geopolitico delle materie prime. La strada della transizione ecologica che abbiamo scelto porta infatti con sé almeno 3 conseguenze.

Sostenibilità delle materie prime

La prima riguarda i metalli, come il rame o il neodimio, oggi utilizzati molto più che in passato. La loro estrazione non è indolore: queste produzioni sono molto inquinanti e tossiche per chi ci lavora. Per questo si era lasciato il compito a Paesi come la Cina, che ne gestisce percentuali globali tra l’80 e il 90%. Una stretta su questo fronte sta creando il primo problema.

Capitali mancanti

La seconda conseguenza di questa scelta è sui capitali. “Sono necessarie quantità infinite di denaro per realizzare nuove ricerche e studi per ottimizzare queste produzioni – ha aggiunto Giraudo -. Molte banche sono scettiche nel finanziamento perché queste operazioni presentano rischi estremamente elevati”. Il grosso rischio è quello di non avere un sufficiente portafoglio per andare avanti in questa direzione.

Aumento dei prezzi

C’è poi il terzo elemento. I prezzi saliranno perché l’offerta non segue meccanicamente la domanda. Il relatore ha sottolineato che per aprire una nuova miniera – dalla decisione di investimento alla sua apertura – passano almeno 10 o 15 anni. Nel caso del petrolio siamo a 7/8 anni e la stessa cosa vale per il gas.

Materie prime: problema nel reperimento e nei costi dei metalli

Come affrontarle con azioni immediate

Sa a questo aggiungiamo che le scelte compiute oggi in termini di sanzioni rischiano di rivelarsi un vero e proprio boomerang, non c’è tempo da perdere. Basta guardare alle grandi crisi del passato: il passaggio dal bronzo al ferro nel 1200 a.C. causato dall’interruzione dei flussi di stagno; la mancanza di legname tra il 1600 e il 1700 per la necessità di bruciare lignite per la fusione del ferro, per costruire galeoni e per riscaldarsi in quella che viene definita la “piccola éra glaciale”; la crisi petrolifera degli anni ’70.

Le cose da fare sono chiare. “Primo, bisogna realizzare un enorme volume di investimenti per cercare nuovi metalli, ottimizzarne l’utilizzo e ridurne il contenuto in ogni prodotto che produciamo – ha detto Giraudo -. Secondo, dobbiamo impegnarci nel lavoro essenziale di riciclaggio e recupero. Terzo, dobbiamo ridurre gli sprechi”. Secondo le statistiche dell’Istituto nazionale di Ricerca Agronomica (INRA) francese, il 30% della produzione mondiale di materie prime agricole viene buttato. Mentre un altro 30% viene sprecato a livello di consumi. L’industria ricicla 700 milioni di tonnellate di materiale, che vanno dalla carta al vetro, dalla plastica ai metalli. In denaro, tutto questo vale 900 miliardi di dollari, ovvero l’1% del Pil mondiale. Ci sono previsioni che parlano di 1.500 miliardi entro il 2030, ma questo è ancora molto poco.

Circular economy: un ecosistema ancora da creare

Un quadro in chiaro-scuro è emerso dalla relazione di Davide Chiaroni, dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano. Parlando economia circolare nel settore delle costruzioni, l’esperto ha svelato qualche dato dell’Osservatorio Circular Economy. L’indagine dice che tra le imprese intervistate il 63% ha già adottato pratiche di economia circolare. Il 21% dichiara invece di non avere ancora fatto nulla, ma di essere sulla strada per attrezzarsi. Gli “scettici” sarebbero solo il 16%.

Quando però si chiede alle aziende a che punto si trovano nel processo di evoluzione in una scala da 1 a 5, la media si ferma a 2,2. “Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, questo significa che c’è la consapevolezza che questo percorso di transizione è lungo e costoso – ha spiegato Chiaroni -. Il punto dolente è che il 75% di chi ha adottato pratiche di economia circolare dice di avere fatto ‘design for environment’. Ovvero di aver progettato i propri prodotti in modo da minimizzarne l’impatto ambientale. E al secondo posto (58%) viene il ‘design for recycling’. È vero che sono pratiche di economia circolare, ma nessuna delle due sta veramente rispondendo al problema di risparmiare i materiali”.

Le pratiche di riutilizzo e reimpiego sono invece molto meno diffuse, rispettivamente al 25% e all’8%. Del resto, più ci si sposta verso sistemi di ricostituzione di rilavorazione, più bisogna preoccuparsi della logistica di ritorno. “Abbiamo disegnato i prodotti perché possono essere avviati all’economia circolare – ha aggiunto -. Ma ci manca ancora il pezzo di filiera, di processo, di ecosistema per arrivarci. In estrema sintesi, è cresciuta la sensibilità nel mondo del settore delle costruzioni verso l’adozione di pratiche di economia circolare, ma ci siamo fermati alla pratica di design. Dobbiamo agire di più sugli ecosistemi”. Per farlo si devono muovere la politica e il settore pubblico con i suoi investimenti.

Installazione pannelli fv: esempio di comunità energetiche

Da borghi a comunità energetiche

A Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club, il compito di mettere l’accento sulle comunità energetiche, che anche in Italia stanno cominciando a crescere. “Queste hanno molto a che vedere con l’oggetto di questa fiera e del lavoro che si fa nell’edilizia nella rigenerazione urbana – ha spiegato -. Le comunità energetiche sono l’idea che le amministrazioni locali, i cittadini e le imprese si mettano insieme per scambiarsi l’energia elettrica che producono, che produrrebbero o che produrranno attraverso fonti rinnovabili”.

Il grande cambiamento rispetto al passato passa dalle modifiche delle nostre abitudini e dei nostri stili di vita. “Tutti siamo stati abituati alle tariffe biorarie che incentivavano l’utilizzo degli elettrodomestici nei momenti di calo della domanda. Con le comunità energetiche funziona esattamente al contrario. Saremo stimolati a utilizzare l’energia elettrica nel momento in cui viene prodotta, a meno che non si ricorra anche a sistemi di accumulo. Nel Pnrr una parte di risorse è stata indirizzata a questo settore, con oltre due miliardi di euro per realizzare le comunità energetiche nei piccoli comuni italiani”. Per sostenerne questa “fetta” di economia circolare, Kyoto Club, Legambiente e Azzero CO2 hanno lanciato la campagna BeComE. Un’iniziativa rivolta ai comuni con l’obiettivo di spiegare i vantaggi di una scelta di questo tipo. Alla base, l’idea che quelli che sono oggi “semplici” borghi possano diventare comunità energetiche capaci di sviluppare sul loro territorio impianti rinnovabili.

3 esempi concreti di economia circolare in Italia

Ferrante ha poi evidenziato il fatto se da un lato la politica non brilla per la sua presenza su questi temi, dall’altra parte c’è invece un sistema di imprese che sembra pronto a raccogliere questa sfida. In occasione di questo evento a MCE sono stati portati 3 esempi concreti che coinvolgono aziende, smart city e cittadini.

Riutilizzo del calore nell’industria

Il primo è quello del gruppo bresciano Feralpi, che produce acciaio per l’edilizia ed è uno dei leader europei di questo mercato. Maurizio Fusato, responsabile Transizione Ecologica ed Energetica Feralpi Group, ha raccontato di come il calore in eccesso estratto dalle sue acciaierie possa essere riutilizzato.

Portando tre esempi:

  • nell’impianto produttivo di Calvisano il calore in esubero delle torri evaporative viene sfruttato per scaldare le vasche di un allevamento di storioni;
  • in Germania viene utilizzato per generare vapore che viene poi venduto ad altre industrie;
  • a Lonato del Garda è stato realizzato un progetto di teleriscaldamento in collaborazione con Engie.

Il ruolo dei consorzi di recupero

Il secondo è quello dei consorzi di recupero Cobat. Una piattaforma di servizi per l’economia circolare che gestisce oltre 170.000 tonnellate di prodotti giunti a fine vita. Parliamo di pile e accumulatori (Cobat RIPA), apparecchiature elettriche ed elettroniche (Cobat Raee), pneumatici (Cobat Tyre) e fibra di vetro e carbonio (Cobat Compositi). “Da una parte c’è la voglia di fare degli imprenditori – ha spiegato l’amministratore delegato Michele Zilla -. Ma dall’altra manca l’attore politico che deve intervenire. A livello europeo, nel 2025 sarà obbligatoria la raccolta differenziata dei prodotti tessili, che in Italia è stata anticipata al 2022, ma non ci sono ancora le norme”.

I consorzi recuperano materiale, ma il riciclo non è mai il primo passo che precede la produzione di un nuovo prodotto. È  solo un anello della catena, perché spesso il materiale ho bisogno di ulteriore raffinazione. Bisogna quindi che la politica faccia la sua parte per aiutare gli imprenditori interessati offrendogli finanziamenti per sviluppare queste attività.

Le pompe di calore contribuiscono all'economia circolare grazie al recupero del calore di scarto

Circular economy dalle pompe di calore

Il terzo esempio arriva invece dall’EHPA, l’associazione europea dei produttori di pompe di calore. Questi sistemi, largamente utilizzati negli impianti di condizionamento e riscaldamento presentano una caratteristica importante. Quando raffreddano producono calore di scarto, quando riscaldano producono anche freddo. L’attenzione verso questa tecnologia sta quindi crescendo, perché si cominciano a studiare le modalità di utilizzo del freddo e del caldo generati dalla pompa di calore. Su piccola scala si pensa di riutilizzare il calore prodotto dai condizionatori per riscaldare l’acqua e il freddo proveniente dai riscaldatori per raffreddare le produzioni. Si tratta di studi ancora nella fase iniziale. Anche se a Berlino Siemens ha realizzato proprio nelle scorse settimane un progetto pilota per riscaldare un intero quartiere grazie a questo meccanismo.

Thomas Novak, segretario di EHPA ha però presentato l’idea di insediamenti urbani in cui il prodotto di scarto delle pompe di calore viene convogliato in tubature comuni a livello stradale. Questo al fine di fornire a case e imprese il caldo o il freddo di cui hanno bisogno. Siamo già oltre l’idea, visto che nella città svedese di Lund il gruppo E-On ha già realizzato il Medicon Village. Qui è attivo un progetto a livello prototipale che collega 15 edifici, fornisce 10 GWh di energia riscaldante e 4 GWh di energia raffreddante.

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Paolo Galvani

Nato nel 1964, è giornalista professionista dal 1990 e si occupa di tecnologia dalla fine degli Anni ’80, prima come giornalista poi anche come traduttore specializzato. A luglio 2019 ha lanciato il blog seimetri.it, dedicato alla vita in camper, e collabora con diverse testate giornalistiche specializzate nel settore del turismo all’aria aperta.
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