Tecnologie smart city per transizione ecologica ed economia circolare

Il digitale aiuta il sostenibile, e viceversa: come la strategia del PNRR unisce transizione energetica, tecnologie smart city ed etica circolare ridisegnando gli ambienti urbani
Tecnologie smart city, tra transizione ecologica e PNRR

Che ruolo hanno le tecnologie smart city negli obiettivi ambientali della transizione ecologica e del PNRR? Perché il futuro delle città intelligenti dipende (molto) dalla sostenibilità che si riesce a ottenere? I centri urbani sono il cuore pulsante del cambiamento verso nuovi modelli socio-economici. Il motivo è principalmente statistico: il 78% dei cittadini europei vive nelle città e l’85% del Pil globale viene da queste aree. La rivoluzione green & digital, dunque, non può che partire da qui: dall’efficientamento degli edifici, dei trasporti, dell’industria e dei servizi alle persone.

C’è anche un dato economico, confermato dall’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano. Nel 2020, in piena pandemia, il mercato italiano della smart city valeva 560 milioni di euro, in crescita dell’8% sull’anno precedente. Oggi, le risorse del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) aprono una nuova stagione di questo percorso, dove le città si fanno epicentro della transizione ecologica e leva di ripartenza per l’intero sistema Paese.

Cosa significa transizione ecologica

Il termine transizione ecologica sottende l’idea di un passaggio da un sistema produttivo ed economico intensivo a un modello fondato sulla sostenibilità ambientale, sociale e finanziaria. Gli obiettivi che la maggior parte delle nazioni si è data per questo cambiamento epocale risalgono all’Accordo di Parigi del 2015. I firmatari si sono impegnati in quest’ambito a contenere l’aumento della temperatura media del pianeta a 1,5 °C per rallentare gli effetti dei cambiamenti climatici. L’Unione Europea, del resto, ha più volte dimostrato l’intenzione di giocare un ruolo chiave in questa partita, attraverso strumenti e strategie ben definite. Si va dal Green Deal al pacchetto Fit to 55%, fino alla Renewable Energy Directive, spingendo verso il Net Zero by 2050 (azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050).

La proposta Ue per la transizione ecologica si articola nelle seguenti direttrici:

  • economia circolare e bioeconomia;
  • ripristino della biodiversità degli ecosistemi;
  • azzeramento dell’inquinamento e neutralità climatica.

A disposizione di aziende e amministrazioni pubbliche, stanziamenti pari a mille miliardi di euro nell’arco del prossimo decennio.

PNRR e transizione ecologica: il ruolo delle rinnovabili è importante

Tecnologie smart city, sostenibilità e PNRR

In accordo con gli obiettivi dell’Unione europea, il Governo italiano ha approvato ormai un anno fa il PNRR. Il documento nasce all’interno del programma Next Generation EU per la ripresa post pandemia, che impone agli stati membri di destinare il 37% dei fondi contemplati dai rispettivi piani nazionali a progetti di transizione ecologica. Quest’ultima, a sua volta, dovrà essere supportata da una transizione digitale, che occupa il 20% delle risorse del PNRR.

Le sei missioni del PNRR

In particolare, il percorso della ripresa italiana si snoda lungo 6 aree di intervento, definite missioni:

  • innovazione, digitalizzazione, competitività, cultura e turismo;
  • rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • istruzione e ricerca;
  • inclusione e coesione;
  • salute.

Alla seconda voce, quella della transizione verde, sono dedicati 68,9 miliardi di euro sui 210 miliardi totali.

Il peso della rivoluzione verde

“Intervenire per ridurre le emissioni inquinanti, prevenire e contrastare il dissesto del territorio, minimizzare l’impatto delle attività produttive sull’ambiente è necessario per migliorare la qualità della vita e la sicurezza ambientale – si legge nel PNRR -. Oltre che per lasciare un Paese più verde e un’economia più sostenibile alle generazioni future”.

Come passare dalle parole ai fatti? Trattandosi di soldi in arrivo dall’Ue, il PNRR ha dovuto esplicitare con precisione i capitoli della spesa green. La Missione 2 (M2) inerente la “Rivoluzione verde e transizione ecologica” comprende: interventi per agricoltura sostenibile e gestione dei rifiuti; programmi di ricerca per le rinnovabili; investimenti per lo sviluppo delle filiere industriali della transizione ecologica e sostegno alla mobilità sostenibile. Altrettanto importante, l’efficientamento degli edifici pubblici e del parco immobiliare privato.

Focus sulle rinnovabili

All’interno della M2 spicca soprattutto il tema dell’energia pulita. La Componente “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e transizione energetica e mobilità sostenibile”, vede uno stanziamento di oltre 23 miliardi di euro per accelerare la decarbonizzazione italiana. Il tutto attraverso l’aumento della quota di produzione di energia da fonti rinnovabili, il potenziamento delle infrastrutture di rete e la promozione dell’idrogeno.

Sull’energia green, serve soprattutto sviluppare nuovi impianti (anche off-shore) e “riaccendere” quelli esistenti. Ma il PNRR punta anche alla diffusione delle comunità energetiche e dell’autoconsumo collettivo, accompagnati dalle smart grid e dalla contestuale ottimizzazione infrastrutturale della rete.

Economia circolare: a che punto siamo

Le città intelligenti e la transizione green sono sempre più spesso associate a un terzo aspetto dello sviluppo sostenibile: l’economia circolare. Intesa come uso condiviso, attitudine alla cura, riutilizzo e manutenzione. Ovvero recupero, conservazione, riduzione degli sprechi, estensione del ciclo di vita dei prodotti e remanufacturing. Come tradurre tutto questo nel contesto economico italiano?

Economia circolare: la sua importanza e i problemi del PNRR

Non fermiamoci ai rifiuti

Parlare di circular economy significa definire una strategia di filiera. Questo perché il riciclo dei materiali a fine vita (valorizzazione energetica compresa) è solo la parte finale di un modello di crescita rigenerativa da rifondare. Dove conta soprattutto favorire una visione trasversale che interconnetta tutti i player coinvolti verso un nuovo paradigma industriale e sociale.

Insomma, bisogna mantenere i prodotti il più a lungo possibile nel circuito attraverso l’estensione della loro vita. La svolta si avrà solo quando le tante “R” dell’economia circolare, in primis i concetti di riuso e rilavorazione, prenderanno il sopravvento negli investimenti sostenibili, scardinando i sistemi di economia lineare. Perché andare in questa direzione? Il problema riguarda soprattutto la scarsità delle risorse del pianeta, l’incompatibilità tra crescita della domanda di beni e servizi e capacità di soddisfarla e, certamente, l’incontrollabile produzione di rifiuti.

L’economia circolare del PNRR non basta

Al di là del cambiamento “culturale”, il potenziale dell’economia circolare in Italia è grande. Secondo il Circular Economy Report 2021 dell’Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano, 1 azienda su 2 sta guardando concretamente a questo tipo di investimento, mentre cala la percentuale dei totalmente diffidenti. Crescono gli imprenditori interessati a pratiche manageriali circolari ma c’è ancora confusione metodologica e strategica sugli ambiti di intervento.

La questione è anche di tipo istituzionale: il principale sostegno viene ancora una volta dalla Missione 2 del PNRR. Le risorse ammontano a 5,27 miliardi di euro, dei quali 2,8 sono riservati alla sostenibilità della filiera alimentare. 1,5 miliardi di euro di quanto rimane andranno alla realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti e all’ammodernamento di quelli esistenti. In sostanza, si torna a “svilire” il concetto di economia circolare nella sua ampia caratterizzazione di economia del riciclo. Segnali positivi si intravedono tuttavia nelle previsioni di riforma del PNRR, che dovrebbero integrare i concetti di ecodesign, ecoprodotti, blue economy, bioeconomia e materie prime critiche.

Perché unire sostenibilità e smart city

Il rapido excursus sull’economia circolare ci riconduce al tema centrale del nostro approfondimento: la digitalizzazione al servizio della transizione ecologica. Due sfide interconnesse la cui componente più affascinante e difficile riguarda proprio lo sviluppo delle smart city.

Attualmente, infatti, le città coprono circa il 3% della superficie terrestre ma generano il 70% delle emissioni mondiali di CO2. Lo dice il rapporto Net Zero Carbon Cities – Systemic Efficiency Initiative di Enel, Schneider Electric e World Economic Forum, sottolineando anche che i centri abitati consumano il 78% dell’energia primaria globale. Uno squilibrio destinato a peggiorare, se consideriamo che oggi il 54% della popolazione mondiale si concentra nelle città, ma entro il 2050 potremmo arrivare al 68%.

Tecnologie smart city: tutte le applicazioni possibili

Le 6 caratteristiche di una città intelligente

La smart city è frutto di due processi evolutivi: i servizi pubblici e l’attività privata. I due ambiti interagiscono in modo sempre più rapido ed efficace grazie all’impiego delle nuove tecnologie della comunicazione, della mobilità, dell’ambiente e dell’efficienza energetica.

Nel complesso, una vera città intelligente si fonda sui seguenti punti:

  • Smart People: il loro coinvolgimento delle persone è fondamentale per raggiungere gli obiettivi green & digital;
  • Smart Living: garantire attraverso le tecnologie la fruizione di educazione, salute, cultura, sicurezza, benessere;
  • Smart Mobility: mobilità urbana efficiente con integrazione di mezzi pubblici e veicoli elettrici per ridurre l’impatto ambientale;
  • Smart Economy: innovazione tecnologica e collaborazione fra pubblico e privato per una gestione più efficiente;
  • Smart Governance: mettere al centro capitale umano, risorse ambientali, relazioni e beni della comunità;
  • Smart Environment: gestione ottimizzata dei consumi e delle risorse migliorando efficienza degli edifici, gestione dei rifiuti, illuminazione pubblica, smart grid e smart metering.

Tecnologie smart city: quali sono e cosa fanno

Eccoci alle tecnologie abilitanti delle città del futuro. Qui, l’intelligenza è data da un insieme di servizi, politiche e progetti che, nel complesso, la rendono più sostenibile, efficiente e sicura. Le fondamenta tecnologiche stanno nelle reti in banda larga, con fibra ottica e 5G, che permettono di gestire gli enormi flussi digitali che caratterizzano le città intelligenti. Connessioni ulteriormente alimentate dall’IoT (Internet of Things), ovvero dalla capacità degli oggetti di essere riconoscibili digitalmente, di comunicare dati su sé stessi e di accedere a informazioni aggregate.

Questa architettura genera le principali applicazioni delle smart city: dalla gestione dei rifiuti ai lampioni intelligenti, dai semafori agli smart parking, dalla sicurezza dei cittadini (es. videosorveglianza) al monitoraggio delle reti energetiche e idriche. Ma le città sono fatte soprattutto di edifici: ecco gli smart building, in ambito domestico e nel terziario. Completa l’opera della transizione ecologica e delle tecnologie smart city il grande tassello dell’Industria 4.0.

L’ascesa del 5G

Gli innumerevoli componenti di una smart city hanno sostanzialmente due modi per comunicare. Mediante una connessione fisica (cavo di rete) oppure utilizzando uno standard di trasmissione wireless. Quest’ultimo diventerà preponderante, considerata la diffusione esponenziale dei dispositivi mobili o comunque privi di connettività fisica. Quanto allo standard wireless più adatto per garantire velocità e capienza di trasmissione al tempo delle smart city, la risposta è nel 5G. La rete 5G, unita alla sensoristica, permetterà maggiori capillarità, efficienza e affidabilità nella raccolta dei dati.

A che punto siamo? Secondo un recente report di EY la crescita del 5G tra la fine del 2020 e i primi mesi del 2021 viene principalmente delle offerte commerciali. La copertura 5G della popolazione italiana con almeno tre operatori ha raggiunto il 20%, raddoppiando in un anno, mentre uno degli operatori ha già raggiunto il 91% con l’infrastruttura “5G ready”. Nel leggere questi dati bisogna però considerare che l’insieme delle infrastrutture digitali include anche cloud computing, reti IoT e sensoristica, ambiti che necessitano di ulteriori sviluppi.

Rete 5G come tecnologia abilitante delle città intelligenti

Tecnologie smart city: l’importanza dei dati

Per essere intelligente, fornire servizi efficienti e gestire le infrastrutture, una città deve essere in grado di valutare necessità reali, dando risposte concrete. Ecco perché il successo di una smart city è collegato alla sua capacità di sfruttare i dati raccolti sul campo. Attuare un approccio data driven, significa infatti estendere l’analisi delle informazioni a situazioni più complesse.

La raccolta dei dati può esser eseguita in moltissimi modi, ad esempio installando sensori sui lampioni e in corrispondenza delle infrastrutture urbane o negli edifici, ma ogni oggetto connesso rappresenta una potenziale fonte. Solo immaginando una rete di sensoristica che copre l’intera città, è possibile ragionare concretamente sulla gestione del centro urbano. Si riesce per esempio a intervenire subito in caso di anomalie, ma anche a prevenire guasti o danni grazie a una manutenzione ordinaria mirata. Altri fattori monitorabili sono l’inquinamento atmosferico e acustico, le abitudini dei cittadini in termini di mobilità e di fruizione del tempo libero.

Esempi di smart city nel mondo e in Italia

Le tecnologie smart city vi sembrano ancora lontane? Basta guardarsi intorno: i casi virtuosi non mancano, nelle città di tutto il mondo. Londra, per esempio, dispone di un “Office of Technology and Innovation” destinato agli sviluppi tecnologici digitali. La capitale inglese sta infatti lavorando su assistenza sanitaria, Big Data, trasporti, connettività, cybersecurity ed energia connessa. Anche Amsterdam ha fatto notevoli passi avanti grazie a una partnership pubblico-privata che si occupa di città digitale, risparmio energetico, mobilità, economia circolare e servizi ai cittadini. Sempre in Europa, Barcellona si è concentrata soprattutto sulla copertura Wi-Fi gratuita. Ma anche sulle applicazioni IoT per ridurre i costi energetici e accrescere la sicurezza stradale. Interessante l’attività di Singapore, che con il programma “Smart Nation” sta installando sensori in tutta la città per acquisire informazioni sulla vivibilità locale.

Sul fronte nazionale primeggia Torino, segnalata dall’Università di Harvard come modello italiano per la smart city. Complici di questo risultato soprattutto il Polo nazionale della mobilità sostenibile e della manifattura, un centro di ricerca con focus su e-mobility e l’Intelligenza Artificiale. Roma, invece, ha scelto di intervenire sul suo problema più grande: il traffico. Lo sta facendo con specifici progetti dedicati a smart parking, trasporto pubblico e attraversamenti pedonali. La nostra carrellata si conclude con Milano e il suo “Smart City Lab”. Un incubatore dedicato alla ricerca e allo sviluppo di tecnologie smart city e soluzioni per la metropoli del futuro.

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Maria Cecilia Chiappani

Copywriter e redattore per riviste tecniche e portali dedicati a efficienza energetica, elettronica, domotica, illuminazione, integrazione AV, climatizzazione. Specializzata nella comunicazione e nella promozione di eventi legati all'innovazione tecnologica.
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