La transizione ecologica richiede un modus operandi il più possibile trasversale, in cui ciascun settore dia il suo contributo per ridurre consumi ed emissioni inquinanti e per consentire una sempre maggiore penetrazione delle fonti di energia pulita. Questo percorso virtuoso verso un approccio all’energia, incentrato su rinnovabili, efficienza energetica ed economia circolare, ha assunto un ruolo ancora più rilevante in un contesto come quello attuale, in cui la crisi energetica in atto sta gravando in modo pesante sui bilanci di imprese e famiglie.
Tra i comparti in cui è necessario intervenire in modo prioritario ci sono sicuramente quelli del riscaldamento e del raffreddamento degli edifici, ambiti che impattano in modo rilevante sui costi delle bollette. Basti pensare, che, secondo l’Eurostat questi due settori rappresentano, da soli, quasi il 50% del consumo totale lordo di energia finale nei Paesi dell’Unione Europea. L’istituto di ricerca aveva già fornito pochi giorni fa quello relativo all’aumento dell’incidenza delle rinnovabili (FER) sui consumi elettrici.
Ma qual è la situazione in UE per quanto riguarda il ruolo delle rinnovabili nel settore del riscaldamento e del raffrescamento in base alla fotografia scattata dall’Eurostat? Innanzitutto, bisogna fare una premessa. Va precisato che l’analisi di questi due comparti deve essere interpretata secondo uno sguardo che sappia, da un lato, distinguere il valore assoluto dei dati da quello relativo; dall’altro, contestualizzarne il trend di evoluzione alla luce del mix energetico totale.
Entrando più in dettaglio, i numeri dell’ufficio statistico della UE mostrano come il 2021 si sia caratterizzato per un aumento della domanda di tutte le fonti energetiche, non solo rinnovabili. Su questo scenario ha influito la collocazione temporale di questo particolare anno: il 2021, infatti, da un lato, si trova a cavallo tra la pandemia del 2019 e la crisi energetica del 2022, due periodi in cui i consumi hanno registrato, per motivi diversi, un forte calo; e, dall’altro, subisce l’effetto della ripresa economica generale e della revoca delle restrizioni legate al Covid.
In questo contesto, nonostante i consumi finali lordi di energia rinnovabile per riscaldamento e raffrescamento abbiano registrato un aumento in senso assoluto (dovuto in modo principale alla sempre maggiore diffusione delle biomasse e delle pompe di calore), il dato è risultato comunque in calo, se contestualizzato rispetto al mix energetico totale. Nello specifico, secondo l’Eurostat, in UE si è passati dal valore medio del 23,0% del 2020 al 22,9% del 2021, con una riduzione di 0,1 punti percentuali.
Dai numeri dell’Eurostat emerge inoltre come la Svezia abbia registrato la migliore performance in UE, con un valore che nel 2021 si è attestato al 68,6% di energia per riscaldamento/raffrescamento da fonti rinnovabili.
A seguire, nella classifica dei Paesi più virtuosi, troviamo inoltre Estonia (61,3%), Lettonia (57,4%) e Finlandia (52,6%). Tutti Paesi che ricorrono a un’ampia quota di biomassa.
Tra i Paesi UE con le percentuali più basse di energia da fonti rinnovabili impiegate nel settore del riscaldamento e raffrescamento ci sono invece Irlanda (5,2%), Paesi Bassi (7,7%) e Belgio (9,2%).
In Italia, infine, la percentuale di rinnovabili impiegate nel settore del riscaldamento e del raffrescamento è stata pari al 19,7% nel 2021. Un valore in calo di 0,2 punti percentuali riaspetto al 2020 e inferiore di 3,2 punti percentuali rispetto al dato medio registrato in UE.
Inoltre, il nostro Paese si è caratterizzata, a partire dal 2009, per un rallentamento della diffusione delle rinnovabili in questi due comparti. Dopo un rapido aumento che ha portato nel periodo 2004-2009 a una crescita dal 5,7% al 16,4%, si è infatti verificata una fase di stallo, che ha fatto rimanere il dato invariato intorno a quota 19% dal 2015.