
“C’è spazio per tutti”: una frase che ha spesso un’accezione positiva, oltre che inclusiva, ma che nel caso della produzione energetica può invece assumere un valore diametralmente opposto. Spazio per tutti, infatti, può significare che accanto alla crescita delle fonti rinnovabili, per nulla o poco climalteranti, continua il ricorso massiccio ai combustibili fossili, il cui utilizzo genera colossali quantità di anidride carbonica immesse nell’atmosfera.
E se già questo è sufficiente a far suonare un campanello d’allarme, lo stesso allarme diventa rosso se proprio la fonte fossile più dannosa, il carbone, è quella che continua a prosperare nel terzo decennio del terzo millennio. Esattamente ciò che ci segnala il recente rapporto annuale di Global Energy Monitor dal titolo “Boom and Bust Coal”, che si può liberamente tradurre con Ascesa e Declino del Carbone.
Il rapporto analizza le tendenze principali nell’ambito del ricorso al carbone per la produzione di energia, oltre ad aggiornare gli impegni assunti dagli Stati per la sua eliminazione dalla filiera energetica, in inglese il phase out. Ne conseguono una serie di informazioni strategiche sullo stato dell’eliminazione globale del carbone, valutando al contempo i progressi verso gli obiettivi e gli impegni climatici mondiali.
E la prima di queste informazioni strategiche equivale ad un duro colpo sulla transizione energetica: l’anno scorso la capacità produttiva globale legata al carbone è addirittura aumentata del 2%. E la scomposizione del dato non attenua la gravità della situazione poiché, a differenza del passato, la responsabilità dell’aumento non va imputata soltanto alla Cina.

In particolare, nel 2023 Pechino è stata responsabile dei due terzi delle nuove aggiunte di capacità produttiva energetica del carbone, ma per la prima volta da un quinquennio a questa parte anche nel resto del mondo è emerso un aumento medio della capacità produttiva.
I dati del Global Energy Monitor evidenziano come l’anno scorso si è verificato l’aumento netto della capacità produttiva più consistente dal 2016, ovvero l’anno in cui è entrato in vigore l’Accordo di Parigi che, appunto, punta l’indice contro l’impiego del carbone ed i suoi deleteri effetti sull’innalzamento globale delle temperature.
Ed ancora, nel 2023 a fronte di 69,5 GW aggiuntivi di capacità installata sono stati chiusi impianti di produzione energetica a carbone per appena 21,1 GW. Questo porta ad un aumento annuo pari a 48,4 GW, con il conseguente innalzamento della capacità produttiva globale esistente al termine dell’anno scorso, fino a quota 2.130 GW.
Si diceva del ruolo negativo della Cina che per fare fronte alla sua inesauribile fame energetica è protagonista di due politiche antitetiche:
Ma, come sottolineato, l’anno scorso sono arrivate cattive notizie anche dal resto del mondo. Nel dettaglio, nuovi impianti a carbone sono entrati in funzione in Indonesia, India, Vietnam, Giappone, Bangladesh, Pakistan, Corea del Sud, Grecia e Zimbabwe. Questo ha significato l’aggiunta di 22,1 GW di capacità a fronte della chiusura di centrali per 17,4 GW, quindi con una crescita annuale di 4,7 GW.
Occorre aggiungere che anche nelle economie occidentali – dove il phase out dalla produzione energetica legata al carbone è indubbiamente in uno stato più avanzato – si registrano dei segnali negativi. Ad esempio negli Stati Uniti dove si è registrata circa la metà delle chiusure globali degli impianti (9,7 GW), ma con un ritmo inferiore agli anni precedenti, ovvero meno dei 14,7 GW del 2022 e molto meno dei 21,7 GW del 2015.
Per quanto riguarda il nostro continente, il dato positivo è che non si sono registrate aggiunte di capacità produttiva da carbone, ad eccezione della citata Grecia con i suoi 0,7 GW. Però le chiusure più significative di impianti avvenute nel Regno Unito (3,1 GW), in Italia (0,6 GW) e Polonia (0,5 GW) non hanno evitato l’emergere di un rallentamento complessivo dell’Europa nel phase out dal carbone.