A che punto sono le aziende italiane rispetto alla sostenibilità? Domanda non da poco, sulla quale ci si è confrontati nel corso del recente “EY Sustainability Summit”, un incontro che ha visto la partecipazione di imprenditori appartenenti a diversi settori economici, presenti allo stesso tavolo per esporre la propria visione su temi prioritari per il futuro del Paese, delle aziende e delle persone.
Il significativo punto di partenza è che la maggior parte delle aziende italiane – secondo quanto riportato dal report EY Seize the Change Futuri Sostenibili – ha definito un piano industriale che comprende azioni significative in grado di portare apprezzabili riduzioni delle emissioni di CO2. Ciò non toglie che l’incertezza e la discontinuità dello scenario attuale suggeriscono alcuni interventi urgenti.
Una situazione in chiaroscuro, dunque, con i numeri che in ogni caso segnalano come “la sostenibilità, ambientale e sociale, non è più soltanto un nice to have per le aziende, ma una leva di business per essere più competitivi nel medio-lungo periodo”. E così, il 44% delle aziende ha un piano di sostenibilità completo di obiettivi quantitativi e temporali, mentre ben il 79% si è dotata di un piano industriale che comprende azioni significative in grado di portare considerevoli riduzioni di emissioni di CO2.
Ma se l’evoluzione delle strategie aziendali in ottica green è tangibile, dalle riflessioni degli imprenditori emerge un quadro diverso rispetto al breve periodo. Infatti, proprio in un momento in cui ci sarebbe la necessità di una spinta ulteriore sulla sostenibilità, specie dopo aver cominciato a superare la crisi legata alla pandemia, gli scenari geopolitici hanno creato nuove incertezze e ostacoli per le aziende, tra cui le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e i costi dell’energia.
Per raggiungere i traguardi ambientali fissati dall’Agenda 2030 lo sforzo da fare è ancora notevole e comporta anche delle sfide, come quella dei costi elevati della tecnologia per ridurre l’impatto ambientale della produzione industriale. Appare quindi necessario un approccio sempre più globale con una maggiore collaborazione tra diversi settori, con politiche e investimenti pubblici e privati specie su ricerca e start up innovative. Non di meno, potrebbero servire ulteriori interventi normativi mirati.
Per quanto riguarda i modelli di business, dal summit EY è emerso che molte aziende lo stanno modificando più come reazione proattiva alla delicata situazione attuale e non tanto come obiettivo a lungo termine. Occorre quindi una road map chiara e incentrata su un approccio lungimirante che vada oltre il superamento del difficile momento attuale, il tutto per puntare a creare valore a lungo termine.
In questa prospettiva, dalle parole degli imprenditori emergono tre fattori chiave. Primo, l’impegno concreto della leadership nel voler cambiare e nell’infondere fiducia in questo cambiamento. Secondo, la preparazione adeguata delle risorse aziendali a tutti i livelli. Terzo, la tecnologia, intesa anche come capacità di misurare in termini quantitativi la sostenibilità.
Un elemento fondamentale, nel cammino verso la piena sostenibilità ambientale, è rappresentato dall’energia. E inevitabilmente l’incertezza e la discontinuità dello scenario attuale suggeriscono alcuni interventi urgenti in materia. Prima di tutto ridurre la dipendenza energetica dal gas e dal petrolio russo e in generale dalle fonti fossili, in favore di quelle rinnovabili.
I partecipanti al summit hanno quindi sottolineato come risulta prioritario sbloccare il quadro normativo che frena gli investimenti in energie alternative e green. Fermo restando che sganciarsi del tutto dalle fonti fossili ad oggi appare molto complesso e costoso. E dunque una soluzione possibile è quella di produrre in maniera più sostenibile e pulita da gas e petrolio, un percorso intrapreso da più d’una oil company.
Infine, dall’EY Sustainability Summit è emerso un altro fattore legato strettamente all’attualità, ovvero la gestione della scarsità di materie prime. Questo perché il contesto attuale, caratterizzato dagli effetti economici post pandemia, dall’inflazione e dalla delicata situazione geopolitica, ha dato vita a quella si potrebbe definire come una “sostenibilità indotta”, ovvero determinata dall’esigenza di soddisfare dei bisogni primari per i processi produttivi la cui soddisfazione era prima quasi “scontata”.
Per affrontare questo nuovo scenario, secondo gli imprenditori una strada percorribile è quella di rilanciare un modello di economia circolare, per sganciarsi dalla dipendenza delle materie prime primarie in favore delle materie prime seconde, meglio ancora se non importate. Economia circolare che comporta anche lo sviluppo e impiego di materiali più sostenibili, come i monomateriali, che possono essere riciclati più facilmente.