Tutti i numeri della mobilità elettrica in Italia

Una interessante analisi effettuata da Francesco Naso di Motus-E permette di osservare più da vicino i numeri della mobilità elettrica italiana
Mercato mobilità elettrica Italia

Che direzione sta prendendo la mobilità elettrica? Quali ostacoli ne rallentano la diffusione? E, soprattutto, come va il mercato italiano?

Tante domande impongono risposte precise: ci ha pensato l’ing. Francesco Naso di Motus-E in occasione di un convegno svoltosi a KEY 2024.

Bassa penetrazione dei veicoli elettrici: è solo una questione di prezzo?

Come vanno dunque i BEV, i Battery Electric Vehicle? Per quanto riguarda i canali di mercato, la servitizzazione della mobilità è un forte traino. La quota legata agli acquisti da parte dei privati è infatti minore rispetto al noleggio (quasi 11% in meno); in altri paesi dove il noleggio a lungo termine e le auto aziendali hanno un peso maggiore, in realtà i BEV hanno una penetrazione ancor più significativa. È anche una questione di minor rischio tecnologico da parte dell’utente, che può così approcciarsi con maggiore serenità a una nuova tecnologia.

Auto elettrica diffusione Italia ed Europa

Il noleggio a lungo termine è dunque un driver importante lo si vede soprattutto con le flotte aziendali.

Sono infatti un volano importantissimo. In primo luogo a livello sistemico, perché già oggi il 20% di tutto il parco auto circolanti in UE e il 40% dei chilometri percorsi è legato proprio alle auto aziendali. Inoltre, il loro utilizzo è più facilmente “elettrificabile” poiché i km percorsi beneficiano di una maggiore pianificazione. Non tutte e non subito, quindi, ma già oggi una quota importante delle flotte aziendali può essere elettrificata con successo e con un TCO (Total Cost of Ownership) persino positivo in base al costo dell’energia utilizzata.

Ma come va la mobilità elettrica negli altri paesi? Persino la Spagna ci ha superati ormai da un paio d’anni. Se si pone il tema del prezzo come vincolo e lo si lega alla capacità di acquisto, è bene considerare che il reddito medio in Spagna è più basso di quello italiano. Se osserviamo invece il mercato del nord Italia, dove il reddito medio è paragonabile e in alcuni casi superiore a quello dei tedeschi, i numeri non tornano. Non è quindi solo una questione di reddito e, di conseguenza, non è solo “colpa” del prezzo delle auto elettriche.

Entrando più nel dettaglio della domanda italiana, i grandi numeri sono legati ai segmenti A e B. Oggettivamente l’offerta in termini di modelli in quella fascia è ancora bassa e il prezzo è alto. Un trend positivo è quello che vede già quest’anno l’arrivo di modelli interessanti, al di sotto del prezzo d’attacco di 25.000 Euro (al netto degli incentivi): ciò significa arrivare sotto la soglia dei 20.000 Euro per un’auto elettrica di segmento A o B.

Bonus e incentivi: strumenti potenzialmente utili, ma da calibrare meglio

A ben vedere, i bonus e gli incentivi per l’acquisto di veicoli elettrici e ibridi hanno un notevole potenziale sulle vendite. Così, però, non è stato.

Analizziamo l’utilizzo dei fondi disponibili per le cosiddette 21-60, cioè le auto che da libretto rientrano nella fascia di emissioni compresa tra i 21 e i 60 grammi di CO2 al chilometro, in altre parole le ibride plug-in: risulta che quei soldi non sono stati praticamente toccati.

Bonus incentivi

Una delle spiegazioni più plausibili è l’assenza di un incentivo concreto verso le aziende e le partite IVA, che ha portato a uno scarso utilizzo dei fondi. Sono infatti auto che vengono registrate in ambito aziendale, spesso offerte per uso promiscuo a chi ancora non se la sente di fare il “grande passo” verso le full electric. La buona notizia è che per la prossima tornata di incentivi è prevista una maggiore attenzione nei confronti delle aziende, e questo dovrebbe portare a un utilizzo più sostanzioso delle risorse messe a disposizione.

Discorso analogo per gli incentivi per l’acquisto di autocarri leggeri, autoveicoli per il trasporto di cose con almeno quattro ruote e con un numero totale di posti a sedere non superiore a nove. In altre parole, i veicoli immatricolati come N1.

Motus-E identifica nel vincolo della rottamazione per accedere al fondo la motivazione principale dello scarso utilizzo dei fondi. Chi intende affidarsi a un trasporto elettrico per l’ultimo miglio tipicamente ha già un mezzo Euro 5 o Euro 6 che ha un ottimo valore sul mercato e che, quindi, non ha senso rottamare.

Un altro tema è l’esclusione del noleggio a lungo termine, che invece si dimostra uno strumento molto interessante in generale per i furgoni, in particolare per quelli elettrici.

Meno vincoli, invece, per i mezzi classificati L (ciclomotori e motoveicoli a due, tre e quattro ruote), per i quali gli utenti hanno attinto abbondantemente dai fondi.

Auto cinesi: quali sono i veri numeri per la mobilità elettrica?

Un altro tema affrontato da Francesco Naso è quello della cosiddetta “invasione cinese” delle auto elettriche. Una doverosa precisazione: si tratta di un modo di dire che non vuole essere irrispettoso nei confronti di una nazione che sta spingendo molto su questo fronte e i cui sforzi stanno contribuendo in maniera considerevole allo sviluppo del settore.

Da dove provengono, dunque, le auto immatricolate in Italia? I dati vedono i paesi UE in netto vantaggio, con il 68% del totale, seguiti da Cina (16%), Stati Uniti (8%) e altri (8%).

È bene ricordare che in Cina non si producono o assemblano solo marchi cinesi, quindi il 16% del 2023 include anche brand di altri continenti, ma se si entra nel dettaglio dei soli marchi cinesi quella percentuale scende al 4,5%. Questo perché per l’export si stanno concentrando sui segmenti C o premium.

Attenzione però che tra le 10 auto a marchio cinese e prodotte in Cina più vendute in Italia, una sola è elettrica. I “volumi” (30.000 unità vendute) in questo momento li fanno auto come la MG ZS a benzina, con un prezzo su strada al di sotto dei 20.000 Euro.

Il nodo delle infrastrutture di ricarica

Buona parte del successo della mobilità elettrica deriva dalla disponibilità di punti di ricarica.

Qual è la situazione di quelle ad accesso pubblico, cioè che non hanno accesso discriminato verso gli utenti?

Infrastruttura di ricarica BEV

Le notizie sono molto buone: la crescita è netta e migliora di anno in anno. Dove l’Italia era più carente, in particolare sulle ricariche ad alta potenza in corrente continua, da 100 kW in su, questa crescita è ancora più marcata.

È altrettanto vero che il territorio italiano non è omogeneo da questo punto di vista e ci sono ancora importanti divari territoriali, soprattutto sulle colonnine in DC, ma le previsioni per i prossimi anni sono buone (anche alla luce di alcuni strumenti, come la missione 2 del PNRR).

Ci sono inoltre diversi Charging Point Operator che hanno mostrato un forte interesse nell’espansione della rete di ricarica, facendo ben sperare in un ulteriore ampliamento. Per contro, gran parte dei punti di ricarica (circa il 95%) sono stati installati senza fondi pubblici e devono perciò generare profitti: pare scontato, ma è bene ricordare che per rientrare in tempi ragionevoli con gli investimenti non è possibile fare prima l’intera infrastruttura e poi vendere le auto…

Non solo super fast: ricarica lenta e in contesti privati

La pubblicità ci bombarda con automobili capaci di tempi di ricarica di pochi minuti per passare dal 20% all’80% e centinaia di kW disponibili alle colonnine.

Non è certo l’unico modo per ricaricare un veicolo elettrico, anzi! Buona parte delle automobili sostano per più di 1 ora in uno stallo, e qui le ricariche da 22 kW o inferiori si dimostrano ideali.

Arriva il Bonus Colonnine di ricarica elettrica

Si apre così il tema della ricarica in ambito privato, per il quale il solo Superbonus 110% ha trainato le installazioni (oltre 300.000 punti). Certo, erano praticamente gratis e questo ha contribuito alla loro diffusione; inoltre occorre capire quanti sono condominiali o privati, in prime o seconde case.

Anche in questo caso, l’uso degli incentivi per le infrastrutture di ricarica private diverse dal Superbonus è stato molto scarso: sugli 80 milioni disponibili, ne sono stati usati meno di 5 milioni. Erano infatti unicamente retroattivi e molto difficili da utilizzare, per questo le aspettative sui prossimi incentivi sono molto alte non tanto sulla cifra messa a disposizione, quanto sulle modalità di accesso.

I risvolti economici delle infrastrutture di ricarica

Per quanto riguarda il valore per il sistema paese dell’intera infrastruttura di ricarica, il potenziale è notevole: c’è un’ottima presenza industriale soprattutto dal punto di vista delle ricariche in DC, ma non solo. Si parla di 20 miliardi di investimenti nel corso dei prossimi anni, il 50% dei quali legato a progetti “chiavi in mano” (installazione e connessione), quattro miliardi sono legati a infrastrutture per i veicoli trasporto merci (come furgoni e camion) e il tutto porterà alla creazione di più di 7000 nuovi posti di lavoro.

Gli obiettivi sono sfidanti ma non impossibili: occorre superare i 120.000 punti di ricarica ad uso pubblico e toccare i tre milioni di punti di ricarica ad uso privato. È necessario compiere un ulteriore sforzo in questa direzione, soprattutto in ambito privato, e gli incentivi rappresentano la chiave per sbloccare la situazione.

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Andrea Pagani

Giornalista tecnico, da 25 anni mi occupo della realizzazione di prodotti editoriali (carta, video, web) per vari settori applicativi: dal manifatturiero all'impiantistica, fino all'e-mobility.
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