
Nel progredire della transizione energetica gli ostacoli non mancano, ma esistono alcuni indicatori che evidenziano in modo inequivocabile come il percorso sta avvenendo a una velocità sostenuta. Uno di questi è l’andamento dell’occupazione nel settore delle energie rinnovabili, la cui dinamica mostra, appunto, una crescita in progressiva espansione.
A fotografare la situazione nel comparto green del mondo del lavoro c’è l’ultima edizione del rapporto “Renewable Energy and Jobs”, pubblicato dall’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) e dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).

Il dato più importante che emerge dallo studio è quello che certifica il progresso record dell’occupazione che è avvenuto l’anno scorso. Infatti, nel 2023 i posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili a livello globale si sono attestati a quota 16,2 milioni dai 13,7 milioni che erano stati registrati nell’anno precedente.
Si tratta di un balzo percentuale, anno su anno, pari addirittura al 18% che “riflette la forte crescita delle capacità generative delle energie rinnovabili e la continua espansione della produzione di apparecchiature”. Tuttavia, anche in questo contesto positivo non mancano delle ombre. Soprattutto, l’analisi dei dati del rapporto mostra un quadro geografico disomogeneo.
Lo scorso anno quasi due terzi della nuova capacità globale di energia solare ed eolica sono stati installati solo in Cina e ciò ha esercitato una forte influenza anche sulla dinamica dell’occupazione. La Cina si posiziona in testa con circa 7,4 milioni di posti di lavoro nel settore delle rinnovabili, pari al 45% del totale complessivo. Seguono a grande distanza l’UE (1,8 milioni), Brasile (1,56 milioni), Stati Uniti e India (quasi 1 milione di posti di lavoro ciascuno).
“La storia della transizione energetica e dei suoi vantaggi socio-economici – dichiara Francesco La Camera, direttore generale di IRENA – non dovrebbe riguardare una o due regioni. Se vogliamo rispettare la nostra promessa collettiva di triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030, il mondo deve impegnarsi e sostenere le regioni emarginate nell’affrontare le barriere che impediscono il progresso nella transizione”.
Ed ancora, La Camera chiede “una più stretta collaborazione internazionale, mirata a raccogliere finanziamenti maggiori per il sostegno alle politiche e lo sviluppo delle capacità nei Paesi che non hanno ancora beneficiato della creazione di posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili”.
Andando a vedere l’andamento occupazionale nelle varie fonti rinnovabili, come negli anni più recenti la spinta più forte è stata assicurata dal settore del solare fotovoltaico. Nel 2023 la crescita globale è stata senza precedenti – più di due milioni di nuovi posti di lavoro – il che ha portato fino a quota 7,2 milioni il totale dei lavoratori impegnati nel fotovoltaico.

Un risultato che però ci riporta a parlare dello squilibrio geografico, considerato che ben 4,6 milioni dei lavoratori nel solare operano in Cina, ovvero il principale produttore e installatore di impianti fotovoltaici. “Grazie ai significativi investimenti cinesi – si legge nel report -, il sud-est asiatico si è imposto come un importante polo di esportazione del solare fotovoltaico, creando conseguentemente posti di lavoro nella regione”.
La Cina si conferma dominante anche nell’occupazione del settore eolico, dove a giocare un ruolo di primaria importanza figura pure l’Europa. Entrambi leader nella produzione e nell’installazione di turbine, Pechino e UE contribuiscono rispettivamente per il 52% e il 21% al totale complessivo di circa 1,5 milioni di posti di lavoro nel comparto eolico.
Ma davanti all’eolico, per numero di lavoratori nelle energie rinnovabili, figurano i biocarburanti liquidi. In questo contesto il Brasile è in cima alla classifica, con un terzo dei 2,8 milioni di posti di lavoro esistenti nel mondo in questo settore. L’impennata della produzione ha poi portato l’Indonesia al secondo posto, con un quarto dei posti di lavoro globali.
Un altro aspetto fondamentale sta nella natura, se vogliamo democratica, della trasformazione occupazionale che accompagnerà quella energetica. Infatti, l’avvento delle rinnovabili comporterà l’impiego di persone in possesso dei più diversi livelli di istruzione e specializzazione, riuscendo quindi ad intercettare tutte le fasce sociali.

Nel Renewable Energy and Jobs viene poi sottolineato che “per soddisfare la crescente domanda di competenze e talenti diversificati che caratterizza la transizione energetica, le politiche devono sostenere misure a favore di una maggiore diversità della forza lavoro e dell’equità di genere”.
In particolare, le donne, che rappresentano il 32% della forza lavoro totale nel settore delle energie rinnovabili, “continuano a occupare una quota disuguale ma comunque in costante crescita dei posti di lavoro del settore. È essenziale che l’istruzione e la formazione portino a diverse opportunità di lavoro per le donne, i giovani e per i membri delle minoranze e dei gruppi svantaggiati”.
“Investire in istruzione, competenze e formazione – spiega il direttore generale di OIL, Gilbert F. Houngbo – contribuisce a riqualificare tutti i lavoratori provenienti dai settori dei combustibili fossili, ad affrontare le disparità di genere o di altro tipo e a preparare la forza lavoro ai nuovi ruoli nel campo dell’energia pulita. È fondamentale se intendiamo dotare i lavoratori delle conoscenze e delle competenze necessarie per ottenere posti di lavoro dignitosi e garantire una transizione energetica che sia giusta e sostenibile”.
Occorre, dunque, investire in una serie di strumenti: