Rinnovabili e futura occupazione, una soluzione secondo Irena

Il rapporto di Irena prevede un’espansione dei posti di lavoro destinata a compensare largamente la perdita di occupazione nei settori energetici tradizionali.
Lavoro nel settore energie rinnovabili

Che l’espansione delle energie rinnovabili sia destinata a salvare il pianeta dal disastro ambientale, se non una certezza rappresenta un auspicio ormai ampiamente condiviso. Una consapevolezza molto meno diffusa riguarda invece l’effetto che la stessa espansione può avere sull’andamento dell’occupazione nei prossimi decenni. Un tema che invece merita di essere approfondito, come fa il “Renewable Energy and Jobs” di Irena (International Renewable Energy Agency), perché anche in questo caso il ruolo delle rinnovabili promette di essere taumaturgico.

I numeri di Irena: il saldo occupazionale è più che positivo

Irena andamento occupazione al 2050 per fonti rinnovabili

Andamento dell’occupazione nel 2050 per fonte rinnovabile e tipologia d’impiego (Fonte: Irena)

Nelle sue previsioni per l’occupazione, il report della Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili parte da una considerazione fondamentale, ovvero che quel che si guadagnerà sul fronte della creazione di posti di lavoro andrà a compensare in modo preponderante la scomparsa di occupazione nei settori energetici tradizionali.

In particolare, gli scenari occupazionali relativi alla transizione energetica stimano per il 2030 la presenza di 24-25 milioni di nuovi posti di lavoro che, appunto, supereranno di gran lunga le perdite comprese tra i sei e i sette milioni di posti di lavoro. Fra quest’ultimi, circa cinque milioni di lavoratori avranno però l’opportunità di trovare una nuova occupazione rimanendo nell’ambito dell’energia.

Numeri che ovviamente sono destinati a ingigantirsi verso il traguardo della metà del secolo, quel 2050 per il quale sono stati fissati gli obiettivi attualmente più ambiziosi della transizione energetica, come l’impatto zero che si prefigge di raggiungere l’Unione Europea. Ebbene, lo studio di Irena prevede che per quella data il settore delle energie rinnovabili potrebbe arrivare ad impiegare circa 43 milioni di persone.

L’evoluzione del mercato del lavoro

Si tratta, peraltro, delle cifre più appariscenti di un’indagine che va ad analizzare nello specifico le tipologie di occupazione che sono e saranno necessarie per supportare con successo la transizione energetica, il tutto ragionando per tecnologia, segmento della catena del valore, requisiti educativi e occupazionali.

In sintesi, occorrerà disporre di una serie di strumenti:

  • politiche industriali ad hoc per formare catene di approvvigionamento praticabili;
  • strategie di istruzione e formazione per creare una forza lavoro qualificata;
  • misure attive nel mercato del lavoro capaci di fornire adeguati servizi per l’impiego;
  • programmi di riqualificazione, insieme alla protezione sociale, per assistere i lavoratori e le comunità dipendenti dai combustibili fossili;
  • strategie di investimento pubblico per sostenere lo sviluppo economico regionale e la diversificazione.

La natura democratica della transizione

lavori energie rinnovabili

Un altro aspetto fondamentale sta nella natura, se vogliamo democratica, della trasformazione occupazionale che accompagnerà quella energetica. Infatti, l’avvento delle rinnovabili comporterà l’impiego di persone in possesso dei più diversi livelli di istruzione e specializzazione, riuscendo quindi ad intercettare tutte le fasce sociali.

Del resto, l’analisi di Irena mostra come già adesso, guardando ai settori del solare fotovoltaico e dell’eolico onshore, ben oltre il 60% della forza lavoro impiegata nelle aziende possiede solo un minimo formale di addestramento. Gli individui con una laurea in campi come scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (indicati con l’acronimo STEM) sono invece necessari in numero minore (meno del 30%).

E ancora, i professionisti non STEM impiegati nelle fonti rinnovabili (come avvocati, esperti di logistica, professionisti di marketing o esperti nella regolamentazione e nella standardizzazione) costituiscono circa il 5% del totale occupazionale, mentre il personale amministrativo rappresenta la quota più piccola (1,4%).

Ripartizione futura della forza lavoro

Guardando al futuro, il report stima che circa la metà dei posti di lavoro creati entro il 2050 richiederà soltanto il possesso di un’istruzione primaria o secondaria inferiore. Un ulteriore 37% delle occupazioni sarà raggiungibile con un’istruzione secondaria. Il restante 13% dei posti di lavoro richiederà invece una istruzione terziaria a livello di bachelor, master o dottorato.

Una disaggregazione dei posti di lavoro per i relativi requisiti d’istruzione dalla quale derivano delle considerazioni importanti. La prima è che la transizione energetica, come detto, può e potrà creare opportunità per persone con diverse competenze e livelli di istruzione. E la prevalenza di lavori che richiedono un livello di istruzione primario o secondario piuttosto su quelli esercitati da soggetti con credenziali accademiche sottolinea anche il ruolo centrale dell’apprendimento sul posto di lavoro.

Infine, l’indagine evidenzia come pur avendo a che fare con una nuova frontiera occupazionale continueranno a restare valide dinamiche classiche del lavoro. In particolare, molte delle attività svolte nelle aziende del settore delle rinnovabili richiedono e richiederanno delle abilità, compresa la destrezza manuale e la capacità pratica di risoluzione dei problemi, che non possono essere conferite attraverso l’istruzione.

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Marco Ventimiglia

Giornalista professionista ed esperto di tecnologia. Da molti anni redattore economico e finanziario de l'Unità, ha curato il Canale Tecnologia sul sito de l'Unità
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