Le cose belle costano, anche la transizione energetica…

Un report di Wood Mackenzie indica un calo del 2% del pil globale fino al 2050 per limitare il surriscaldamento del pianeta. Ma dopo la tendenza dovrebbe invertirsi

Il titolo è già tutto un programma: No Pain, No Gain: The economic impact of an accelerated energy transition. E se appare abbastanza intuitivo il concetto che l’obiettivo di un’economia globale a impatto zero comporterà inevitabilmente dei costi per essere raggiunto, quel che interessa nel report elaborato da Wood MacKenzie è la quantificazione di questi costi. Diciamo subito che nell’analisi è presente una data, il 2050, che rappresenta un autentico spartiacque economico. Fino ad allora, infatti, procedere sulla retta via, ovvero perseguire l’obiettivo del contenimento in un grado e mezzo di temperatura dell’innalzamento climatico del pianeta, avrà dei costi non indifferenti a livello di Pil globale anche se, come vedremo, tale effetto sarà differente a seconda delle aree geografiche e delle nazioni prese in considerazione.

Segnali positivi a partire dal 2035

Una volta scavallata la metà del secolo, invece, gli esperti di Wood MacKenzie prevedono che la musica cambierà, ovvero i costi e gli investimenti collegati alla sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili si “trasformeranno” in benefici non soltanto climatici ma anche dal punto di vista economico. Un’importante inversione di rotta, peraltro, i cui primi segnali arriveranno già a partire dal 2035.

Il dato probabilmente più significativo che emerge dal report è quello relativo alla perdita media di Pil globale, da qui al 2050, derivante dalla transizione energetica, un saldo negativo quantificato in un 2%. Una parola, saldo, quanto mai opportuna perché la perdita di due punti percentuali è in realtà frutto di due tendenze opposte che, come detto, produrranno un risultato ben diverso man mano che ci spingerà verso la fine del secolo.

Pil globale suddiviso per aree geografiche

Ripartizione delle perdite di pil globale fino al 2050 – Report Wood MacKenzie

Effetti contrapposti sul Pil globale

Da un lato ci sono le perdite in termini di prodotto globale legate agli interventi necessari per limitare l’innalzamento delle temperature, che Wood MacKenzie quantifica in un -3,6%. Contemporaneamente, però, ad avere un effetto positivo sul Pil globale ci saranno proprio gli effetti benefici derivanti dagli investimenti sulle energie rinnovabili, a loro volta quantificati in un +1,6%. Unendo le due cose, appunto, si arriva alla citata flessione media del 2%.

In questo quadro il report indica un andamento non lineare dell’impatto sul Pil globale da qui al 2050. In particolare, nel quinquennio dal 2030 al 2035 la perdita percentuale sul Pil globale dovrebbe risultare maggiore del 2%, salvo poi assistere ad una decisa e continua inversione di tendenza fino ad arrivare alla metà del secolo.

Perdite recuperate prima di fine secolo

“Nel nostro scenario di contenimento a 1,5°C – spiega Peter Martin, capo economista di Wood Mackenzie – la perdita cumulativa di Pil globale nel periodo 2022-2050 sarà pari a 75 trilioni di dollari, ovvero poco più del 2% della produzione economica totale nel periodo. Ma già nel 2035 ci sarà un punto di svolta, con la produzione economica perduta che sarà infine recuperata prima della fine del secolo. Ciò significa che accelerare la transizione energetica è possibile senza grandi effetti sulla traiettoria dell’economia globale”.

Come è abbastanza intuibile, i riflessi negativi sul Pil non saranno eguali per tutti. “Le conseguenze economiche della transizione energetica – sottolinea Martin – non saranno percepite in modo uniforme. Per determinare la distribuzione dell’impatto sul Pil, Wood Mackenzie ha valutato i Paesi in base alla loro resilienza al cambiamento climatico e all’impatto delle azioni per evitarlo. E le economie con un’elevata penetrazione delle rinnovabili nella produzione di energia e nelle reti elettriche avanzate sono quelle meglio posizionate in un futuro a basse emissioni di carbonio”.

In Cina la flessione maggiore del Pil

Nel dettaglio, della citata perdita di Pil globale pari a 75 trilioni di dollari da qui alla metà del secolo, ben il 27% riguarderà la Cina. Decisamente più contenute, invece, le flessioni degli Stati Uniti, -12% di Pil, e dell’India, -7%. Quanto all’Europa, la perdita di Pil viene stimata all’11%, con un -5% attribuito invece all’Africa ed un -4% al Medio Oriente, mentre la percentuale maggiore di flessione, -34%, viene riferita al resto del mondo.

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Marco Ventimiglia

Giornalista professionista ed esperto di tecnologia. Da molti anni redattore economico e finanziario de l'Unità, ha curato il Canale Tecnologia sul sito de l'Unità
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