Gli impianti rinnovabili sono ancora la scelta migliore? La risposta, pur nelle complessità del momento, resta affermativa. E viene dall’accurato Life Cycle Assessment di sistemi fotovoltaici ed eolici presentato dagli esperti dell’E&S Group del Politecnico di Milano all’interno del Rapporto sulle Energie Rinnovabili 2022.
Con l’aumento delle installazioni, basato sugli obiettivi green e sulla necessità di accelerare l’indipendenza energetica dall’estero, anche l’Italia si pone il dubbio se questi impianti siano davvero sostenibili. O meglio, se rappresentino un’alternativa migliore alle fonti fossili in termini di CO2eq (Co2 equivalente) prodotta durante l’intero ciclo di vita. Guardando in particolare alle opportunità derivanti dal corretto riutilizzo o riciclo delle tecnologie esauste. In seguito, i risultati dell’analisi.
La direttiva europea sui rifiuti – European Waste Framework Directive 2008/98/CE – sottolinea la necessità di aumentare il riciclo dei prodotti a fine vita. Primo, per ridurre la dipendenza dall’estero in fatto di estrazione delle materie prime. Secondo, perché ci saranno sempre meno spazi dedicati alle discariche. Terzo, per tutti i target ambientali e di economia circolare del caso.
Per la gestione del fine vita (End of Life) dei pannelli fotovoltaici e delle turbine eoliche ci sono diverse possibilità. Secondo la “gerarchia dei rifiuti” prevista dall’Ue, prevenzione e riutilizzo restano le alternative preferibili, seguite da repurpose e riciclo. Quest’ultima opzione risulta attualmente applicabile a una quota di almeno l’80% degli impianti fotovoltaici ed eolici esistenti. L’innovazione tecnologica in atto non potrà che massimizzare i risultati delle tecniche disponibili.
Sebbene la ricerca del Politecnico di Milano tratti il tema degli impianti rinnovabili nella sua globalità, ci soffermiamo in questa sede sul trattamento dei pannelli fotovoltaici. La crescita di questi rifiuti rappresenta certamente una sfida a livello ambientale ed economico. Ma anche l’opportunità di creare valore con il recupero dei materiali e nuovi modelli di business legati al riutilizzo.
Nello specifico, la gestione dei rifiuti fotovoltaici è regolata da due norme:
Sulla base di questi provvedimenti, si arriva all’85% di raccolta e all’80% di riciclo dei materiali utilizzati nei moduli fotovoltaici. A oggi, la quota massima recuperabile è pari a quasi il 95%. In Italia, i decreti RAEE conferiscono al GSE la responsabilità di regolare il fine vita dei moduli per gli impianti rinnovabili incentivati. Per quelli non incentivati, invece, il finanziamento della gestione si conferma in capo ai produttori.
Il riutilizzo e la riparazione dei pannelli fotovoltaici ricoprono un ruolo importante nell’estendere la vita utile di queste tecnologie. La fattibilità dipende naturalmente dalle condizioni del pannello e dei materiali di cui è composto. Affinché i moduli possano avere una seconda vita, servono anzitutto dei test di qualità circa sicurezza elettrica e potenza. Si procede poi con la riparazione: applicazione di una nuova cornice di alluminio e sostituzione della scatola di giunzione o di altri componenti come diodi, spine e prese.
I pannelli fotovoltaici in “second life” possono durare altri 15 anni. Tuttavia, va considerato che la riparazione del pannello porta anche a una riduzione dell’efficienza dell’1-2%. Detto questo, il riutilizzo appare un’opzione migliore rispetto agli scenari di landfill e di incenerimento, poiché causa minore impatto ambientale. Inoltre, il ricondizionamento consente di rimandare il problema dello smantellamento finale del modulo, guadagnando tempo utile per lo sviluppo di nuove tecnologie di riciclo. Altro punto a favore, diversi studi confermano che solo una bassa quota dei dispositivi verrà scartata per il raggiungimento del fine della vita “programmato”. Fino all’80% del flusso di rifiuti fotovoltaici potrebbe invece essere costituito da prodotti con guasti prematuri.
Il recupero dei materiali degli impianti fotovoltaici a fine vita è preferibile allo smaltimento. Quando svolto con processi efficienti, riduce infatti il consumo di energia e le emissioni legate alla produzione di materiali primari. Come funziona? Nessun processo può ancora riciclare il 100% dei pannelli. L’approccio più virtuoso, oggi, è quello di PV Cycle che recupera quasi il 95% del modulo.
Il trattamento si compone di due fasi principali. Nella prima, i rifiuti vengono trasportati in impianti dedicati alla separazione dei materiali come vetro, metalli e materiali composti. In secondo luogo, i materiali recuperati vengono utilizzati per nuovi prodotti, dopo la purificazione e la raffinazione da parte dei produttori. Dunque, solo i rimanenti materiali di scarso valore e le polveri vengono smaltiti nelle discariche.
Le opportunità dell’economia circolare degli impianti rinnovabili si inseriscono dunque in un Life Cycle Assessment che conferma la validità della decarbonizzazione. Nonostante l’indubbia presenza di un impatto in termini di CO2eq, il confronto tra le fonti per la generazione di energia elettrica associa alle FER una quota inferiore di emissioni al kWh di elettricità prodotta rispetto alle fonti fossili. Risultato che si conferma anche considerando la sola fase di Beginning of Life (produzione e trasporto). E si amplia ulteriormente passando alla Middle of Life, dunque, all’utilizzo degli impianti rinnovabili. Di fatto, l’impatto del BoL degli impianti a gas è di oltre 11 e 19 volte superiore a quella di eolico e fotovoltaico (nello scenario peggiore quando la sua produzione avviene in Cina). Gli impianti a carbone lo superano addirittura di 28 e 46 volte. Inoltre, durante la fase di generazione di elettricità, gli impianti fossili producono la maggior parte di gCO2eq/kWh del proprio ciclo vita. Parliamo dell’85% delle emissioni totali prodotte da un sito a gas e dell’86% nel caso del carbone. Al contrario, l’impatto delle rinnovabili durante la fase di generazione è trascurabile.
In verità, solo l’energia nucleare produce emissioni di CO2eq inferiori a tutte le altre fonti. Ma non dimentichiamo il suo impatto in tema di ionising radiation. Ai quali aggiungere la diffidenza dell’opinione pubblica, gli alti costi iniziali e lo smaltimento delle scorie radioattive. Insomma, il nucleare non sembra essere la soluzione per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 nelle nazioni – come la nostra – che non hanno impianti già funzionanti.