Dare un contributo importante al percorso di transizione ecologica dell’industria italiana, grazie alla riduzione delle emissioni di processo dei settori definiti Hard to Abate (ovvero quelli più difficili da decarbonizzare, come la ceramica o i cementifici), che sono soggetti al sistema di Emission Trading Europeo. Il tutto con l’obiettivo di evitare i rischi derivanti da una delocalizzazione. E’ questo uno dei vantaggi legati al ricorso alle soluzioni di Carbon Capture Storage, che possono rappresentare uno degli strumenti chiave per raggiungere gli obiettivi green fissati a livello europeo. Queste tecnologie risultano infatti centrali in un contesto che richiede di contrastare con urgenza gli effetti del riscaldamento globale agendo contemporaneamente su due fronti: da un lato il massiccio ricorso alle rinnovabili; dall’altro l’utilizzo di tecnologie per assorbire l’anidride carbonica in eccesso presente nell’atmosfera.
A sottolinearlo è lo studio strategico “Carbon Capture and Storage: una leva strategica per la decarbonizzazione e la competitività industriale”, realizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Eni e Snam, che evidenzia come la CCS sia l’unica tecnologia attualmente in grado di coniugare maturità, sicurezza e accessibilità economica.
In generale, a livello aggregato, si legge nello studio, i settori Hard to Abate generano 94 miliardi di Euro di Valore Aggiunto e 1,25 milioni di posti di lavoro in Italia, con un’emissione 63,7 milioni di tonnellate di CO2, di cui il 22% da processo. Secondo le stime di The European House – Ambrosetti, in questo contesto, elettrificazione, efficienza energetica, bioenergie, idrogeno e variazione delle materie prime potranno, se utilizzate insieme, contribuire a una riduzione non superiore al 52% di tali emissioni. Per quanto riguarda, invece il restante 48%, che corrisponde a 30,8 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, sarà necessario utilizzare le tecnologie di Carbon Capture Storage.
Lo studio stima in particolare come entro il 2050, grazie alle soluzioni di CCS, sarà possibile stoccare circa 300 milioni di tonnellate di CO2, pari a circa quattro volte le emissioni annuali della Regione Lombardia.
In particolare, si legge in una nota, per raggiungere questo risultato, si potrà fare leva sulla realizzazione dell’Hub di Ravenna, che ha una capacità complessiva stimata in oltre 500 milioni di tonnellate di CO2. Una volta a regime a metà del prossimo decennio, tale progetto permetterà di trasportare e stoccare circa 16 milioni di tonnellate di CO2 emesse e sequestrate annualmente da settori Hard to Abate”.
La ricerca sottolinea inoltre come il progetto Ravenna CCS Hub rappresenta un’opportunità unica per il sistema-Paese, che può conferire all’Italia un ruolo di primo piano come riferimento per la CCS nel Sud Europa, in particolare per quanto riguarda la definizione di un quadro competitivo in grado di attrarre investimenti e facilitare l’avvio di progetti.
Questa iniziativa permetterà di trasformare il nostro Paese nel principale punto di riferimento per lo sviluppo della CCS nell’Europa meridionale, valorizzando quei filoni innovativi e di ricerca come le applicazioni per l’utilizzo dell’anidride carbonica (CCU) e la cattura della CO2 in corrispondenza della produzione di bioenergia.
Il Carbon Capture Storage rappresenta quindi una doppia opportunità. Da un lato questa tecnologia è uno strumento di primaria importanza in un contesto come quello attuale in cui è necessario intervenire a livello globale con decisione e rapidità per limitare il riscaldamento globale; dall’altro questo comparto offre all’Italia un’occasione importante per aumentare la competitività e l’attrattività economica del sistema-Paese.
Tuttavia per permettere a queste soluzioni di dispiegare appieno tutto il loro potenziale è necessario, secondo lo studio di The European House Ambrosetti, individuare e promuovere schemi normativi coerenti, integrando in modo efficace decarbonizzazione, competitività economica e aspetti occupazionali. Il tutto mediante una pianificazione integrata e meccanismi di supporto per il de-risking lungo tutta la filiera.
La ricerca individua in particolare alcune azioni da realizzare in modo prioritario: