E-mobility: per la filiera automotive i prossimi 10 anni saranno decisivi

Il futuro del settore visto da MOTUS-E, ANFIA, ANIE Federazione e ANCMA evidenzia come gli strumenti delle politiche industriali e la politica del lavoro vadano coordinati. Per non perdere terreno sul fronte delle eccellenze italiane
E-mobility: per la filiera automotive i prossimi 10 anni saranno decisivi

La trasformazione dell’industria dell’auto, spinta da legislazioni particolarmente severe nei confronti dei motori endotermici, sta mettendo sotto stress non solo i produttori di veicoli, ma anche e soprattutto la filiera automotive. I dati della ricerca “E-mobility – La transizione della filiera della mobilità e il ruolo delle politiche industriali”, realizzata a cura di MOTUS-E, ANFIA, ANIE Federazione, ANCMA e Università di Ferrara, lo evidenziano bene.

La tavola rotonda che ne è seguita ha prodotto interessanti riflessioni. Il viceministro Gilberto Pichetto Frattin, del Ministero dello Sviluppo Economico, ha ben esplicitato i termini numerici che riguardano questa transizione. “Abbiamo una filiera produttiva di oltre 2.200 imprese, con 160 mila occupati e 50 miliardi di fatturato,” ha affermato.

“Qui si ragiona solo sulla parte produttiva, ma dobbiamo tenere presente che complessivamente parliamo di un sistema che impiega un milione e 200 mila persone. La rivoluzione in corso, visto che parliamo di mezzi più semplici e con meno componenti, avrà quindi una conseguenza anche sulla filiera dei riparatori e su quella dei distributori di carburante. E qui ci sono oltre ventimila punti vendita. Le conseguenze economiche sul sistema produttivo sono stimate in 350 miliardi, ovvero il 20 per cento del PIL”.

Tavola rotonda emobility: i partecipanti

I protagonisti della tavola rotonda dedicata filiera automotive

Gli elementi del puzzle

L’analisi di criticità e opportunità è fondamentale, e l’accompagnamento di questa vera e propria rivoluzione industriale dipenderà dalla capacità complessiva che l’Italia dimostrerà di avere come “sistema paese”. Aumento della produzione energetica da fonti rinnovabili, sviluppo di carburanti sintetici, creazione di un sistema produttivo per le batterie (sono stati messi 350 milioni di euro sul piatto per la realizzazione di una “gigafactory” italiana) e incremento della produzione di chip di nuova generazione sono solo alcuni degli elementi di questo puzzle. Che va a incastrarsi con i punti di domanda legati alla recente situazione Ucraina.

“C’è un percorso da definire per i prossimi dieci anni che non può essere realizzato solo con gli strumenti giuridici che abbiamo,” ha concluso Pichetto Frattin. “Serve uno strumento più forte e specifico, vista la dimensione del fenomeno motori, che comprenda aspetto tecnologico, reindustrializzazione, digitalizzazione e accompagnamento strutturale del cambiamento. Senza dimenticare il capitale umano: bisogna prevedere anche la riprofessionalizzazione. Parliamo di un mosaico che dobbiamo costruire, da un lato come cambiamento del contratto di sviluppo (e relative risorse economiche) e dall’altra intervenendo su tutta la struttura delle PMI italiane, con i nostri parametri e non con quelli europei”.

Cosa accade alla filiera automotive

Indubbiamente la filiera ha la necessità, ormai improrogabile, di trasformarsi sotto molteplici aspetti. “Ogni anno realizziamo un’importante analisi della filiera automotive attraverso il nostro Osservatorio della componentistica. L’esercizio che abbiamo fatto con questa indagine allargando la visione al settore della mobilità elettrica ci ha aiutati a capire cosa sta accadendo a quella parte della filiera che già sta facendo investimenti in questo ambito”, ha detto Fabrizia Vigo, responsabile delle relazioni istituzionali di ANFIA (Federazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica).

Diverse le direzioni da seguire:

  • la prima è lavorare su quelle aziende che potrebbe non trovare spazio nel mondo della mobilità elettrificata,
  • l’altra è supportare quel 70% della filiera che resterà e che dovrà innovarsi per raggiungere un adeguato livello competitivo.

Ci sono tre punti fondamentali da affrontare secondo Vigo. Il primo riguarda proprio gli elementi di politica industriale. “Le aziende non chiedono solo più risorse, ma anche strumenti meno complessi, procedure più semplici e una parificazione degli strumenti finanziari: devono essere certi e di lungo periodo,” ha detto.

“Il secondo punto riguarda le linee produttive. Oltre a mantenere un importante centro di ricerca e competenze, bisogna introdurre anche capacità di questo genere, con uno strumento che renda conveniente investire sulle nuove tecnologie in tutto il territorio nazionale. Il terzo riguarda la formazione, e non solo sul tema specifico. All’interno delle aziende mancano le competenze per gestire gli strumenti di sostegno e supporto: li conoscono, ma non ne fruiscono perché non hanno all’interno persone in grado di gestire queste misure”.

In ANIE è nato il gruppo E-Mobility

La ricerca ha visto coinvolta anche ANIE (Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche). Omar Imberti, coordinatore del gruppo E-Mobility, ha sottolineato come prima della mobilità elettrica le aziende rappresentate centrassero poco con l’automotive. Preso atto del fatto che questa transizione sta coinvolgendo un gran numero di imprese elettrotecniche ed elettroniche è stato quindi creato il gruppo E-Mobility, che si occupa non solo di infrastrutture, ma anche di storage e distribuzione dell’energia.

“Rappresentiamo aziende di ogni dimensione e anche imprese che sono nate grazie alla mobilità elettrica,” ha sottolineato. “Il valore aggiunto che possiamo portare sono le competenze lato infrastrutturale che vanno ad allungare la filiera. Le nuove opportunità non riguardano solo il mercato, ma anche un fortissimo trasferimento di know-how tra aziende, e questo non fa che aumentare la competitività”.

Importante, secondo ANIE Federazione, è tenere conto non solo della componentistica prettamente automotive, ma anche dell’infrastruttura. “Questi elementi sono interdipendenti,” ha sottolineato Imberti. “La loro efficacia è legata a come siamo capaci di farli lavorare insieme. Serve un percorso comune ben definito, che probabilmente non riusciamo ancora a vedere in modo chiaro e netto come avviene in altri paesi. Questo bisogno di filiera allargata è determinante”.

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E-mobility, una sfida che richiede un fronte comune

Quando si parla di mobilità elettrica, la maggior parte dell’attenzione è focalizzata sul settore delle automobili, ma anche il mondo delle motociclette gioca un ruolo fondamentale. “C’è la necessità di fare fronte comune in una sfida che investe tutto il settore automotive, con cui condividiamo un assunto fondamentale: da oltre 100 anni produciamo veicoli spinti da un motore termico,” ha detto Michele Moretti, responsabile settore moto e relazioni istituzionali di ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori).

Anche in questo settore abbondano le aziende meccaniche tradizionali, ma l’industria delle due ruote ha alcune specificità di cui tenere conto. In particolare, le aziende sono meno numerose, ma soprattutto di dimensioni più contenute, e difficilmente sono integrate in grandi piattaforme multinazionali. Secondo Moretti, una grande fetta delle imprese ha già varcato la frontiera dell’elettrico. Si tratta spesso di startup con pochi anni di vita alle spalle che stanno facendo grandi sforzi di sviluppo oppure di business unit di aziende più grandi. “Ci sono alcuni segmenti che sono già proiettati verso la e-mobility: parlando di ‘mobilità leggera’ un ciclomotore su cinque è già elettrico,” conferma Moretti.

Una filiera da avvicinare

Sulle due ruote ci sono da affrontare sia temi tecnologici, sia strutturali. “Considerando che su una moto le batterie possono rappresentare il 40% del peso del veicolo, influendo sulla guidabilità, l’innovazione tecnologica è ancora più importante che sulle auto,” spiega Moretti. “Parlando invece di filiere, questi ultimi anni ci hanno insegnato che quelle lunghe presentano elementi di vulnerabilità. Portarle in Europa e in Italia è fondamentale per avvicinarle al produttore. Ci sono aziende asiatiche che stanno già facendo scelte su quali clienti fornire e quali no. Bisogna quindi farsi trovare preparati per evitare che le piccole aziende delle due ruote si trovino senza fornitori”.

Infine, un’ultima nota Moretti l’ha dedicata al tema delle politiche industriali. “Credo che gli strumenti vadano rimodulati tenendo conto delle esigenze delle PMI,” ha detto. “Quando abbiamo crediti di imposta con tetti di quattro milioni con un limite del 20% significa che un’azienda, per sfruttarli, deve mettere in campo progetti da 20 milioni di euro. Quelle più piccole non riescono: servono tetti più bassi e percentuali più ampie. C’è tantissimo credito di imposta, ma questo presuppone che l’investimento sia già stato fatto. E poi quando parliamo di aziende piccole impegnate nella e-mobility, che hanno costi fissi importanti e utili ridotti, la capienza per assorbire questi crediti di imposta potrebbe non essere sufficiente. Servono quindi finanziamenti e garanzie stabili che consentano alle imprese di accedere al credito”.

Alla ricerca delle carte giuste

Ma nonostante le numerose criticità che sono state espresse durante la tavola rotonda sulla filiera automotive, a dominare rimane l’ottimismo, per un settore in crescita e dalle grandi prospettive, dove la scommessa è quella di farsi trovare con in mano le carte giuste al momento giusto.

“I risultati dell’indagine non solo ci stanno facendo vedere che se guardiamo al futuro con ottimismo, sguardo largo e pragmaticità esistono grandi opportunità”, ha affermato Francesco Naso, segretario generale di MOTUS-E, associazione “costituita per fare sistema e accelerare il cambiamento verso la mobilità elettrica”, che rappresenta i principali stakeholder in Italia, dai produttori ai servizi.

Transizione e-mobility: cosa serve alla filiera italiana

“Ci sono enormi opportunità che possiamo cogliere,” ha spiegato Naso. “Noi lavoriamo in tre ottiche. La prima è quella di conoscere la filiera. Con INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, ndr) stiamo mappando tutte le competenze per capire quali sono i gap del nostro sistema formativo. Le competenze esistono, ma manca il numero: bisogna capire in quali contesti. Stiamo analizzando gli scenari per far crescere i posti di lavoro, che devono essere visti in ottica multisettoriale. La collaborazione tra i diversi settori è centrale”.

L’analisi necessaria

La politica industriale rimane al centro della riflessione anche di MOTUS-E. Secondo Naso, i relativi strumenti vanno non solo adattati alle singole parti della filiera, ma anche nel corso del tempo: un forte investimento in ricerca e sviluppo nei prossimi due o tre anni può diventare necessario nella produzione nel periodo successivo.

Uno dei punti dolenti è che oggi le aziende hanno a disposizione oltre una decina di strumenti contemporanei. Servirebbero quindi analisi e monitoraggio delle attuali politiche industriali per capire come vengono spesi questi soldi, in quali settori, per quali voci di spesa. La buona notizia è che l’ultimo report dell’associazione evidenzia come il 68 per cento delle aziende abbia fatto ricorso al supporto del piano Transizione 4.0, contro il 38 per cento registrato dal precedente report.

La posizione del Ministero del Lavoro

L’intervento di Andrea Bianchi, segretario generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha chiuso formalmente la tavola rotonda dedicata alla e-mobility.

“La sollecitazione più forte che è arrivata oggi al Ministero è quella di agganciare le politiche del lavoro alle politiche industriali,” ha affermato. “Da questo punto di vista ci stiamo muovendo su due fronti: da un lato quello di riformare il sistema degli ammortizzatori sociali per metterli più a supporto di questi processi di trasformazione, che richiedono politiche attive e passive, dall’altro quello che prevede accordi per la transizione occupazionale”.

Secondo il segretario Bianchi, gli ammortizzatori vanno agganciati a una politica della formazione coerente con le esigenze che sono emerse dallo studio. Bisogna quindi supportare l’ingresso di nuove professionalità, superando quel gap storico tra sistema della formazione scolastica e sistema delle imprese, favorire l’apprendistato e potenziare il sistema degli ITS come elemento qualificato per la formazione delle figure tecniche.

A questo si aggiunge il tema della riqualificazione dei lavoratori. “Abbiamo rifinanziato il fondo nuove competenze, a sostengo della formazione,” ha concluso Bianchi. “Con una specifica norma di bilancio abbiamo ancorato le nuove competenze alle transizioni e alla sostenibilità ambientale. L’altro grande bacino su cui dobbiamo intervenire è favorire la transizione dei lavoratori da un ambito all’altro e mettere quelli disoccupati in condizione di rientrare nel mondo del lavoro”.

mobilità sostenibile

Incentivi sì, ma solo a termine

A conclusione dei lavori è infine arrivato un messaggio unanime riguardante le politiche di incentivazione all’acquisto dei veicoli elettrici, che devono essere pensate in modo strutturale, offrendo certezze a tutti gli attori del mercato, ma limitate con chiarezza nel tempo. “Noi speriamo che gli incentivi vengano dismessi nel giro di tre anni,” ha detto Francesco Naso, di MOTUS-E. E dello stesso parere è Fabrizia Vigo di ANFIA: “Bisogna andare progressivamente a ridurre la dipendenza del mercato: è importante l’accompagnamento all’acquisto dei consumatori di queste vetture, ma un orizzonte triennale è sufficiente”.

Sul fronte delle due ruote la visibilità sugli incentivi è migliore, ma il parere è lo stesso. “La dotazione in questo settore durerà fino al 2026”, ha spiegato Michele Moretti di ANCMA. “Questo consente alle aziende di pianificare meglio, ma l’incentivo deve essere inversamente proporzionale allo sviluppo del mercato. L’aiuto dovrà cessare appena possibile permettendo al settore di camminare sulle sue gambe”.

Infrastrutture dimenticate

Manca invece un supporto di tipo economico nel segmento delle infrastrutture. “L’aiuto è determinante in questa fase, ma oggi non abbiamo nessun tipo di incentivo,” spiega Omar Imberti, di ANIE Federazione. “Non andrebbero visti come singoli interventi, ma nella loro globalità per accompagnare la mobilità elettrica. Parlando di TCO (costo totale di possesso, ndr) siamo competitivi, ma il costo di acquisto è un ostacolo molto grande”.

L’accompagnamento della filiera automotive in questa fase di transizione verso la mobilità elettrica è un tema complesso. Tutti gli attori sembrano però avere chiaro che cosa sia necessario per supportare le aziende in questo percorso. La parola ora è al Governo e ai suoi ministeri, chiamati a lavorare insieme per trovare gli strumenti più adeguati. Con l’obiettivo di salvaguardare le eccellenze italiane nel settore automotive.

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Paolo Galvani

Nato nel 1964, è giornalista professionista dal 1990 e si occupa di tecnologia dalla fine degli Anni ’80, prima come giornalista poi anche come traduttore specializzato. A luglio 2019 ha lanciato il blog seimetri.it, dedicato alla vita in camper, e collabora con diverse testate giornalistiche specializzate nel settore del turismo all’aria aperta.
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