Il taglio delle emissioni non basta? Allora non resta che catturarle

Un report di McKinsey fa il punto sullo sviluppo delle attività di rimozione dell’anidride carbonica, una componente imprescindibile per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni per la metà del secolo
Report sulle tecnologie CDR

In realtà, per quanto l’elemento più importante, la riduzione progressiva delle emissioni non rappresenta il solo modo di procedere. Infatti, esiste anche un intervento per così dire a posteriori, ossia catturare le emissioni nocive dopo che sono state generate per impedire che vadano ad alterare le temperature e le condizioni climatiche in generale.

La decarbonizzazione è un processo complesso, i cui componenti sfuggono spesso all’opinione pubblica nella loro totalità. La grande maggioranza delle persone è convinta che l’unico modo per portarla a compimento è prima tagliare le emissioni di CO2, per poi arrivare ad eliminarle del tutto. Ma, come ci ricorda un recente studio di McKinsey, c’è dell’altro.

Che cosa significa l’acronimo CDR

Carbon removals: How to scale a new gigaton industry”, è il titolo del report di McKinsey che fa il punto sull’evoluzione e la diffusione delle tecnologie per la rimozione dell’anidride carbonica. Una lettura che come prima cosa richiede di familiarizzare con l’acronimo inglese CDR che sta per Carbon Dioxide Removal, ovvero la rimozione del biossido di carbonio meglio noto come anidride carbonica.

“La riduzione delle emissioni – si legge nell’introduzione del rapporto – rimane la risposta primaria, più efficace e preferita al cambiamento climatico. Ma la sola decarbonizzazione potrebbe rivelarsi insufficiente per ridurre le emissioni residue, quelle più difficili da abbattere, che potrebbero persistere nel medio termine. Ed una volta esaurite le opzioni di decarbonizzazione, il CDR potrebbe svolgere un ruolo vitale nella neutralizzazione delle emissioni residue”.

Da sei a dieci gigatonnellate annue

È proprio questa la ragione che determina, nella maggior parte degli scenari allineati agli obiettivi di decarbonizzazione stabiliti con l’Accordo di Parigi, la previsione di capacità CDR sostanziali. In particolare, le stime della Smith School of Enterprise e del rapporto “The state of carbon dioxide removal” mostrano la necessità di una capacità annuale di CDR da sei a dieci gigatonnellate di CO2 per rendere attendibili i vari “percorsi” coerenti con l’obiettivo delle zero emissioni da raggiungere alla metà del secolo.

Il problema, però, è che non si tratta di volumi di CDR facilmente raggiungibili. E così il rapporto di McKinsey sottolinea come, non potendo essere reclutata rapidamente la necessaria capacità di CDR, dovrebbero almeno iniziare il prima possibile gli sforzi per mettere in linea la cattura dell’anidride carbonica con gli scenari net zero per il 2050.

La distanza fra necessità e realtà

Il report evidenzia quindi come “alcune stime richiedono una capacità di rimozione aggiuntiva da 0,8 a 2,9 gigatonnellate di CO2 all’anno entro il 2030, valori da tre a dieci volte superiori rispetto all’attuale previsione dei volumi di rimozione della CO2 che saranno effettivamente disponibili entro la fine di questo decennio”.

Ma accelerare così tanto sul fronte del CDR richiederà un aumento degli investimenti altrettanto impegnativo. La stima è che si dovrà passare dalla “forbice” di investimenti nel settore previsti fino al 2030, che va dai 100 ai 400 miliardi di dollari, fino a valori compresi fra 500 e 2.000 miliardi di dollari. Ed il compimento di una traiettoria net zero per il 2050 comporterà investimenti complessivi nel CDR compresi fra 6.000 e 16mila miliardi dollari.

I vantaggi del CDR per le aziende

Concentrando l’attenzione sul settore industriale, proprio grazie al ricorso al CDR molte aziende potrebbero raggiungere molto più facilmente i loro impegni di zero emissioni nette. C’è quindi il potenziale per rendere la rimozione dell’anidride carbonica una strategia di routine per le imprese di tutti i settori. Inoltre, il CDR acquisisce un’importanza ancora maggiore nei settori produttivi con emissioni “difficili da abbattere”, ovvero dove risultano tecnologicamente o economicamente proibitive da ridurre.

La parte del rapporto dedicata alle soluzioni disponibili per la rimozione delle emissioni climalteranti ci prospetta due ulteriori ed importanti acronimi che stanno ad identificare la coppia di possibili scelte metodologiche, NBR e TBR. Il primo sta per Nature-Based Removals e appunto indica l’eliminazione della CO2 con metodi naturali come il rimboschimento, il ripristino delle torbiere, l’aggiunta di alcalinità nelle acque oceaniche ed altri ancora (nel report vengono elencati ben 10 metodi).

Il confronto fra metodi NBR e TBR

I pregi dei metodi NBR stanno nel loro costo inferiore per tonnellata di CO2 rimossa – rappresentando quindi l’opportunità più conveniente per aumentare la capacità CDR a breve termine ¬–, nonché nell’eliminazione dell’anidride carbonica che avviene ripristinando, migliorando o gestendo attivamente gli ecosistemi.

TBR è invece l’acronimo di Technology-Based Removals, dove le diverse soluzioni di cattura basate sulla tecnologia, a fronte di un maggior costo per tonnellata di CO2 rimossa, garantiscono però un risultato più durevole immagazzinando l’anidride carbonica in modo permanente con un rischio minimo di rilascio nell’atmosfera.

Preferenza per le soluzioni durevoli

Le soluzioni durevoli – evidenzia il report McKinsey – sono generalmente preferibili “per garantire che gli sforzi di rimozione rimangano efficaci a lungo termine, ed è la ragione per cui sarebbero necessari volumi crescenti di tali soluzioni. Sarebbe quindi opportuno accelerare lo sviluppo dei TBR per beneficiare dei loro effetti nel lungo periodo, il che richiederebbe investimenti e innovazioni a breve termine per ridurne i costi relativamente più elevati”.

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Leonardo Barbini

Copywriter ed editorialista di Elettricomagazine.it, appassionato di tecnologia. Da anni segue le tematiche della mobilità elettrica, della transizione energetica e della sostenibilità
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