Certificare la sostenibilità in modo volontario: un’operazione valida, in virtù dell’evoluzione del mercato sia nell’edilizia sia nell’industria, da intraprendere però con la giusta consapevolezza. “Non è tutto Esg quello che sembra green – esordisce Claudio Cont, Business Development Director di Habitech, nell’accogliere la platea di professionisti dell’evento nazionale EcoXpert 2023 -. Il tema delle certificazioni di sostenibilità, le relative applicazioni e gli strumenti a disposizione dei partner EcoXpert sono passaggi chiave per ovviare il rischio greenwashing”.
Questo perché la stessa sigla Esg sottende un raggio d’azione molto più vasto rispetto al passato. Dalla sostenibilità ambientale a quella sociale, fino alla governance, il primo passo è definire un perimetro di declinazione degli indicatori da valutare ed eventualmente certificare.
Per fare chiarezza, dunque, Claudio Cont segue il filo conduttore degli ambiti di certificazione attualmente più rilevanti. Ovvero, dei percorsi riguardanti:
“Si parte misurando come stiamo andando, per poi pianificare nuovi investimenti e approdare a quali tecnologie usare per ottenere gli obiettivi di sostenibilità prefissati”, aggiunge il relatore.
Un primo strumento a disposizione riguarda la rendicontazione non finanziaria, ovvero il Bilancio di Sostenibilità secondo la direttiva Csrd e la tassonomia Dnsh. Di fatto, introduce obblighi più dettagliati sulla disponibilità di informazioni circa l’impatto dell’impresa su ambiente, lavoratori e società. Evolvendo gli standard di base e rendendoli omogenei a livello europeo, la normativa segna un passo fondamentale per la trasparenza nei Paesi membri. Il risultato è un documento di sintesi, realizzato tramite criteri numerici, equiparabile al bilancio economico-finanziario. Non dimentichiamo, poi, che dall’esercizio 2025 questo bilancio green diventerà obbligatorio per tutte le grandi imprese non quotate con più di 250 dipendenti, di 40 milioni di fatturato e di 20 milioni di attivo patrimoniale.
Ci sono anche altre opzioni per certificare la sostenibilità aziendale in modo volontario. “Per esempio, gli schemi internazionali B-corp ed Ecovadis, che ci aiutano a definire il perimetro di dell’Esg – continua Claudio Cont -. Il primo è applicato soprattutto nel mercato consumer e riguarda le benefit corporation, che introducono nello statuto obiettivi di beneficio collettivo, non solo finanziario, per gli azionisti. La certificazione Ecovadis risulta invece più diffusa nel b2b e rappresenta un rating con precisi livelli. Applicazioni diverse, dunque, ma ugualmente valide”.
In generale, cosa misurano le certificazioni di sostenibilità aziendali? Possiamo distinguere 5 aree di valutazione:
Ogni punto si basa su criteri di misura dell’impatto, dunque torniamo a sottolineare l’importanza dei dati.
“Il dato è la genesi di tutto e permette di approcciarsi a questi strumenti in modo serio e concreto. Tra le misure chiave per avviare un percorso virtuoso c’è il carbon fooprint. Consiste nel quantificare le emissioni dirette e indirette di gas effetto serra delle organizzazioni”, spiega l’esperto di Habitec.
Perché partire da qui? Lo chiedono clienti e mercati. Ma anche i requisiti per lavorare nel pubblico e le regolamentazioni di alcuni settori e paesi stranieri. Non solo, misurare l’impronta di carbonio fa crescere l’azienda “culturalmente”. Verso lo storytelling e la valorizzazione di un progetto di consapevolezza avviato prima dell’obbligatorietà normativa.
Il secondo passaggio, dopo la certificazione aziendale, è quello della pianificazione di nuovi investimenti. A livello industriale, possono coinvolgere diversi ambiti di processo, ma sono importanti anche nella logistica e nelle costruzioni. Sul fronte industriale, non abbiamo standard specifici ma possiamo rifarci ai criteri della tassonomia europea, che declinano anche spesa e finanziamenti bancari.
Discorso a parte meritano gli edifici intelligenti e sostenibili, che pesano molto in ottica di obiettivi globali di decarbonizzazione. Non a caso, in Italia certificare la sostenibilità degli edifici è una prassi sempre più diffusa. Si contano infatti più di 1.200 certificazioni Leed, 600 edifici Breeam e oltre 100 immobili Well. A tendere, dunque, gli edifici non certificati perderanno valore sul mercato immobiliare: aziende, costruttori e proprietari sono chiamati a muoversi in tal senso.
Nello specifico, questi strumenti, nelle diverse tipologie, certificano che la progettazione, la costruzione e la conduzione di immobili esistenti avvengano in modo sostenibile. Sono anche dedicati a vari tipi di edifici, quali residenziali, scolastici, sanitari, commerciali, uffici, ecc. Le certificazioni Leed e Breeam, per esempio, considerano l’impatto degli edifici sull’ambiente a partire dalla gestione del cantiere fino alla costruzione e alla messa in opera dell’edificio. Lo schema Well, invece, valuta anche il benessere delle persone. E lo analizza tramite diversi indicatori: qualità dell’aria e dell’acqua, illuminazione, comfort termico e acustico, esperienza delle persone, coinvolgimento della comunità e stato psicofisico.
Altro aspetto interessante, quello smart. Esistono infatti ulteriori valutazioni destinate all’indice di intelligenza degli edifici. Per esempio, lo SRI (Smart Readiness Indicator) e la certificazione Wired, legata alla connettività digitale dell’immobile. “Il passaggio successivo è definire un programma di miglioramento continuo. Un piano di decarbonizzazione che, in funzione degli obiettivi, possa declinarsi in azioni concrete”, continua Claudio Cont.
Ultimo tassello, la sostenibilità dei prodotti. Qui si certificano Lca (Life Cycle Assessment) ed Epd (Environmental Product Declaration). Il primo è un metodo oggettivo di quantificazione dei carichi ambientali e degli impatti potenziali associati a prodotti, processi o attività lungo dall’acquisizione delle materie prime al fine vita. La dichiarazione ambientale di prodotto, invece, descrive gli impatti ambientali legati alla produzione di un bene o all’erogazione di un servizio. Per esempio, consumi energetici e di materie prime, produzione di rifiuti ed emissioni in atmosfera. Esistono anche certificazioni di prodotto connesse a singole performance, come nel caso delle emissioni inquinanti.
Altrettanto strategica, per chi promuove la convergenza digitale come gli EcoXpert, la certificazione dei sistemi di monitoraggio e dei Bms (Building Management Systems). Nonché di tutte le altre tecnologie smart che aiutano ad aumentare le performance e, dunque, a ottenere certificazioni di sostenibilità a livello aziendale o di progetto.
Va in questa direzione anche la certificazione Green Premium sulla tracciabilità e l’impatto dei prodotti di Schneider Electric sull’ambiente e sull’energia. Jessica Curcio, Business Developer Energy Management dell’azienda, spiega i dettagli di questo strumento importante a supporto dell’attività dei partner EcoXpert. “Le soluzioni di Schneider Electric certificate Green Premium superano molteplici criteri di trasparenza e conformità – afferma Jessica Curcio -. In questi prodotti si trovano infatti informazioni affidabili sulle sostanze regolamentate presenti, sul loro impatto ambientale e su loro ciclo di vita. Questo incrementa il valore dei progetti su più fronti: utilizzo delle risorse, economia circolare e, naturalmente, benessere delle persone coinvolte”.
In particolare, la certificazione Green Premium si fonda su 4 pilastri:
“L’utilizzo di tutti gli strumenti di certificazione sopra citati aiuta a interpretare i percorsi di sostenibilità in modo chiaro e utile, sia a livello aziendale sia nei progetti di investimento. Così come conoscere le tecnologie abilitanti aiuta il business di tutti i nostri EcoXpert. Vogliamo fare squadra anche in questo ambito per il successo dei partner e dei clienti finali”, conclude Jessica Curcio.