Cos’è lo Smart Readiness Indicator (SRI) degli edifici? A che punto siamo nella definizione dei suoi risvolti applicativi? Cosa ne pensa il mercato italiano? Rispondono gli esperti dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano nel nostro terzo e ultimo approfondimento dedicato allo Smart Building Report 2020.
Dalla panoramica normativa ed evolutiva di questo indicatore alle opinioni dei player italiani: il mercato degli edifici intelligenti sembra avere molto da guadagnare da un’eventuale “standardizzazione” della sua essenza. Anche se il quadro applicativo risulta tutt’altro che semplice…
L’indicatore di intelligenza degli edifici nasce nell’ambito dell’Energy Performance of Building Directive (EPBD) del giugno 2018. L’obiettivo condiviso dalla Commissione europea è quello di definire una metodologia di calcolo per classificare il livello di “smartness” di un immobile.
Cosa si intende per intelligenza? La capacità di migliorare l’efficienza energetica e le performance degli immobili grazie all’adozione di tecnologie digitali.
Alla base dello SRI, tre stimoli fondamentali e concatenati:
Il potenziale, sul mercato degli smart building, è innegabile. Gli esperti parlano infatti di un duplice effetto di “market pull” e “demand push”. Nel primo caso, la valutazione dell’indice di intelligenza degli edifici può sensibilizzare gli attori della filiera circa l’impatto dei servizi digitali sul valore degli immobili. Secondo, l’utilizzo di un unico strumento, che racchiude molteplici parametri, spingerà i fornitori di tecnologie a sviluppare soluzioni smart-ready in linea con i criteri dello SRI.
La metodologia di calcolo dell’indicatore si basa su un processo di check-list diretto e immediatamente implementabile. Il certificatore deve verificare i servizi presenti e il loro livello di funzionalità. Ogni servizio è classificato all’interno dei seguenti domini:
ll contributo di ciascun servizio viene poi aggregato a livello dei 9 domini sopra elencati e valutato in relazione a 7 categorie di impatto.
La suddivisione comprende:
A questo punto, per definire il contributo di ciascun dominio relativamente alle categorie di impatto, servono i coefficienti. Il metodo di calcolo dello Smart Readiness Indicator ne prevede tre: fissi, di peso uguale e con pesi energetici bilanciati (fattori di ponderazione predefiniti e differenziati per tipologia di building e zona climatica).
Ed eccoci al bivio: come tradurre tutto questo nel quadro normativo nazionale? Il processo di consultazione sulle modalità di adozione dello SRI da parte degli stati europei ha “prodotto” diverse modalità di implementazione.
Ogni Paese può stabilire autonomamente come implementare l’indicatore, scegliendo uno di questi punti o combinando diverse opzioni.
L’Italia ha recepito la direttiva europea sulle performance energetiche degli edifici con D. Lgs. 48/2020. Tra le sue pagine, tuttavia, non c’è una netta presa di posizione sullo Smart Readiness Indicator, attualmente adottabile su base volontaria. In attesa di auspicabili evoluzioni, gli esperti dell’E&S Group hanno raccolto le opinioni di 60 operatori del settore smart building.
La survey evidenzia un buon livello di apertura e curiosità verso questo strumento. Il 65% dei player lo ritiene un meccanismo utile: molti (54%) legano questa affermazione alla possibilità di raccogliere, in un solo indice, tutti i metodi di classificazione e comparazione degli edifici intelligenti. Ancora più rilevante, nessuno lo considera uno strumento inutile, ma il restante 35% degli intervistati ha dichiarato di non averne piena consapevolezza.
Oltre il 60% dei rispondenti considera inoltre possibile l’applicazione dello SRI in tutte le fasi di vita di un edificio. Dalla progettazione alla costrizione, fino alla sua “occupazione”, l’indice di intelligenza abilita la definizione di tecnologie e strategie adeguate all’uso di ogni struttura.
Diverse sono le considerazioni sull’applicabilità dello Smart Readiness Indicator in Italia. Gli intervistati evidenziano infatti barriere principalmente legate a:
Ecco perché i partecipanti si mostrano più “freddi” sul fronte italiano, rispetto alla potenziale diffusione del modello a livello comunitario. Circa il 55% dei partecipanti al questionario evidenzia una media difficoltà nell’adozione dello SRI in Italia, che diventa elevata nel 30% delle risposte.
Dalle risposte del campione intervistato si evince che lo Smart Readiness Indicator – come tante altre iniziative Ue – non sarà di facile ed immediata applicazione nel nostro Paese. Anzi, al di là dei dettagli normativi bisognerà prendere in considerazione un periodo di transizione, per mettere in atto una strategia concreta ed efficace.
In generale, la nascita dell’indice di intelligenza rappresenta l’inizio di un cammino verso una maggiore coscienza dei vantaggi degli smart building. Tradotto, la strada è lunga ma necessaria. Soprattutto, è tracciata: avere a disposizione una precisa definizione dell’anatomia dello Smart Readiness Indicator degli edifici non può che favorirne gli sviluppi anche in Italia.