Nuovi centralini da incasso da Elettrocanali

Elettrocanali ha lanciato sul mercato la nuova serie di centralini da incasso serie 630-635.
Si tratta di centralini da incasso con porte con sistema di chiusura con scorrevoli verticali a molla, che rendono la porta stessa sicura e stabile in posizione chiusa, mentre per l’apertura è sufficiente una lieve pressione delle dita.

Le nuove porte, inoltre, possono essere equipaggiate con la nuova chiave di sicurezza a cilindro, che consente di bloccare la porta per esigenze di sicurezza e manovra controllate.
Disponibili da 4 a 72 moduli, i nuovi centralini da incasso possono essere acquistati con i tradizionali colori o nelle nuove collezioni d’arredo nero, bianco con porta fumé e bianco con porta opaca.

Design e funzionalità per i nuovi centralini da incasso

Centralino apertoLe soluzioni applicative spaziano dal residenziale al terziario sempre più caratterizzato da elementi di design coniugati alla funzione tecnica demotica.
Le robuste cassette in polistirolo arancio consentono la massima libertà d’installazione con prefratture predisposte per l’ingresso con tubi corrugati fino a 40 mm.

L’elevata resistenza meccanica, dovuta alla particolare geometria della costruzione della scatola, assicura che la stessa non si deformi durante la posa in opera.

La scatola, simmetrica come il frontale, non pone nessun vincolo di orientamento alto/basso per evitare errori di muratura.
Il frontale reversibile permette l’apertura delle portelle indifferentemente a destra o a sinistra.
La barra DIN EN 50022, realizzata in acciaio zincato, è regolabile in orizzontale per un perfetto allineamento in bolla delle apparecchiature e del frontale anche se la scatola non è stata murata perfettamente in orizzontale.

La particolare forma costruttiva delle guide di supporto permette di recuperare le irregolarità di profondità dovute alla finitura delle superfici murarie per una installazione a regola d’arte.
Le guide DIN, alloggiate su due telai indipendenti ed estraibili per effettuare il cablaggio al banco, sono fissabili su due posizioni per accogliere interruttori di diversa altezza.
I centralini da incasso sono forniti con tappi copri moduli inutilizzati per realizzare il doppio isolamento, così da essere idonei al montaggio con isolamento completo secondo le norme IEC 60670-1/24.

Adatti anche per il cartongesso

I nuovi centralini da incasso Elettrocanali serie 630-635 sono disponibili anche per l’applicazione in pareti cave in cartongesso con le dimensioni da 8, 12,18, 24, 36, 54 e fino a 72 moduli.
La norma EN 60670-1 prescrive che le scatole da incasso installate in pareti cave siano realizzate in materiale plastico che superi il Test del Filo Incandescente (GWT) a 850 °C; le scatole e i centralini da incasso per pareti in muratura, di solito, sono realizzate in materiale che supera il test fino a 650 °C, e quindi non sono adatte.
Con la nuova gamma serie 635, Elettrocanali risponde alla normativa con centralini conformi, realizzati in tecnopolimero blu autoestinguente, frontale in colore bianco RAL9001 e portello fumé.
Non solo: le scatole fino a 24 moduli sono dotate di particolari accorgimenti di fissaggio (vite + graffetta metallica) per essere installate facilmente sulla parete in cartongesso, utilizzando come dima di foratura la scatola stessa: si segna il perimetro e una volta effettuato il taglio si infila la scatola nella cavità.

Centralino apertoIl fissaggio alla parete è semplice e veloce: inserita la scatola nella sede ricavata sulla parete, si serrano comodamente dal fronte le viti che agiscono sulle graffette metalliche ad apertura automatica che ancorano stabilmente la scatola alla parete.

In questo modo è anche possibile intervenire successivamente per nuove installazioni e manutenzioni estraendo la scatola dalla cavità senza rischio che possa cadere nella parete cava.
I centrali da 36, 54 e 72 moduli, invece, sono realizzati con ampie patelle esterne alla scatola per il fissaggio diretto della stessa ai montanti della struttura in cartongesso.
Questa soluzione garantisce la massima stabilità e robustezza anche in presenza di centralini particolarmente densi di apparecchiature e pesanti.
Tutti i centralini sono disponibili anche in versione equipaggiata completi di morsettiere di neutro/terra.

Il futuro della mobilità elettrica: l’infrastruttura di ricarica in Italia al 2030

Le infrastrutture di ricarica sono presupposti essenziali per lo sviluppo della mobilità elettrica. Ma come si prospetta nel nostro Paese il futuro di tali infrastrutture? A chiederselo è MOTUS-E tra le pagine de Il futuro della mobilità elettrica: l’infrastruttura di ricarica in Italia @2030, report redatto in collaborazione con Strategy& PwC.

Il rapporto, contenente gli scenari di sviluppo delle infrastrutture di ricarica pubbliche e private per i veicoli elettrici nel prossimo decennio, è stato presentato in un recente webinar a cui hanno partecipato i rappresentanti degli operatori di ricarica associati Acea, Assopetroli-Assoenergia, Axpo, A2A, BeCharge, Edison, Enel X e Neogy.

Finalità del report

Il documento realizzato da MOTUS-E, che – ricordiamo – è la prima associazione italiana costituita per accelerare il cambiamento verso l’E-Mobility, si configura come un’analisi di contesto finalizzata a guidare efficacemente il nostro Paese verso la mobilità a zero emissioni.

“Con questo studio – ha dichiarato il Segretario Generale di MOTUS-E Dino Marcozzi – vogliamo fornire una fotografia dettagliata del quadro attuale e delle prospettive future sulla mobilità elettrica a servizio di tutti gli stakeholder coinvolti”. L’E-Mobility, difatti, è una realtà in continuo divenire. Nonostante l’emergenza sanitaria legata al COVID-19, si stima che quest’anno si arriverà a 28.000 vetture elettriche in Italia, triplicando quasi le vendite del 2019. Come puntualizzato dal Segretario Marcozzi, questo trend “conferma che sarà sempre più importante mettere a disposizione degli automobilisti una adeguata rete di infrastrutture di ricarica pubblica e agevolare le procedure di installazione delle ricariche private”. L’obiettivo primario è perciò di sostenere la crescita delle auto elettriche con piani infrastrutturali adeguati alle ambizioni.

Entriamo ora nel dettaglio, analizzando alcuni tra i punti più significativi trattati nel report e durante l’evento online.

L’attuale rete di infrastrutture di ricarica

Ad oggi in Italia si contano sulle 8.500 infrastrutture di ricarica (IdR) con quasi 16.700 relativi punti di ricarica (PdR). Il 95% circa delle infrastrutture di ricarica pubblica offre potenze tra 22-43 kW, mentre la presenza di ricarica ad alta e altissima potenza, superiore cioè ai 100 kW, è molto limitata, in particolar modo lungo le autostrade.

Futuro della mobilità elettrica

Dal report Il futuro della mobilità elettrica: l’infrastruttura di ricarica in Italia – Le attuali infrastrutture pubbliche

Le infrastrutture pubbliche sono per di più concentrate nel Nord Italia e vengono installate soprattutto nelle città metropolitane.

Contrariamente al parco EV, invece, i garage privati sul territorio si localizzano prevalentemente in città minori e nelle aree suburbane.

I possibili scenari

L’ipotesi di sviluppo del mercato degli autoveicoli al 2030 riassunta da MOTUS-E prevede circa 4,9 milioni di veicoli elettrici, di cui:

Per le infrastrutture di ricarica, invece, l’associazione ipotizza due scenari. Il primo “Customer experience focused”, che mira cioè a migliorare significativamente l’esperienza di ricarica dell’utente rispetto al livello attuale, prevede uno sviluppo della rete di ricarica pubblica complementare alla rete privata. Su una domanda energetica al 2030 per la mobilità elettrica pari a circa 10 TWh, questo scenario ipotizza un 42% di ricarica privata domestica, un 30% di ricarica condivisa e un restante 28% di ricarica pubblica, con 98.000 punti di ricarica. I PdR sono così distribuiti sulle diverse potenze: 14% slow (3-7 kW), 54% quick (22 kW), 32% Fast e Super Fast (50-350 kW).

Il secondo scenario, denominato “Proximity focused”, cioè basato sulle esigenze di prossimità della ricarica rispetto all’utente e quindi su una maggior copertura, prevede una rete di IdR in cui trovino più spazio punti di ricarica pubblici a bassa potenza. Si tratta di una valida alternativa alla ricarica domestica per chi non dispone di garage, che punta a stimolare la ricarica durante la notte, ispirandosi al modello di alcune città europee come Amsterdam e Londra, con limitata disponibilità di parcheggi privati.

Questo scenario ipotizza che il 62% del fabbisogno energetico verrà soddisfatto con ricariche private e condivise, 32% e 30% rispettivamente, e il 38% con ricariche pubbliche, con 130.000 PdR. In questo caso, come spiegato da MOTUS-E, i 130.000 PdR hanno potenze maggiormente polarizzate: 40% slow (3-7 kW), 45% quick (22 kW), 15% Fast e Super Fast (50-350 kW).

Gli scenari della mobilità elettrica al 2030

Dal report Il futuro della mobilità elettrica: l’infrastruttura di ricarica in Italia @2030 – Gli scenari al 2030

Tra le pagine del report, si sottolinea inoltre l’assoluta necessità di una rete di ricarica ad alta potenza estesa e diffusa al 2030, che garantirà la copertura di autostrade e strade extraurbane, così come lo sviluppo di “Hub urbani” per la ricarica veloce.

Si ipotizzano circa 31.000 PdR ad alta potenza nello scenario “Customer experience focused” mentre circa 19.000 PdR nello scenario “Proximity focused”

La stima prende spunto anche da modelli esteri che dimostrano come la presenza di ricariche veloci rappresenti un fattore abilitante strategico per il maturo sviluppo della mobilità elettrica.

Futuro della mobilità elettrica: le sfide dei prossimi anni

Vista la diffusione dei veicoli elettrici che si evidenzia in questo momento, è importante accelerare anche i piani infrastrutturali. Cruciale appare il tema della ricarica pubblica, in considerazione del fatto che circa il 50% dei possessori di veicoli elettrici non ha a propria disposizione un punto di ricarica domestico o presso il proprio ufficio.

Tra le sfide da intraprendere emerge anche la priorità di installare tecnologie idonee alle necessità degli utenti. Si deve nello specifico puntare sulla ricarica rapida in città e sulla ricarica velocissima in autostrada. L’obiettivo finale è quello di coprire con adeguate tecnologie l’intero territorio nazionale, assicurando il massimo accesso alle infrastrutture di ricarica pubblica.

Nel ventaglio di sfide rilevanti che si prospettano invece sul fronte della ricarica domestica rientra la necessità di abilitare lo Smart Charging, ovvero la possibilità di controllare la ricarica in funzione della potenza disponibile sul contatore nel momento in cui viene avviato il processo. Si tratta di una funzionalità di grande importanza per evitare che gli utenti debbano riarmare i contatori a seguito di supplementi di potenza.

A livello di ricarica residenziale emerge per di più l’esigenza per l’utente privato di realizzare il processo in un posto sicuro, che abbia sufficiente disponibilità di ricarica a un costo sostenibile.

Gli ostacoli burocratici e organizzativi

Uno dei nodi da sciogliere per una diffusione capillare delle infrastrutture di ricarica nel nostro Paese è di natura burocratica e organizzativa. Una grande problematica che oggi vive l’automobilista elettrico nel territorio nazionale è quella di confrontarsi con infrastrutture installate ma che tuttavia non possono essere ancora utilizzate perché i distributori di energia stanno completando l’iter autorizzativo dipendente dagli Enti preposti.

Altro tema cruciale è quello delle ricariche ad alta potenza o High Power Chargers (HPC) che rappresentano un elemento cardine in entrambi gli scenari ipotizzati da MOTUS-E. Per avere una crescita capillare degli HPC è indispensabile riuscire a dialogare in anticipo con i distributori, così da conoscere quali sono i luoghi dove la potenza può essere disponibile nel breve tempo.

L’obiettivo da raggiungere è quello di rendere la mobilità elettrica democratica, facendo sì che i cittadini sprovvisti di un garage o dell’opportunità di ricaricare la propria vettura a lavoro possano comunque scegliere un’auto elettrica al momento dell’acquisto.

La situazione dei fondi: a che punto siamo?

Il Piano Nazionale Infrastrutturale per la Ricarica dei veicoli alimentati ad energia Elettrica (PNIRE) ha messo a disposizione corposi fondi per lo sviluppo delle infrastrutture sul territorio. Il problema per l’utilizzo di questi capitali è dato dal fatto che se vengono erogati a operatori privati si entra nell’ambito del finanziamento statale ad aziende private, ovvero nel contesto dei contributi de minimis che vincolano fortemente l’uso di tali fondi.

L’unica strada praticabile fin dall’inizio è stata di conseguenza quella di rendere destinatari dei fondi gli stessi Enti pubblici. Il percorso si è quindi reso molto più complesso, prevedendo necessariamente un modello di business in cui gli asset devono essere di proprietà degli Enti pubblici. Pur con queste difficoltà, alcune realtà pubbliche hanno bandito delle gare per realizzare dei primi lotti di infrastrutture di ricarica. È il caso della Provincia di Bolzano che, grazie a un bando del 2016, ha permesso all’Alto Adige di divenire una delle aree più infrastrutturate d’Europa rispetto ai punti di ricarica destinati all’E-Mobility.

Le strategie da perseguire

A prescindere dalle attuali difficoltà sul fronte dei finanziamenti, della burocrazia e dell’organizzazione, i dati relativi alla presenza dei veicoli elettrici parlano con chiarezza: la diffusione di queste vetture sta crescendo in maniera esponenziale. Per questo motivo, suggerisce MOTUS-E, “è necessario accompagnare lo sviluppo del mercato veicolare con una adeguata copertura infrastrutturale pubblica e privata del territorio nazionale, attraverso piani di sviluppo condivisi e partecipati tra gli stakeholder e tutte istituzioni coinvolte”. Come puntualizzato dall’associazione, “sarebbe opportuno a questo scopo costituire una regia nazionale, di coordinamento tra Governo centrale, amministrazioni locali e stakeholder di settore che possa pianificare con strumenti adeguati la crescita infrastrutturale per arrivare alla redazione di un PNIRE rivoluzionato nella governance e nelle modalità di erogazione dei finanziamenti”.

Il futuro dell’E-Mobility, insomma, è ben delineato. Unendo forze, competenze e professionalità si potrà fornire un’ulteriore spinta alla transizione verso questa forma di mobilità sostenibile.

APC Easy Rack PDU: distribuzione affidabile dell’alimentazione

La nuova gamma APC Easy Rack PDU, completa di flessibile monitoraggio remoto dell’alimentazione con ingombro compatto e ultraleggero di Schneider Electric, è la soluzione ideale per le PMI e gli ambienti IT aziendali e può essere personalizzata per soddisfare qualsiasi richiesta dei clienti.

Facile da installare e da usare, offre una distribuzione affidabile e sicura dell’alimentazione: dagli armadi di rete e dagli ambienti di edge computing, fino ai data center di piccole e medie dimensioni, sono una soluzione resiliente per la continuità dell’alimentazione.

Le principali caratteristiche

Le PDU APC Easy Rack hanno un’interfaccia web multifunzionale e sono personalizzabili per colore, lunghezza del cavo e numero di prese.
La nuova gamma è più leggera e progettata in un alloggiamento in alluminio che rende l’installazione rapida e semplice sia per professionisti IT sia per integratori di sistemi, installatori elettrici e rivenditori a valore aggiunto (VAR).

Rappresentano una soluzione di distribuzione dell’alimentazione economica e affidabile, completa di montaggio senza attrezzi e staffe. Questo significa che non è necessario acquistare accessori aggiuntivi per renderla adatta alla propria applicazione.

Conformità alle normative

Tutte le PDU APC Easy Rack soddisfano gli standard di compatibilità elettromagnetica (EMC) e le verifiche di sicurezza CE EN55035, EN55032, EN55024, TUV e EN / IEC62368-1. Sono complete di protocolli di sicurezza informatica per l’autenticazione e la crittografia.

3 versioni di APC Easy Rack PDU

Le tre versioni si adattano alle diverse esigenze aziendali anche grazie alla facilità di utilizzo, leggerezza e flessibilità.

Smaltimento rifiuti Raee: servono nuove regole

Chi è ‘l’inquinatore’? Colui che si ritrova nelle mani il prodotto da buttare via? Chi lo ha progettato e immesso in commercio? Chi l’ha distribuito? I produttori di materie prime? La questione riguarda molto da vicino anche i rifiuti Raee (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche). In attesa di una risposta convincente – che non c’è –, per far fronte al problema dello smaltimento dei rifiuti, di ogni genere, si fa ricorso sempre più spesso al principio di responsabilità estesa. Che può essere declinato in molti modi. Ad esempio, può implicare la responsabilità economica di farsi carico dei costi della gestione dei rifiuti, inclusi i ‘costi esterni’ determinati dallo smaltimento. E ciò vale anche per i rifiuti e materiali del comparto elettrico ed elettronico.

In Europa, di solito, il principio di responsabilità estesa si concretizza nell’attribuzione a determinati soggetti – spesso i produttori o distributori – di obiettivi quantitativi, per esempio in termini di riciclo, di intercettazione e raccolta dei rifiuti, lasciando loro la libertà di organizzarsi, ma penalizzandoli con sanzioni economiche se falliscono l’obiettivo.

Copertina Libro Un mondo di rifiuti

“In linea di principio, l’obiettivo prevalente ricade sui principali produttori, ciascuno in ragione di quanto immette sul mercato”, rimarca Antonio Massarutto nel volume ‘Un mondo senza rifiuti?’, pubblicato da Il Mulino. Che sottolinea: “in questo modo si ritiene che ogni soggetto riceva un maggiore incentivo a differenziare in modo innovativo il proprio prodotto. Ma in pratica, quasi ovunque si sono affermati dei soggetti collettivi – i Producer Responsibility Organization, PRO nel gergo europeo – aderendo ai quali le imprese si liberano dalla responsabilità, esercitandola in forma consortile”.

Una montagna, anzi, una flotta di treni, di rifiuti Raee

In Italia, il Conai (Consorzio nazionale imballaggi) è un consorzio obbligatorio, cui aderiscono tutti i soggetti che immettono sul mercato imballaggi nuovi, in proporzione ai quali versano un contributo economico. Con queste risorse (oltre che con i proventi dei materiali recuperati), il Conai finanzia anche le raccolte differenziate svolte dai Comuni, e le fasi di trattamento successive, che sono svolte da imprese specializzate selezionate sul mercato. Il caso degli imballaggi è per certi versi rappresentativo, ma non certo unico. In molti altri campi si sono costituiti modelli di gestione analoghi.

Nel caso dei rifiuti elettronici, ad esempio, non si è costituito un consorzio monopolistico, ma si è puntato fin da subito sulla creazione di più soggetti tra loro in competizione, pur assoggettati al coordinamento di una ‘cabina di regia’ comune, che opera a livello nazionale e si assume responsabilità per gli obiettivi complessivi. Ciascuno dei consorzi affiliati è responsabile di fronte al coordinatore per la propria parte, in funzione delle quantità immesse sul mercato dai rispettivi associati.

Nel 2019 Ecodom, il principale Consorzio italiano di gestione dei Raee (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) ha gestito 122mila tonnellate di materiali, provenienti dalle case degli italiani – equivalenti al peso di 156 treni Freccia Rossa da 8 carrozze –, con un incremento del 16% rispetto al risultato raggiunto nel 2018 (105mila tonnellate). La raccolta ha evitato l’immissione nell’atmosfera di 849mila tonnellate di CO2, e un risparmio di oltre 153 milioni di kWh di energia elettrica.

Recupero rifiuti Raee: sul podio Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto

“Il successo sin qui è indiscutibile, ma non ci autorizza a dormire sugli allori”, rileva Massarutto: “si può fare ancora meglio, sia estendendo il modello a nuove frazioni di materiali, sia immaginando obiettivi e sistemi di incentivazione diversi, sia ancora aprendo i sistemi esistenti a una maggiore concorrenza”.

Ecodom recupera rifiuti Raee in tutta Italia, e sul podio per raccolta ci sono tre Regioni del Nord: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, seguite dalla Toscana. Fanalino di coda il Molise, con la maglia nera di regione meno virtuosa, seguita dalla Basilicata (che era ultima nel 2018).

Tra i rifiuti domestici gestiti da Ecodom nel 2019 prevalgono quelli del Raggruppamento R2 (Grandi Bianchi) con 76mila tonnellate (il 62% del totale). Seconda posizione per il Raggruppamento R1 (Freddo e Clima) con 38mila tonnellate (31%), seguito dai piccoli elettrodomestici (4.500 tonnellate, 4%), e da Tv e Monitor (3.200 tonnellate, 3%). Il Consorzio ha inoltre trattato anche 7 tonnellate di sorgenti luminose (R5). E i vertici del consorzio Ecodom sottolineano: “i risultati ottenuti sono ancora più importanti se si considera che il settore dei Raee è indebolito da carenze legislative e dalla mancanza di adeguati controlli lungo la filiera”.

Rifiuti RAEE Open Scope

Servono nuove regole per incentivare il recupero

In primo luogo, si potrebbero definire gli obiettivi su base non più nazionale ma regionale – così da stimolare la raccolta anche nelle regioni più in ritardo – e concentrarli sui flussi primari, quelli derivati dal consumo.

Si potrebbero anche accompagnare gli obiettivi minimi di riciclo con una tassa che vada a colpire la frazione non riciclata, così da rendere comunque conveniente un impegno ulteriore oltre al minimo. E ancora, andrebbero studiati meccanismi di contribuzione tali da stimolare una maggiore concorrenza tra i diversi materiali, anche allo scopo di privilegiare quelli che si dimostrano più facili da intercettare e riciclare.

“La tradizionale separazione tra rifiuti urbani – appannaggio del servizio pubblico gestito in regime di monopolio e assoggettato a una tassa –, e rifiuti speciali – gestiti in regime di mercato con operatori autorizzati – ha fatto il suo tempo”, evidenzia l’autore di ‘Un mondo senza rifiuti?’. E osserva: “quelli che in passato erano due mondi relativamente distanti e impermeabili, sono divenuti una realtà sempre più integrata, caratterizzata da flussi sempre più rilevanti che attraversano la frontiera tra le due categorie, in un senso come nell’altro”.

Secondo l’autore, “è quindi un grande errore pensare che rifiuti urbani e speciali siano mondi separati e distinti. Molti rifiuti speciali sono in realtà ex rifiuti urbani avviati al recupero, ma che poi per qualche ragione sono stati scartati o non trovano un mercato. Il rischio è che si pensi di aver risolto il problema dei rifiuti urbani semplicemente derubricandoli dalla qualifica di urbani e, pertanto, facendoli uscire dall’ambito di competenza del servizio pubblico. Occorre concepire un regime diverso, imperniato non sulla provenienza, domestica o industriale, ma sulle caratteristiche merceologiche dei flussi, distinguendo tra rifiuti recuperabili e ‘rifiuti ultimi‘, ossia quelli che non possono o non riescono in alcun modo ad essere recuperati”.

Non tutti gli scarti sono uguali

Secondo questa impostazione dovrebbe essere il mercato – tendenzialmente sempre più aperto e concorrenziale – a gestire i flussi di materiali recuperabili, sia in forma di materia sia di energia, mentre il servizio pubblico dovrebbe concentrarsi sulla gestione dei rifiuti ultimi, ossia trovare destinazione a quanto il mercato non è in grado di assorbire.

L’autore dell’analisi su come gestire i rifiuti sottolinea poi: “il principale problema sta nel fatto che per gestire i rifiuti ultimi sarà necessaria una congrua dotazione di impianti; ma nello stesso tempo, questa dovrà essere sempre più piccola, man mano che cresce la capacità di riciclo, con il rischio quindi che la capacità in eccesso risulti inutilizzata. Occorrerà quindi pianificare con attenzione l’eccesso di capacità, trovando il modo di condividerne il costo su scala nazionale”. E Massarutto indica una proposta: “a questo fine, opportuni sistemi di incentivi e penalità economiche devono essere studiati per ridurre al minimo il ricorso a questo secondo canale, che pure deve essere dimensionato in modo tale da assicurare una destinazione a tutti i flussi residui, qualunque ne sia la provenienza”.

Uno strumento certamente utile può essere la tassazione della discarica: è già presente in Italia, ma per importi che sono ancora troppo bassi e insufficienti a incoraggiare la transizione verso altre soluzioni. Per essere efficace, la tassa deve modificare il quadro delle convenienze, quindi essere tarata a un livello pari alla differenza tra la tariffa ‘al cancello’ della discarica e il costo delle migliori alternative. Insomma, c’è ancora parecchio da fare per innovare senza sprecare e inquinare di meno.

Comfort green ed ecosostenibile con la pompa di calore Therma V

La pompa di calore Therma V di Lg Electronics è una soluzione integrata per la climatizzazione invernale ed estiva e la produzione di acqua calda sanitaria, ottimizzata per gli spazi residenziali. Design elegante che si sposa bene con il resto degli elettrodomestici, sostenibilità aumentata grazie all’utilizzo del nuovo refrigerante ecologico R32 sono alcune delle peculiarità del prodotto all-in-one dell’azienda. Il refrigerante R32 consente, infatti, una riduzione del 68% del potenziale di riscaldamento globale (GWP – Global Warming Potential) rispetto al gas refrigerante R410A.

I componenti di Therma V

La nuova Therma V integra in una unità interna tutti i componenti idronici, il serbatoio d’acqua sanitaria da 200 litri (non è necessaria l’installazione aggiuntiva di un serbatoio dell’acqua), l’accumulo inerziale da 40 litri, il secondo vaso d’espansione per fornire – con un sistema compatto e semplice da installare – riscaldamento, raffrescamento e acqua calda sanitaria (ACS).

Il compressore R1 unito al refrigerante R32 garantisce sia efficienza energetica elevata sia un risparmio sui consumi energetici. Il compressore R1 combina il metodo di compressione di un compressore scroll con la struttura di un compressore rotativo per un risultato ancora più performante: miglioramento dell’affidabilità, riduzione dei consumi, eliminazione dei difetti e degli svantaggi delle due tipologie, incremento della durata della macchina.

Ulteriori plus:

La pompa di calore Therma V integra l'acqua calda sanitaria

La pompa di calore Therma V risponde alla direttiva ErP

La nuova pompa di calore, oltre ad essere una scelta green ed ecosostenibile, è in classe A+++ per il riscaldamento degli ambienti e A+ per il riscaldamento dell’acqua secondo la direttiva ErP (Energy-related Products Directive).

Controllo da remoto

La pompa di calore Therma V con ACS integrato può essere monitorata e gestita a distanza con la app LG ThinQ e possibilità di comandare la pompa di calore con i comandi vocali.
Un ulteriore vantaggio è la facilità di controllo con il comando a filo RS3 con schermo LCD a colori e un’interfaccia user-friendly.

Da Mitsubishi Electric una guida pratica Superbonus 110%

Le offerte che promettono di effettuare riqualificazioni energetiche sfruttando l’incentivo fiscale Superbonus sono ormai tantissime e spesso non è facile districarsi tra le diverse soluzioni e opportunità. Mitsubishi Electric per supportare le persone ha raccolto le informazioni nella guida pratica Superbonus 110% presente sul proprio sito web.

Guida pratica Superbonus 110%: come funziona

Proprio per fare chiarezza è nata la guida pratica Superbonus 110% che spiega la manovra incentivante per la riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente, con particolare attenzione agli edifici residenziali.

All’interno della pagina vengono evidenziati i vantaggi della detrazione fiscale che consente di recuperare il 110% della spesa fatturata in 5 anni e non in 10, come per gli interventi legati a Ecobonus e Bonus Casa. O come utilizzare la cessione del credito, che rappresenta la condizione per non dover anticipare le somme per gli interventi in casa.

La pagina è realizzata in maniera chiara e schematica e identifica quali sono i soggetti che possono richiedere l’incentivo maggiorato, per quali interventi è possibile ottenerlo e le condizioni necessarie.

Superbonus 110%: differenza interventi trainati e interventi trainanti

Proprio per dare un aiuto concreto, nella pagina sono identificati i diversi tipi di interventi che possono rientrare nella detrazione fiscale 110% e viene specificato che gli interventi trainanti (isolamento termico e all’impianto termico delle parti comuni di condomini ed edifici unifamiliari e/o plurifamiliari) sono quelli necessari, mentre quelli trainati accedono soltanto quando effettuati contestualmente a quelli trainanti.
In ogni caso, è richiesto un aumento di almeno due classi di efficienza energetica o se non fosse possibile è necessario il raggiungimento della classe energetica più alta possibile.

Per ogni intervento, conclude la guida pratica Superbonus 110%, è opportuno ricordare che il tetto di spesa non è illimitato, ma per ogni intervento sono stati definiti dei limiti di spesa a seconda della tipologia di edificio.

Superbonus: le pompe di calore Mitsubishi Electric

Tra gli interventi trainanti nel superbonus 110% è fondamentale l’installazione di una pompa di calore che assicura riscaldamento e raffrescamento senza emissioni di CO2. La pompa di calore sfrutta l’energia rinnovabile, riduce i costi energetici e migliora la classe energetica della casa o dell’ edificio.

Mitsubishi Electric propone la linea di pompe di calore aria-acqua Ecodan che si distinguono per ridotto consumo energetico, massima efficienza e sostenibilità.

Le nuove unità esterne Ecodan R32 SUZ-SWM utilizzano il gas refrigerante R32 e sono disponibili con capacità 4,00, 6,00, 8,00 kW. Per raggiungere la classe A+++ in riscaldamento e A+ per la produzione di acqua calda sanitaria è possibile abbinare l’unità esterna ai moduli interni D-generation.

Finita la pandemia ci aspetta il boom del fotovoltaico

“Comunque vada, prima o poi tornerà a splendere il sole”: un auspicio noto, purtroppo tremendamente attuale di questi tempi, ma che assume un altro significato, molto più letterale, nel leggere uno dei rapporti annuali più importanti del settore energetico, il World Energy Outlook 2020 redatto dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA).

Un futuro radioso a partire dal 2022

Per il sole, o meglio per i pannelli solari che sulla Terra ne catturano e distribuiscono l’energia, il futuro post pandemia appare davvero radioso. Certamente la pensa così Fatih Birol, che dell’IEA è il direttore esecutivo. “Il fotovoltaico – ha dichiarato – ormai sta diventando il nuovo re dei mercati elettrici mondiali. Sulla base delle attuale direzione politica, è sulla buona strada per stabilire ogni anno nuovi record di diffusione a partire dal 2022″.

comparazione fonti - World Energy Outlook 2020

Ripensamento strutturale per contenere emissioni nocive

Un’affermazione confortante a margine di un rapporto 2020 che però non lo è affatto. E per capirlo bastano le frasi introduttive dello stesso Birol: “Il ciclo recessivo causato dalla pandemia – si legge – ha temporaneamente abbattuto le emissioni nocive, ma la depressione economica non può essere la strategia da adottare per andare verso un sistema a basse emissioni. Soltanto un ripensamento strutturale del modo in cui produciamo e consumiamo energia può interrompere il trend negativo delle emissioni”.

Ed ancora: “I governi hanno la capacità e la responsabilità di intraprendere azioni capaci di accelerare la transizione verso l’utilizzo di energia pulita. Il loro scopo – conclude il direttore esecutivo IEA – deve essere quello di creare le condizioni per il raggiungimento degli obiettivi di contenimento dell’innalzamento climatico, compreso il traguardo delle emissioni zero”.

World Energy Outlook 2020: i 4 scenari

Inevitabilmente, lo spettro del coronavirus incombe sull’edizione del World Energy Outlook 2020. Il rapporto sottolinea come la pandemia in corso ha provocato più danni al settore energetico di qualsiasi altro evento del recente passato. Da qui la necessità, guardando al decennio che ci condurrà fino al 2030, di ipotizzare diversi scenari a seconda delle modalità d’uscita dall’attuale periodo di crisi.

variazione della produzioni fonti energetiche

Gli scenari STEPS e DRS

In particolare, gli scenari presi in considerazione dall’IEA sono quattro. Il primo è lo scenario delle politiche dichiarate (STEPS), che prevede il conseguimento degli obiettivi politici annunciati fino ad oggi, nella misura in cui verranno accompagnati da misure ad hoc per la loro realizzazione. In virtù di queste premesse, il Covid-19 verrà gradualmente portato sotto controllo nel corso del 2021 con l’economia globale capace di tornare subito sui livelli pre-pandemia.

Il secondo scenario, denominato Delayed Recovery (DRS), con le medesime politiche dichiarate prende invece in considerazione l’eventualità di una recessione profonda e di una ripresa ritardata a causa del prolungarsi della pandemia.

Gli scenari SDS e NZE2050

C’è poi lo scenario dello sviluppo sostenibile (SDS) che, pur partendo dalle ipotesi sulla salute pubblica e sull’economia dello STEPS, prevede un’impennata nelle politiche e negli investimenti per l’energia pulita al fine di mettere il sistema energetico sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi e di sviluppo sostenibile.

Infine, nel World Energy Outlook 2020 viene introdotto il nuovo scenario delle zero emissioni nette entro il 2050 (NZE2050), che poi rappresenta un’ulteriore evoluzione dello scenario SDS. In sintesi, il fattore aggiuntivo consiste nella previsione di un maggiore e crescente numero di Paesi che decide di puntare con forza, entro la metà del secolo, su un sistema sociale ed economico a zero emissioni.

variazioni fonti domanda

Il sorpasso del fotovoltaico sul fossile

Le energie rinnovabili, in primis quella assicurata dal fotovoltaico, sono in prima fila in tutti gli scenari sopra descritti. In particolare, il rapporto sottolinea come proprio il salto di qualità del fotovoltaico, ormai costantemente più conveniente a parità di energia prodotta delle nuove centrali a carbone o a gas nella maggior parte dei Paesi, questo perché gli impianti fotovoltaici di ultima generazione sono capaci di generare elettricità con i più bassi costi di sempre.

E così, prendendo in considerazione lo scenario STEPS, le energie rinnovabili saranno in grado di soddisfare l’80% della crescita della domanda globale di elettricità nel prossimo decennio. Nel dettaglio, se l’energia idroelettrica rimarrà la più grande fonte rinnovabile, il fotovoltaico sarà caratterizzato dal maggior tasso di crescita, seguito dall’eolico onshore e offshore.

Il peso delle rinnovabili nello scenario più virtuoso

Infine, particolarmente interessanti sono le performance che dovrebbero essere ottenute dalle energie rinnovabili per arrivare ad emissioni zero nel 2050. Infatti, lo scenario NZE2050 specifica che la produzione annuale da fotovoltaico dovrà passare dai 110 GW registrati nel 2019 a quasi 500 GW raggiunti nel 2030. Parallelamente, la quota delle energie rinnovabili nella fornitura globale di elettricità dovrà aumentare dal 27% del 2019 al 60% del 2030.

Uno sforzo non da poco per il prossimo decennio, che tradotto in denaro significherà triplicare il livello di investimenti sullo sviluppo delle rinnovabili, raggiungendo l’ammontare di 2.200 miliardi di dollari nel 2030 (dai 760 miliardi del 2019), con più di un terzo della spesa che dovrà essere indirizzato all’adeguamento delle infrastrutture elettriche.

Indice di sostenibilità: Schneider Electric c’è

Come valutare l’indice di sostenibilità di una global company? Clima, energia, formazione, inclusione sociale: Schneider Electric mantiene le promesse green. E le misura attraverso un “termometro” interno chiamato Schneider Sustainability Impact (SSI), le cui performance rilanciano la corsa dell’azienda agli obiettivi del triennio 2018-2020.

Il punteggio di 8,63 su 10 ottenuto nel terzo trimestre 2020 segna un notevole passo avanti rispetto al 7,71 della rilevazione precedente. A riprova che gli effetti sanitari ed economici dell’emergenza covid-19 non frenano lo spirito sostenibile dell’azienda.

Indice di sostenibilità per un mondo migliore

“Siamo orgogliosi di quanto ottenuto, nonostante le circostanze particolari di questo 2020 – commenta Olivier Blum, Chief Strategy and Sustainability Officer di Schneider Electric -. Non possiamo e non vogliamo fermarci qui: riteniamo nostra responsabilità continuare a produrre un grande impatto, sia tramite il modo in cui operiamo sia con quello che offriamo ai clienti. Oggi più che mai, è cruciale che aziende, governi e comunità lavorino insieme per decarbonizzare l’economia globale”.

I risultati extra-finanziari viaggiano dunque insieme a quelli finanziari, come specchio di una complementarietà ormai necessaria. Per questo Schneider Electric ha scelto di misurare il proprio impatto sociale e ambientale attraverso un indice di sostenibilità interno. Un rigoroso strumento che monitora i progressi attraverso 21 indicatori strettamente allineati agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (SDG).

Cosa significa essere green

Eccoci al cuore del programma Schneider Sustainability Impact. Le sue 21 voci sono raggruppate in cinque megatrend:

Vediamone la declinazione in progetti concreti.

Zero emissioni al 2040

Schneider ha progressivamente ampliato l’impegno contro i cambiamenti climatici. In particolare, durante la Climate Week 2020, l’azienda ha annunciato l’obiettivo di ottenere una neutralità di emissioni completa entro il 2040. Ovvero dieci anni prima rispetto a quanto previsto dagli accordi di Parigi per mantenere l’aumento di temperatura globale entro gli 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale.

Fonti rinnovabili: ci siamo

L’azienda è in linea con l’obiettivo di ottenere l’80% del proprio fabbisogno di energia elettrica da fonti rinnovabili. Al 30 settembre, infatti, la percentuale si attestava al 65%. Ma nel complesso il progetto ha permesso al gruppo di ridurre le emissioni operative di CO2 di oltre 250.000 tonnellate negli ultimi due anni. Per questo Schneider Electric è stata anche nominata “2020 Clean Energy Trailblazer” (pioniera dell’energia pulita) in occasione della prima edizione dei RE100 Leadership Awards assegnati da The Climate Group.

Economia circolare in progress

Altro elemento chiave della sostenibilità secondo Schneider Electric riguarda l’economia circolare. Ovvero la capacità di ridurre, riusare, riciclare il più possibile per ottenere efficienza operativa e minimizzare l’impronta ambientale. Oggi, al termine del terzo trimestre 2020, quasi 200 siti Schneider Electric si avvicinano all’obiettivo “Rifiuti zero in discarica” in termini di produzione di rifiuti non riciclabili.

Queste fabbriche, secondo la definizione creata internamente all’azienda, riescono a evitare che il 99% dei rifiuti metallici e il 97% di rifiuti non metallici finiscano in discarica. Inoltre, il 100% della gestione di rifiuti pericolosi di ogni sito è chiamata a rispettare rigorosi standard ambientali. Grazie a questo progetto, oltre 350.000 tonnellate di rifiuti dal 2018 a oggi hanno “rinunciato” alla discarica.

Meno infortuni, più benessere

Oltre l’ambiente e l’energia, c’è la sicurezza dei dipendenti. Oggi il Medical Incident Rate (MIR) dell’azienda è pari allo 0,56% per 1 milione di ore lavorate. Un notevole miglioramento rispetto allo 0,79% di fine 2019. Per ottenerlo, Schneider Electric ha lanciato campagne su sicurezza e salute, per sensibilizzare maggiormente il proprio capitale umano su questi temi.

Supply chain strategica

Nell’impatto di una global company, anche fornitori contano. Anche qui, l’azienda vanta una delle supply chain più sostenibili sul mercato: lo conferma Ecovadis, piattaforma che analizza le performance sociali e ambientali di oltre 50.000 aziende.

Schneider Electric aiuta anche i propri fornitori a migliorare le credenziali sociali e ambientali

La rete di fornitori strategici del gruppo ha ottenuto un punteggio aggregato di 56,7/100. Sono 5,6 punti in più rispetto al 2017: un risultato che raggiunge gli obiettivi triennali di Schneider Electric e supera la media delle aziende valutate da Ecovadis.

Formazione e Access to Energy

Ultimo elemento della strategia sostenibile, il programma Access to Energy. Nato con l’obiettivo di fornire accesso all’energia grazie a formazione, soluzioni innovative e attività di investimento a impatto sociale, nel terzo trimestre 2020 il progetto ha raddoppiato le performance rispetto al 2017. E il team di Schneider Electric ha già messo in cantiere nuove opportunità.

A novembre parte la nuova serie di eventi digitali per presentare progetti e partner del programma Access to Energy

Verso il 2021 e oltre

“Siamo orgogliosi del livello di collaborazione e fiducia che caratterizza il nostro ecosistema di partner, clienti, comunità locali in tutto il mondo – spiega Gilles Vermot Desroches, Sustainability Senior VP di Schneider Electric -. Questi risultati arrivano in uno scenario molto sfidante: contribuire agli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU continua a essere una nostra priorità”.

Il traguardo 2018-2020 è molto vicino. Cosa accadrà nel 2021? L’azienda lancerà presto nuovi obiettivi, ancora più ambiziosi, per unire progresso e sostenibilità.

Smart Mobility Report: la sfida si può ancora vincere

Smart Mobility Report: cosa significa e quanto conta la mobilità sostenibile oggi? In un percorso globale ormai tracciato, l’Italia stava faticosamente affermando la propria visione di mercato. Poi è arrivata la pandemia: un’attualità “disruptive” che potrebbe lasciare tracce rilevanti su organizzazione del lavoro e attitudini sociali. Dunque, sulle principali strutture di mobilità.

Un po’ di chiarezza, tra tanti interrogativi, viene dallo studio dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano. I protagonisti dell’edizione 2020, sono i tre pilastri della transizione green dei trasporti: elettrificazione, sharing e guida autonoma.

Smart Mobility Report nel mondo

La mobilità elettrica continua la sua “corsa” internazionale. Sono 2,3 milioni le passenger car e i Light Duty Vehicle (LDV) elettrici immatricolati nel mondo nel 2019, al +9% sull’anno precedente. Inoltre, BEV (Battery Electric Vehicle) e PHEV (Plug-in Hybrid Electric Vehicle) coprono il 2,5% delle vendite complessive del settore, contribuendo ad alimentare lo stock di circa 7,5 milioni di veicoli elettrici circolanti a fine 2019.

Interessante anche il progressivo slittamento dall’ibrido al full electric. Nel mix di immatricolazioni, infatti, i cosiddetti BEV guadagnano un ulteriore 5% rispetto al 2018 e confermano una tendenza ormai assodata.

Smart Mobility Report: immatricolazioni globali

La Cina vince, l’Europa insegue

Sul fronte geografico, il mercato mondiale resta polarizzato sulla Cina. Dove i veicoli elettrici immatricolati nel 2019 sono 1,2 milioni (+3% rispetto all’anno precedente). Praticamente il doppio del valore europeo, secondo mercato con quasi 600.000 unità e un incoraggiante +44%.

Terza realtà globale gli Stati Uniti, che registrano una flessione del 12% e 320.000 immatricolazioni. Il Giappone, a notevole distanza, conta 44.000 veicoli elettrici, al -16% sull’anno precedente.

Focus europeo sulle auto elettriche

La Germania continua a dominare il mercato delle passenger car in Europa, con oltre 100.000 auto elettriche immatricolate e una crescita del 60% sul 2018.

A seguire:

In termini relativi, la Germania determina il 19,5% delle immatricolazioni auto elettriche a livello europeo. Il trio formato insieme a Norvegia (14,3%) e Regno Unito (13%), occupa sostanzialmente il 47% del mercato Ue nel 2019.

Smart mobility in Italia: vicini alla svolta?

Il 2019 è andato decisamente bene: le immatricolazioni di auto elettriche sono 17.065 e crescono del 78% rispetto all’anno precedente.

Anche qui, il mix propende per l’elettrificazione completa:

La scelta green copre lo 0,9% delle immatricolazioni complessive di automobili. Una percentuale praticamente raddoppiata rispetto al precedente report, mentre il parco circolante italiano che supera le 39mila unità. Di queste, il 60% è full-electric.

Smart Mobility Report 2020: immatricolazioni italiane

“I dati parlano chiaro, ma non possiamo cantare vittoria – commenta Vittorio Chiesa dell’Energy & Strategy Group -. L’Italia si colloca infatti all’ultimo posto nella top 10 continentale e contribuisce solo al 3% delle immatricolazioni registrate in Europa nel 2019. Insomma, la vera svolta della smart mobility richiede un ritmo di crescita nettamente diverso”.

Nord e Sud ancora lontani

Gli acquisti di BEV e PHEV per zona geografica sono piuttosto eterogenei. Nelle regioni del Nord si contano oltre 12.000 auto elettriche immatricolate, circa il 70% del totale italiano. Al centro abbiamo oltre 4.000 veicoli (24% di share), mentre nel Sud e Isole maggiori sono state immatricolate circa 1.000 unità, corrispondenti al 6% delle immatricolazioni totali di auto elettriche in Italia.

Quanto pesano incentivi e punti di ricarica

Nella ripartizione geografica dello Smart Mobility Report contano anche gli incentivi all’acquisto dei veicoli elettrici e lo status dell’infrastruttura di ricarica. Un esempio? Delle 7 regioni con più di 1.000 auto elettriche immatricolate nel 2019, 5 sono zone al Nord e hanno promosso ulteriori ecobonus locali. A guidare la classifica regionale il Trentino – Alto Adige: 40 auto elettriche immatricolate e oltre 35 punti di ricarica per 100.000 abitanti disponibili a fine 2019. Il tutto con incentivi all’acquisto compresi tra 5.000 ed 8.000 euro.

Diverse regioni del Sud Italia risultano deficitarie sia negli incentivi sia nei parametri infrastrutturali

Va infine sottolineato che le performance italiane sono frutto della perfetta combinazione tra i bonus e la proposta di nuovi modelli elettrificati da parte delle case automobilistiche.

Auto elettriche in pandemia: il 2020

Finora abbiamo commentato i tempi “felici” del 2019. Come va la transizione green dei trasporti in epoca di covid-19? Al momento bene. In Italia le immatricolazioni di autovetture nei primi 9 mesi del 2020 (circa 972.000 unità) sono scese del 34% rispetto al 2018, ma le quote relative al trasporto elettrico hanno sofferto meno. Anzi, le immatricolazioni di veicoli BEV e PHEV sono aumentate del 150%, con quasi 30 mila auto elettriche nei primi 9 mesi del 2020.

Altro elemento di conforto: il solo mese di settembre 2020 ha visto acquistare oltre 4mila unità, con una tendenza year-on-year de +225,3%. Percentuale sorprendente, se pensiamo che nello stesso periodo le immatricolazioni di auto benzina e diesel sono calate rispettivamente del 19,1% e del 3%.

Il tasso di elettrificazione resta basso

Il processo di decarbonizzazione dei trasporti non riguarda solo le automobili. Nel complesso dei veicoli elettrici, lo Smart Mobility Report non può parlare di boom. Da un lato, le unità immatricolate nel 2019 segnano un aumento del 19% rispetto al 2018, con buone performance di auto, ebike (+12,7%) e ciclomotori. Questi ultimi, in particolare toccano i 4mila mezzi elettrici venduti: quasi 1 ciclomotore su 5 immatricolato in Italia nel 2019 è elettrico.

Dall’altro, i tassi di penetrazione restano molto contenuti. Per esempio, passenger car e LDV elettriche rappresentano solo lo 0,1% dei mezzi circolanti in Italia a fine 2019, e anche le altre categorie restano sotto l’1%.

Smart Mobility Report: tasso di elettrificazione

Sharing mobility sempre più sostenibile

Il secondo macro trend analizzato dal report racconta la progressiva associazione della sharing mobility ai mezzi elettrici. Nel 2019 in Italia si registra un parco circolante di oltre 8.200 auto in condivisione, delle quali circa l’85% è “free floating”. In questo contesto, le auto elettriche toccano il 25% del totale, con prevalenza di BEV. Bene anche gli scooter: nelle 5.000 unità italiane il peso dell’elettrico è quasi totalitario. Anche il bike sharing conferma l’andamento positivo degli ultimi anni. Sulle strade italiane si condividono 33.000 biciclette: il 20% risulta essere a trazione elettrica.

Gli esperti del Politecnico non potevano dimenticare infine la micromobilità elettrica. Monopattini elettrici, segway, hoverboard e monowheel: si tratta di mezzi dedicati a spostamenti personali di breve entità. La loro circolazione è consentita solo in ambito urbano, nell’ambito di una sperimentazione avviata in Italia nel 2018, ma il fenomeno è destinato a crescere e a generare nuovi modelli di business legati alla condivisione.

Smart Mobility Report: lo sviluppo del car sharing elettrico

Guida autonoma e smart mobility

L’argomento è caldo, ma tuttora fermo alle fasi di test. Nel triennio 2017-2019 i progetti pilota relativi alla guida autonoma hanno interessato 136 città in 25 Paesi al mondo. Si tratta di veicoli in prova, all’interno di aree circoscritte e a traffico controllato, dedicati sia al trasporto di persone sia alle merci, in ambito pubblico e privato. Il tutto fa capo a 33 “incumbent”: la metà di queste aziende consolidate è composta da car manufacturer in cerca di partner per lo sviluppo di hardware e software. Queste realtà hanno attivato 82 collaborazioni relative all’Autonomous Driving, ma solo il 13% dei progetti ha superato la sperimentazione, portando in strada il test dei veicoli.

Le startup coinvolte nella guida autonoma sono invece 48 e si occupano principalmente di piattaforme di gestione, con una minore penetrazione nello sviluppo dell’automobile. Gli investimenti, in questo ambito, derivano per il 44% da Corporate Venture Capital. Con questi fondi dedicati, le aziende rilevano quote di capitale delle startup per ottenere un accesso privilegiato all’innovazione tecnologica. Nel 71% dei casi si tratta di player globali del mondo industriale.

Oltre il mercato dei veicoli elettrici, c’è l’infrastruttura di ricarica. L’Italia è pronta? Ne parleremo nel secondo approfondimento dedicato allo Smart Mobility Report 2020.

Videosorveglianza termografica: il “new normal” della sicurezza?

Fare videosorveglianza termografica significa proteggere, monitorare, rilevare attraverso il calore. Un nuovo modo di concepire i sistemi di sicurezza che implementa il tradizionale ruolo “visivo” delle telecamere, abilitando proposte integrate da applicare in contesti professionali strategici.
Come nascono e dove si applicano le termocamere? Il particolare momento storico che stiamo vivendo ha accelerato l’evoluzione del settore, mentre il concetto stesso di security cambia forme e prospettive. Ce le racconta Alberto Vasta, Country Manager Italia e Malta di Mobotix.

Storia e avanguardia della videosorveglianza termografica

Alberto Vasta Country Manager Italia e Malta di Mobotix“Le applicazioni di sicurezza con tecnologia termica nascono oltre vent’anni fa in ambito militare e navale – spiega Vasta -. Mobotix ha iniziato a sviluppare questi sistemi nel 2012, ma oggi alla termografia si aggiunge la termometrica, un passo avanti analitico nelle applicazioni software legate alle telecamere”.
Questa tecnologia permette infatti di assegnare un valore numerico a ogni punto di calore rilevato, discriminando fino a 20 temperature differenti all’interno della stessa inquadratura e con soglie di intervento di 0,5° C. Unire termografia e termometria significa monitorare, anche attraverso un solo dispositivo, persone, macchine, impianti e ambienti. Il tutto, misurando la temperatura in tempo reale con la massima precisione e segnalando anticipatamente le eventuali criticità.

Non solo antincendio, il valore della temperatura oggi

Ma come siamo arrivati all’applicazione della termografia nella videosorveglianza? “Anzitutto, la tecnologia è approdata all’utente finale quando è diventata economicamente più accessibile – racconta l’intervistato -. Mobotix ha investito in diversi settori verticali per aggiungere la componente termica ai sistemi in megapixel. Ecco perché proponiamo telecamere con doppio sensore: uno per percepire calore e l’altro per identificare questo calore”.
Le termocamere di nuova generazione permettono così di ottimizzare i processi aziendali con ulteriori garanzie di sicurezza. Ecco alcuni esempi interessanti e, se vogliamo, sorprendenti.

Agroalimentare: calore che fa la differenza

La prima applicazione viene dal mondo agricolo. Più precisamente da un grande allevamento di suini dove serve controllare la temperatura corporea di ogni singolo capo prima di avviarlo alla macellazione. Questo per evitare l’aggiunta di antibiotici al mangime ed efficientare la gestione delle eventuali malattie. “La soluzione proposta impiega una sola telecamera termica puntata su tutti i capi, tarata su una temperatura di base di 37 °C, che mostra un’immagine totalmente blu – racconta Vasta -. Quando compaiono macchie di colore rosso e arancio siamo in presenza di animali febbricitanti, da sottoporre a controlli più accurati. Verifiche che si possono attuare attraverso soluzioni termiche-termometriche (TR)”.

Restando nella filiera del food, la videosorveglianza termografica trova ideale impiego nelle celle frigorifere per lo stoccaggio delle carni. Qui, gli apparecchi segnalano tempestivamente le temperature anomale o il superamento delle soglie pre-impostate. Un’arma preventiva importante per proteggere gli alimenti deteriorabili e ottimizzare la loro conservazione.

Dare continuità operativa all’industria

Interessante anche il controllo operativo in ambito industriale. Pensiamo infatti a una serie di macchine che devono lavorare, in contemporanea, a temperature diverse (100 °C, 300 °C, 350 °C, ecc.). Oltre a controllare il corretto funzionamento, il sistema termico percepisce una differenza fino a 0,001 gradi. Ed è dunque in programmato per lanciare pre-allarmi ed evitare guasti o incendi.
“Anche in questo caso, il valore numerico della temperatura fa la differenza. Basta un pixel all’interno dell’inquadratura per far scattare la segnalazione – aggiunge il manager di Mobotix -. Le realtà produttive possono sfruttare le soluzioni termografici e termometrici per fare manutenzione preventiva e ottimizzare i costi operativi”.

Operazioni rinnovabili

Continuiamo la panoramica applicativa con la manutenzione dei pannelli fotovoltaici. In particolare, con la tecnologia termica per il monitoraggio del loro funzionamento all’interno dei parchi solari di grandi dimensioni. Qui, un dispositivo installato su un drone può velocizzare i controlli periodici, effettuando un’efficace scrematura attraverso il colore delle immagini (blu se il pannello funziona correttamente, rosso o arancio nel caso di probabile guasto).

Videosorveglianza termografica con Mobotix telecamera M73

Termocamere in epoca di pandemia

Eccoci infine alla grande sfida sanitaria del Covid-19. La videosorveglianza termografica si inserisce efficacemente – lo sperimentiamo ogni giorno – nelle strategie di monitoraggio delle persone in ottica anti contagio. Ma la tematica resta complessa: “Disponiamo di strumenti performanti e affidabili, ma nessuno di questi proviene dal mondo medicale – commenta Vasta -. Una volta identificate le necessità, abbiamo messo rapidamente in campo tutte le nostre competenze per adattare le soluzioni Mobotix alle funzionalità che si facevano di giorno in giorno più urgenti”. Fondamentale, in tal senso, la collaborazione con i partner installatori per portare sul territorio soluzioni performanti e sicure.

Ambienti esterni, pubbliche amministrazioni, aeroporti, ospedali, centri commerciali: ogni caso deve essere personalizzato. Ma soprattutto in grado di rispondere efficacemente alle mutevoli esigenze di questa nuova normalità.

Il sensore termico-termografico rappresenta uno step evolutivo fondamentale in ottica di prevenzione

I vantaggi concreti del doppio sensore

Un’unica soluzione, due sensori (il visibile e il termico), un ecosistema di funzionalità. Dalla rilevazione della temperatura corporea associata al controllo accessi, al riconoscimento facciale che integra il relativo dato termico per verificare che le persone indossino la mascherina. Fino alla telecamera in grado di gestire l’accesso agli spazi interni e il distanziamento sociale nelle code.

Tutto questo è possibile grazie ad applicativi dedicati. “La proposta Mobotix è come uno smartphone – conclude Alberto Vasta -. In base alle esigenze si acquistano le licenze e si attivano software opzionali, già integrati alle telecamere. Non possiamo più parlare di semplice videosorveglianza: la realtà che stiamo vivendo ha ridotto le necessità di sicurezza in termini di antintrusione favorendo invece le attività di monitoraggio. Le richieste sono tante e particolari, la sfida è rispondere in tempi brevi con soluzioni su misura sviluppate in collaborazione con software house selezionate”.
La prospettiva diventa dunque integrata, termico e megapixel insieme per una sicurezza a 360 gradi.