Big data e AI: quali prospettive per le aziende italiane?

Tra diffidenza e timori, l’intelligenza artificiale è protagonista della trasformazione digitale in Italia. Rome Business School fa il punto della situazione, sottolineando anche il lato etico della data economy
Big data e AI: lo stato delle aziende italiane

Digitalizzazione, big data e AI sono argomenti ormai comuni a molti contesti professionali e privati degli italiani. Con tutte le potenzialità e le sfide del caso: l’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano sull’anno 2022 ci dice il 93% delle persone ha già sentito parlare di intelligenza artificiale. Il 55% afferma che l’AI è molto presente nella quotidianità e quasi il 40% le attribuisce un peso nella vita lavorativa.

Inoltre, il mercato cresciuto del 32%, per un valore di oltre 500 milioni di euro, portando con sé innovazione, trasformazione e cambiamento. Ma anche paura: il 73% degli italiani è preoccupato per il proprio lavoro, anche se solo il 19% è fermamente contrario all’ingresso dell’AI nel mondo professionale. Si nota una certa confusione, che richiede maggiori sforzi comunicativi e formativi di sensibilizzazione sul tema. La ricerca “Digitalizzazione, Big Data e AI in Italia. Etica digitale e uso dei dati” di Rome Business School prova a inquadrare la situazione.

L’Europa viaggia, l’Italia rincorre

Partiamo dai numeri di questa sfida. Sebbene, come citato poco sopra, l’Italia abbia assistito a una crescita del 92% tra 2019 e 2022, da 260 milioni di euro agli attuali 500 milioni, alcuni indicatori sono molto indietro. Siamo al 17esimo posto in Europa per quanto riguarda la trasformazione digitale, e addirittura al 23esimo per il livello generale di digitalizzazione (Commissione Europea, 2022).

Una situazione preoccupante anche per il capitale umano: l’Italia è alla posizione 25 in termini di competenze digitali. Solo il 46% della popolazione possiede competenze di base, facendo meglio solamente di Bulgaria e Romania. Al dato, ben al di sotto della media Ue del 54%, si aggiunge che l’1,4% nostri laureati sceglie discipline ICT. Il Pnrr dovrebbe intervenire proprio su questo complessivo divario. I 48,1 miliardi dedicati alla digitalizzazione, ci vedono infatti primi in Europa per investimenti in questo settore, davanti a Spagna, Francia e Grecia.

Big data e AI: come va nelle imprese italiane

Entrando nel merito dell’integrazione delle tecnologie nelle aziende, l’Italia si posiziona all’ottavo posto in Europa. La maggior parte delle Pmi, inoltre, ha un livello base di intensità digitale (60%), oltre la media Ue del 55%. Tuttavia, la diffusione di sistemi più complessi come big data e AI risulta ancora limitata. Il 40% delle piccole e medie imprese non ha figure professionali ad hoc per l’analisi dei dati.

Big data e ai: indicatori del livello di intensità digitale delle aziende

Il livello di adozione nelle pmi

Lombardia e Lazio ospitano la maggior quantità di pmi che usano l’intelligenza artificiale. Qui si concentra oltre il 45% della spesa italiana in information e communication technology nel 2021. Seguono Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte (29%). Più a sud, Puglia e Sicilia si dimostrano particolarmente dinamiche. Un 4% circa che supporta comunque significativamente lo sviluppo del Mezzogiorno.

Analizzando l’uso di big data e AI per settore, nel 2021 oltre l’80% delle aziende manifatturiere già utilizzava questi sistemi per automatizzare attività pericolose e migliorare la qualità dei prodotti. Nell’agroalimentare, secondo l’Osservatorio Smart Agrifood l’integrazione di strumenti smart nel 2022 è aumentata del 15%.

ChatGPT fa paura o no?

Ad aprile 2023, gli autori della ricerca hanno realizzato un sondaggio tra 136 professionisti e studenti circa il ricorso alla piattaforma ChatGPT. Il 51% di loro dichiara di averla usata. Pur conoscendo i rischi, inoltre, il 65% intende continuare a farlo per sfruttarne le opportunità. Tuttavia, solo il 42% dei partecipanti ritiene che la propria azienda o quella in cui lavorerà si servirà di ChatGPT entro il 2025. Probabilmente, gli intervistati vedono nel futuro l’uso di altri programmi di intelligenza artificiale. Considerando che al momento ChatGPT viene impiegato soprattutto in ambito marketing. Quel che conta è il reale interesse delle persone nella sperimentazione di strumenti di intelligenza artificiale. Dato che richiede importanti riflessioni sull’educazione all’uso corretto di tali possibilità.

I lavori più a rischio

Non servirà solo formare gli utenti, ma anche i lavoratori. L’intelligenza artificiale, infatti, richiederà ad alcuni professionisti di acquisire nuove competenze. Ruoli come il prompt engineer o prompt designer, che riguardano la progettazione delle richieste da fare ai programmi di AI e la comprensione degli algoritmi, saranno fondamentali. Attualmente, le professionalità più richieste riguardano acquisizione, gestione e analisi dei dati di processi produttivi e commerciali. Ma il settore è in costante evoluzione, e con esso l’occupabilità di determinati profili.

Etica dell’intelligenza artificiale

“L’Italia sta facendo passi da gigante per essere protagonista dell’era del digitale, sia nelle grandi aziende sia nelle pmi – affermano gli autori -. Ma servono formazione specializzata, ulteriori investimenti e maggior collaborazione tra industria, accademia e governo. Non solo per sviluppare nuove tecnologie, ma anche per proteggere la privacy delle persone e rispettare la loro dignità”. Uno dei principali timori legati a big data e AI riguarda infatti la discriminazione algoritmica, che può portare alla negazione di posti di lavoro, prestiti o altre opportunità. Oltre a trattamenti ingiusti sotto il punto di vista legale. Inoltre, l’ignoranza o la non completa comprensione dei rischi dell’uso dell’IA può comportare manipolazione e diffusione inconsapevole di dati sensibili.

In Italia non esiste ancora un quadro normativo completo sull’etica dell’IA. Si sta lavorando per sviluppare linee guida, istituire centri di ricerca e promuovere campagne di sensibilizzazione pubblica. A livello europeo, arrivano misure quali la Convenzione 108+, che dovrebbe entrare in vigore a ottobre. Il suo obiettivo è regolare il trattamento dei dati personali e facilitare i trasferimenti internazionali di dati. Inoltre, l’Unione sta studiando l’Artificial Intelligence Act (AIA) per regolare lo sviluppo e l’uso di questo strumento, con requisiti più severi per i sistemi ad alto rischio. 

I trend di investimento in tecnologie digitali e big data

Verso la data economy

In conclusione, secondo gli esperti di Rome Business School, stiamo passando dalla “data-based economy” alla “data economy”. Dove i dati diventano l’elemento centrale della produzione, delle transazioni e degli investimenti. Secondo uno studio di EY Tech Horizon sul 2022, il 50% degli imprenditori italiani ha già attivato importanti trasformazioni digitali, contro il 39% del resto del mondo. I principali trend di investimento sono Data e Analytics (22%), Internet of Things (20%), Cloud (18%) e IA (15%).

Big data e AI offrono dunque opportunità straordinarie per migliorare la vita e promuovere il progresso scientifico. Purché non vengano sottovalutati i rischi di tale rivoluzione. La sfida, per governi e istituzioni, è dunque proteggere i cittadini senza ostacolare l’innovazione. Promuovendo l’uso etico dell’IA e sostenendo la crescita economica che ne deriva.

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Maria Cecilia Chiappani

Copywriter e redattore per riviste tecniche e portali dedicati a efficienza energetica, elettronica, domotica, illuminazione, integrazione AV, climatizzazione. Specializzata nella comunicazione e nella promozione di eventi legati all'innovazione tecnologica.

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