Carbon pricing: i ricavi aumentano, ma non basta

I ricavi generati dal sistema di carbon pricing hanno superato i 100 miliardi di dollari. È una crescita record, ma sono diversi gli aspetti che devono migliorare, evidenzia il rapporto della World Bank
carbon pricing: cosa bisogna sapere

Crescono i ricavi da carbon pricing. Secondo il rapporto annuale “State and Trends of Carbon Pricing 2024” della Banca Mondiale, l’anno scorso, gli introiti derivanti dalla “tariffazione del carbonio” hanno raggiunto la cifra record di 104 miliardi di dollari. Non solo: c’è stato un incremento rispetto al 2022, quando si era giunti a 95 miliardi.

Si tratta di una buona notizia per il clima: il carbon pricing permette, infatti, di attribuire un valore economico alla CO2, che è un parametro fondamentale per intervenire sulle altre fasi della strategia climatica. Detto in altro modo: “dare un prezzo al carbonio” aiuta a spostare il peso del danno su coloro che ne sono responsabili e che possono impegnarsi per ridurlo. Oltre la metà delle entrate è stata utilizzata per finanziare programmi legati al clima e alla natura.

Tutto bene, quindi? No, come vedremo. Tuttavia, va detto che una progressione positiva c’è stata negli anni: quando è stato pubblicato il primo rapporto della World Bank, i meccanismi più usati di carbon pricing, ovvero carbon tax ed emission trading system (ETS), coprivano solo il 7% delle emissioni mondiali. Nel rapporto 2024, si legge che ora è coperto il 24% delle emissioni globali.

Cos’è il carbon pricing

Come spiega la stessa Banca Mondiale, il carbon pricing è uno strumento che cattura i costi esterni delle emissioni di gas serra, che paghiamo tutti noi. Pensiamo, a questo proposito

  • ai danni ai raccolti,
  • ai costi sanitari derivanti dalle ondate di caldo e dalla siccità,
  • alle perdite di terreni a causa delle inondazioni,
  • all’innalzamento del livello del mare.

Il carbon pricing lega questi costi alle loro fonti attraverso un prezzo, solitamente sotto forma di prezzo sull’anidride carbonica emessa. Esso fornisce un segnale economico chiaro agli emettitori e consente loro di decidere se trasformare le proprie attività e ridurre le emissioni, oppure continuare a emettere e pagare per l’inquinamento provocato. In questo modo, l’obiettivo ambientale generale viene raggiunto nel modo più flessibile e meno costoso per la società.

Come ha affermato Axel van Trotsenburg, direttore generale della Banca mondiale, “il carbon pricing può essere uno degli strumenti più potenti per aiutare i paesi a ridurre le emissioni”.

Strumenti e tipologie

Pur non essendo esplicitamente menzionato nell’accordo di Parigi, il carbon pricing è un importante strumento politico che un numero crescente di Paesi e governi sta utilizzando per ridurre le emissioni e contribuire a raggiungere i propri impegni internazionali sul clima.

Esso può assumere forme e forme diverse. Attualmente esistono 75 strumenti dedicati in funzione in tutto il mondo, ma sono due i principali tipi di fissazione del prezzo del carbonio: i sistemi di scambio delle emissioni (ETS) le carbon tax. Gli ETS hanno rappresentato lo scorso anno oltre il 70% delle entrate governative globali relative al carbon pricing.

La Svezia è stato il Primo Paese a fissare i prezzi del carbonio e ha istituito una carbon tax nel 1991. Il sistema ETS dell’UE, avviato nel 2005, costituisce il primo grande mercato del carbonio al mondo.

Carbon tax ed ETS: significato e differenze

Tra i due sistemi più importanti di carbon pricing ci sono delle differenze. Il sistema ETS stabilisce un prezzo di mercato per le emissioni di gas serra. Il tetto, fissato da un’autorità centrale o un ente governativo, aiuta a garantire che le riduzioni delle emissioni richieste avvengano per mantenere gli emettitori entro il limite preassegnato.

La carbon tax fissa direttamente un prezzo sul carbonio definendo un’aliquota fiscale sulle emissioni di gas serra o – più comunemente – sul contenuto di carbonio dei combustibili fossili.

A differenza di un sistema ETS, nella carbon tax è il prezzo che determina il livello delle emissioni.

I benefici del carbon pricing

Imporre un prezzo al carbonio “è ampiamente considerato il modo più flessibile ed economicamente vantaggioso per ottenere una riduzione delle emissioni”, rileva la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC). Esso può contribuire a facilitare percorsi di emissione compatibili con il mantenimento di quanto previsto dall’Accordo di Parigi in termini di aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, proseguendo gli sforzi per contenere l’aumento a 1,5°C. 

mappa carbon tax ed ETS

Inoltre, permette di stimolare gli investimenti e l’innovazione nelle “tecnologie verdi”, aumentando il costo relativo dell’utilizzo di tecnologie fortemente impattanti a livello di emissioni.

Il carbon pricing consente anche di promuovere il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, incanalando i finanziamenti verso progetti green.

Contribuisce a generare entrate che possono essere riciclate nell’economia verde attraverso la spesa pubblica per la ricerca e lo sviluppo nella tecnologia verde. Va ricordato che più della metà delle entrate raccolte dai sistemi di carbon pricing è stata utilizzata per finanziare programmi legati al clima e alla natura.

Sull’efficacia dei sistemi di carbon pricing viene a sostegno il risultato di un’analisi condotta da un team di ricerca del tedesco Mercator Research Institute on Global Commons and Climate Change e del Priestley International Centre for Climate, School of Earth and Environment dell’Università inglese di Leeds, pubblicata su Nature.

Il team ha valutato l’efficacia del carbon pricing nel ridurre le emissioni. Ha scoperto, sulla base di uno studio su 21 schemi di tariffazione, che l’introduzione di un prezzo del carbonio ha prodotto riduzioni immediate e sostanziali delle emissioni per almeno 17 di queste politiche, nonostante il basso livello dei prezzi nella maggior parte dei casi. Le riduzioni delle emissioni statisticamente significative variano tra da –4% a –15% in tutti i programmi.

La cifra record di 104 miliardi di dollari di ricavi dal carbon pricing è la prima, buona notizia, insieme al progresso fatto in questi anni da carbon tax ed ETS.

Tra le note positive c’è anche il fatto che grandi paesi a reddito medio, come Brasile, India, Cile, Colombia e Turchia, stanno facendo passi da gigante nell’attuare il carbon pricing. “Mentre i settori tradizionali come l’energia e l’industria continuano a dominare, la tariffazione del carbonio viene sempre più presa in considerazione in nuovi settori come l’aviazione, il trasporto marittimo e i rifiuti”, si rileva nel report.

State and Trends of Carbon Pricing 2024

In esso, inoltre, si legge che il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), ovvero il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere dell’UE, attualmente in una fase transitoria, che richiede agli importatori di prodotti specifici di segnalare le emissioni incorporate, sta incoraggiando i governi a prendere in considerazione il carbon pricing per settori quali ferro e acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti ed elettricità.

… e le ombre

Carbon tax ed ETS coprono, insieme, circa un quarto delle emissioni globali di gas serra, in gran parte la stessa quota di un anno fa. I ricavi derivanti dalla tariffazione del carbonio hanno sì raggiunto livelli record nel 2023, superando per la prima volta i 100 miliardi di dollari; ciò nonostante, i prezzi globali del carbonio e la copertura sono rimasti relativamente invariati.

La copertura e i livelli globali del carbon pricing “restano troppo bassi per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi”. Attualmente, meno dell’1% delle emissioni globali di gas serra sono coperte da un prezzo diretto del carbonio pari o superiore all’intervallo raccomandato dalla Commissione di alto livello sui prezzi del carbonio per limitare l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2°C.

Oltre il 90% dei contraenti dell’Accordo di Parigi (194 Paesi più l’UE) hanno adottato obiettivi quantificati di riduzione delle emissioni e più di 95 Paesi hanno annunciato impegni per l’azzeramento netto, coprendo oltre l’85% delle emissioni globali di CO2 legate all’energia. Tuttavia, nel complesso, gli strumenti politici di mitigazione dei paesi sono insufficienti per soddisfare gli attuali Contributi determinati a livello nazionale (NDC), ovvero i piani nazionali non vincolanti che evidenziano le azioni per il cambiamento climatico.

Serve un impegno politico serio

Serve un impegno più serio, soprattutto se si pensa che i sussidi espliciti ai combustibili fossili ammontavano a circa 1300 miliardi di dollari nel 2022, quasi triplicati rispetto ai 500 miliardi del 2020 (riporta il Fondo Monetario Internazionale). Tale cifra “fa impallidire l’importo delle entrate raccolte dalle tasse sul carbonio e dagli ETS”, evidenzia ancora il report.

È vero che, come rilevano gli analisti della World Bank, una quota stabile delle emissioni globali di gas serra coperte dalle tasse sul carbonio e dagli ETS nasconde una serie di importanti cambiamenti. Si riporta che al 1° aprile 2024, emission trading system e carbon tax in vigore coprivano quasi 13 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente, circa il 24% delle emissioni globali di gas serra. Sebbene la quota sia rimasta sostanzialmente invariata rispetto allo scorso anno, il livello delle emissioni coperte è aumentato di oltre 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente (MtCO2e) nel 2023.

Malgrado questo aspetto positivo, va posto all’attenzione il fatto che carbon tax ed ETS, attualmente allo studio, potrebbero sì aumentare la copertura globale, ma è improbabile che supereranno il 30% nel breve termine. Anzi, anche con l’implementazione della tariffazione del carbonio in queste economie grandi e strategicamente importanti, si rischia che la copertura delle emissioni globali possa rimanere inferiore al 30% nel prossimo futuro.

Tutto questo stride in confronto al livello di ambizione “e alla portata dell’azione necessaria per rispondere alla Global Carbon Pricing Challenge, annunciata alla COP26 con l’obiettivo di coprire il 60% delle emissioni globali di gas serra entro il 2030″.

Inoltre nel 2024, solo sette strumenti di fissazione del prezzo del carbonio, che coprivano meno dell’1% delle emissioni globali di gas serra, hanno raggiunto livelli di prezzo pari o superiori al livello minimo corretto per l’inflazione di 63 dollari per tCO2e (nel 2024 dollari). Inoltre, tutti i sistemi di carbon pricing esistenti sono al di sotto del limite inferiore del prezzo del carbonio stabilito dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici.

Da qui la raccomandazione di colmare il divario di attuazione tra gli impegni e le politiche climatiche dei paesi, uno sforzo che richiederà un impegno politico decisamente maggiore.

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Andrea Ballocchi

Giornalista freelance, si occupa da anni di tematiche legate alle energie rinnovabili ed efficienza energetica, edilizia e in generale a tutto quanto è legato al concetto di sostenibilità. Autore del libro “Una vita da gregario” (La Memoria del Mondo editrice, prefazione di Vincenzo Nibali) e di un manuale “manutenzione della bicicletta”, edito da Giunti/Demetra.
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