
Sullo sviluppo delle comunità energetiche in Italia, c’è ancora molto da fare. “Finora si registra uno sviluppo maggiore dell’autoconsumo collettivo, quindi all’interno di un condominio, rispetto alle CER. Se consideriamo i numeri, non ancora ufficiali, riguardanti lo schema delle comunità energetiche, non paiono essere quelli che ci si aspettava. Quindi, per ora l’espansione delle comunità energetiche procede a rilento. Ciò non dà la sensazione che le CER possano incidere nel percorso verso l’indipendenza energetica del nostro Paese. Bisognerà uscire da questa impasse”. A parlare è Andrea Cristini, presidente di ANIE Rinnovabili, parte della Federazione ANIE (che rappresenta oltre 1100 imprese) cui aderiscono le aziende che operano nel settore dell’energia da FER, compresi i sistemi di accumulo.
Le potenzialità sono di diversa natura e dimensione. La prima è legata alla possibilità di favorire una generazione e un consumo distribuiti, capaci di assicurare un vantaggio sia per i produttori di energia e di tecnologie dedicate, ma anche lato consumo e rete elettrica, perché lo sviluppo delle comunità energetiche può consentire un sistema di generazione il più distribuito possibile, con la potenziale creazione di smart grid territoriali in cui buona parte dei consumi possano essere soddisfatti con una produzione locale.

Si tratta di una tessera del mosaico complessivo della transizione energetica, ma è importante tanto quanto i grandi impianti aziendali o gli interventi di efficienza energetica. Un altro aspetto importante riguarda la possibilità di garantire flessibilità, in funzione dei consumi; anche le modalità incentivanti si prestano a uno sviluppo di questo tipo, ovvero flessibile e legato alle caratteristiche territoriali.
Partendo dai numeri preliminari – come detto non esaltanti – riteniamo, come ANIE, che la creazione di comunità energetiche in Italia debba passare da un progetto che veda coinvolti protagonisti esperti del settore e che metta a fattor comune professionalità e investimenti tali da creare un soggetto cui possa partecipare anche l’azienda che produce energia o il piccolo agricoltore, oltre i consumatori residenziali, i soggetti pubblici e altri partecipanti.
Non sono ancora diffuse le professionalità per gestire la burocrazia implicita al processo di avvio delle CER. Per fortuna, il nostro Sistema Paese ha un elevato know-how in termini di fonti rinnovabili, quindi è pronto a garantire questi servizi, però vi sono limitazioni sulla ricaduta dell’incentivo verso le PMI, dato che esiste un limite all’utilizzo della tariffa incentivante per le imprese, fissato al 55%, oltre ai limiti di potenza complessiva dell’impianto, non superiore a 1 MW.
Paradossalmente, se si ha una zona industriale in un paese, all’interno della stessa cabina primaria, è possibile realizzare un impianto da 5 MW, coinvolgendo operatori economici un po’ più grandi in grado di assicurare struttura, know-how, organizzazione per creare queste comunità.
Quindi la somma di questi fattori, di fatto, potrebbe consentire uno sviluppo più rapido delle CER.
Fino a oggi, invece, si è creata una struttura tendenzialmente virtuosa che però, in realtà, rallenta il processo di sviluppo. Se invece fosse più appetibile a livello economico, almeno in una prima fase, si creerebbe quel volano utile a creare un mercato dove poi anche piccole comunità energetiche possono assumere un crescente interesse.
A nostro avviso, bisognerebbe lavorare su questo punto, avviando un’iniziativa immediata in cui diventa molto attraente, per i soggetti interessati, investire in comunità energetiche, anche aumentando leggermente la potenza degli impianti di produzione connessi alla singola CER.
Certamente, se fosse possibile in Legge Finanziaria, con un confronto tra istituzioni e rappresentanti di settore, come ANIE, per apportare le dovute implementazioni e – se possibile – per snellire alcuni passaggi burocratici. Inoltre, terrei a puntualizzare un concetto.
Spesso, quando si parla di rinnovabili, le intenzioni di investimento, soprattutto quando si tratta di investimenti medio-grandi, vengono accostate alla speculazione. È un accostamento curioso, considerando che tale termine viene raramente adottato quando ci si riferisce a investimenti in altri settori. È giusto citarla, qualora si tratti di autentica speculazione, ma non è questo il caso delle fonti rinnovabili. In questo settore ci sono società che sviluppano impianti, che vendono servizi, che creano tecnologie per l’autoconsumo, ponendo la loro professionalità a servizio di un settore che oggi crea occupazione e dà lavoro a circa 80mila persone, e che senza gli attuali blocchi legati a diverse normative (vedi DL Agricoltura, Testo Unico Rinnovabili) che colpiscono il settore, arriverebbe rapidamente a 150mila addetti e oltre.
Parliamo, quindi, di un settore che di fatto supera gli occupati del settore auto, paragonabile al settore dell’agricoltura. Quindi è particolarmente strategico per il paese. Ricordo a tale proposito che le fonti energetiche rinnovabili creano un valore in termini di sostenibilità ambientale, di indipendenza energetica, di competitività.
Esatto. L’elevato prezzo dell’energia in bolletta dimostra che si deve fare di più, perché è ancora troppo alto e diversi altri Paesi europei vantano prezzi molto più bassi. Non abbiamo grandi alternative nel breve termine, se si escludono le fonti rinnovabili. Per il nucleare si è avviato un percorso che richiede tempistiche più lunghe e bisognerà attendere gli sviluppi futuri. Quindi, non resta che puntare sulla possibilità di investire nelle FER, creando delle opportunità regolamentate, naturalmente, ma fruibili.
