L’industria circolare italiana potrebbe generare 100 miliardi di euro all’anno entro il 2030. Il condizionale è d’obbligo, dato che si tratta di proiezioni, ma stiamo parlando del 4,5% del Pil nazionale del 2019 e i segnali di vitalità del mercato non mancano. Come evidenziato nel primo approfondimento sul Circular Economy Report 2021, attualmente 1 azienda su 2 si dice pronta a investire in questo modello di business. Certo, una rondine non fa primavera – direbbe un noto filosofo greco -, ma vale la pena analizzare questo potenziale, alla luce dell’impatto sull’economia e sugli obiettivi green italiani.
Partendo dalla dimensione del mercato italiano del 2019, gli esperti dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano hanno calcolato la riduzione dei costi di produzione ottenibile con pratiche di economia circolare nei sei principali macro-settori di mercato. La media di quanto stimato per costruzioni, automotive, machinery, elettronica di consumo, mobili e arredo e food & beverage si traduce appunto in 98,9 miliardi di euro annui. Cifra che testimonia il valore del passaggio dall’economia lineare a quella circolare nel cuore dell’industria italiana.
Come va settore per settore? Dei quasi 100 miliardi di euro ipotizzati, oltre un terzo risulta associato alle costruzioni (ovvero 37 miliardi di euro). Seguono food & beverage e automotive, pronte a tagliare rispettivamente 20,2 e 18,2 miliardi.
In generale, dai valori nel processo di transizione verso il paradigma circolare e dal livello di adozione di tali pratiche manageriali, il passaggio completo sembra essere ancora lontano. Tuttavia, va sottolineata l’importanza strategica derivante dagli investimenti in attività a maggior valore aggiunto, che porteranno ulteriori benefici economici all’industria circolare.
Attraverso l’analisi di studi settoriali e documenti strategici, gli analisti del Circular Economy Report 2021 hanno assegnato a ogni pratica manageriale degli specifici pesi percentuali che ne stimano l’impatto sul business aziendale.
Ecco le performance di ogni categoria:
Economicamente parlando, il contributo maggiore arriva dal Take Back System, con circa 24,7 miliardi di euro risparmiati. Bene anche le attività di Design for Remanufacturing/Reuse e Design for Disassembly, entrambe a 19,8 miliardi di euro.
Come evidenziato nella survey del Circular Economy Report, gli ostacoli alla diffusione di pratiche virtuose sono principalmente legati al prodotto (42%). Ci sono poi le barriere di mercato (25%), quelle culturali e organizzative (17%), regolatorie (8%) e tecnologiche (8%). Dal confronto tra il potenziale raggiungibile al 2030 e le problematiche evidenziate dalle imprese, ecco anche i possibili benefici economici della loro mitigazione. In particolare, la mitigazione di barriere legate ai prodotti (es. alta qualità delle materie in input, tipologia e quantità di prodotti che rientrano all’interno del ciclo produttivo ecc.) potrebbe “liberare” circa 41,5 miliardi di euro. Seguono i 24,7 miliardi di euro dell’abbattimento delle barriere di mercato, i 16,8 miliardi degli ostacoli culturali e organizzativi e i 7,9 miliardi del fronte normativo e tecnologico.
Conclusione? La strada è avviata, le previsioni parlano chiaro, ma i dati attuali dell’industria circolare risultano ancora parziali. Per completare la transizione di tutti e sei i macro-settori di mercato servono interventi mirati, sforzi economici e sostegno istituzionale.