Non solo rifiuti: parlare di economia circolare in Italia significa definire una strategia di filiera. Questo perché il riciclo dei materiali a fine vita – valorizzazione energetica compresa – è solo la parte finale di un modello di crescita rigenerativa da rifondare, sostenere, finanziare. Dove conta soprattutto favorire una visione trasversale che interconnetta tutti i player dei settori tecnologici-produttivi coinvolti, verso un nuovo paradigma industriale.
“Si tratta di cambiare radicalmente prospettiva, mantenendo i prodotti il più a lungo possibile nel circuito attraverso l’estensione della loro vita – spiega Davide Chiaroni, Energy & Strategy Group, Politecnico di Milano School of Management -. Obiettivo che richiederà tempo e risorse ben più significativi di quanto messo in campo fino a oggi”.
La svolta, secondo gli analisti, si avrà solo quando le tante “r” dell’economia circolare, in primis i concetti di riuso e rilavorazione, prenderanno il sopravvento negli investimenti sostenibili, scardinando i sistemi di economia lineare. Perché questa direzione? Il problema è globale. Riguarda soprattutto la scarsità delle risorse del pianeta, l’incompatibilità tra crescita della domanda di beni e servizi e capacità di soddisfarla e l’incontrollabile produzione di rifiuti.
Basti pensare che dall’inizio del Novecento a oggi, a fronte di una crescita di 4,5 volte della popolazione, il consumo di risorse naturali è aumentato di ben 12,5 volte. Inoltre, il 54% delle persone vive in aree urbane: secondo le stime dell’ONU, nel 2050 il dato salirà al 64%. Se restiamo nel “business as usual”, il futuro non promette inversioni di tendenza, anzi.
Per fondare un ecosistema economico, produttivo e finanziario sostenibile, serve un adeguato supporto istituzionale. In Europa, gli incentivi non mancano; a livello nazionale, si intravedono movimenti positivi.
Nel marzo 2020, nonostante la pandemia, la Commissione europea ha presentato “Un nuovo piano d’azione per l’Economia Circolare”. L’aggiornamento del piano 2015 prevede un ambizioso programma di integrazione tra filiere circolari che coinvolge operatori economici, consumatori, cittadini e organizzazioni della società civile.
Parliamo di 454 miliardi di euro di fondi strutturali e di investimento per oltre 500 programmi in tutto il continente. Uniti a 183 miliardi (637 in totale) di cofinanziamenti nazionali da parte degli Stati membri, 26 miliardi a carico del bilancio Ue e 7,5 miliardi dall’EIB-European Investment Bank dedicati al fondo europeo per gli investimenti strategici. Non dimentichiamo, infine, i 900 miliardi del Recovery Plan per la transizione ecologica nel prossimo decennio.
I primi segnali italiani vengono dalla Legge di Bilancio 2020. Qui, tra le misure per il Green New Deal, è stato introdotto un fondo per gli investimenti pubblici pari a 4,24 miliardi di euro per il periodo 2020-2023. Tra gli interventi contemplati dalla normativa, anche quelli orientati all’economia circolare.
Con il decreto dell’11 giugno 2020, il MISE ha poi dedicato 157 milioni di euro in finanziamenti agevolati e 62,8 milioni in contributi alla spesa ai nuovi progetti industriali green. Al centro, la sperimentazione di soluzioni innovative per la riconversione delle attività produttive verso un modello circolare. Le cifre non abbondano, ma la strada è quella giusta.
Utilizzare al meglio tutto questo denaro è certamente una priorità. Ma siamo pronti? Prima di “spendere”, infatti, è importante capire come farlo e cosa si intende realmente per circular economy. La principale differenza con gli altri paradigmi sostenibili sta proprio nell’idea di base. Non contano solo l’efficienza o il taglio delle risorse impiegate: l’economia circolare punta a ridurre – a parità di contenuto – il “prelievo” di risorse dalla natura. Traguardo raggiungibile solo attraverso il recupero e la massima valorizzazione dei materiali in uso.
La Circular Economy non è la panacea di tutti i mali, ma rappresenta la miglior soluzione possibile per ogni settore, ambito di consumo o attore in gioco
Secondo il report del Politecnico di Milano, il futuro dell’economia circolare in Italia passa da tre parole chiave:
“In questo modo – commenta Chiaroni -, si connettono più filiere che condividono parte delle risorse e ne traggono beneficio, generando la cosiddetta simbiosi industriale. Risulta così possibile sostenere la stessa domanda di beni e servizi utilizzando meno risorse. La vera economia circolare non è una ricetta di austerity, bensì di espansione della domanda”.
Cambiare paradigma economico e produttivo non giova solo all’ambiente. Lo confermano le stime della Ellen MacArthur Foundation: nelle filiere Ue dei prodotti complessi di media durata, il cambio di passo può consentire tagli fino a 630 miliardi di dollari nei costi annuali dei materiali. Ancora meglio i beni di largo consumo: il risparmio netto di materiali potrebbe toccare i 700 miliardi di dollari all’anno a livello globale.
I vantaggi riguardano anche il capitale umano, perché la circolarità si è trasformata in potente strumento di innovazione. Gli effetti di un modello industriale così concepito stimoleranno crescita occupazionale e nuovi modi di lavorare. Effetto non meno importante, la resilienza dei sistemi viventi e dell’economia. Il degrado del suolo costa al mondo intero circa 40 miliardi di dollari all’anno. Cifra che non considera i costi nascosti del maggiore uso di fertilizzanti e della perdita di biodiversità.
Fare economia circolare significa soprattutto mantenere e riutilizzare i materiali che compongono i prodotti, riducendo al minimo gli scarti. In letteratura, si fa riferimento a due principali tipologie di flussi: i cicli biologici e quelli tecnici.
I primi partono da materie prime organiche di origine naturale e sono in grado di ritornare nel loro stato originario (es. le biomasse impiegate per la valorizzazione energetica). Le componenti tecniche, invece, comportano lavorazioni in parte irreversibili, che hanno come ultima opzione il riciclo (es. metalli o plastiche).
La strategia dei cicli biologici prevede tre elementi:
Per riutilizzare le risorse all’interno di un’economia circolare si può anche ricorrere alla strategia delle R, che caratterizza i cicli tecnici.
I suoi passaggi sono:
Gli investimenti in economia circolare, dunque, generano efficienza produttiva, opportunità di mercato, nuovi modelli di business, possibilità di waste recovery, integrazione di filiere e competenze.
Pratiche ancora troppo lontane dal sistema industriale del nostro Paese. “In Italia non abbiamo un ecosistema circolare di player che spingono intere filiere tecnologico-produttive verso questo nuovo approccio – conclude Chiaroni -. Mancano soprattutto le piattaforme, ossia gli attori deputati a costituire un bilanciamento tra domanda e offerta di prodotti, materiali o risorse, facilitando la circolazione delle risorse all’interno del sistema”. L’assenza di queste figure, salvo casi sporadici e ancora embrionali, rappresenta una limitazione fortissima per lo sviluppo dell’economia circolare in Italia.