Smaltimento rifiuti Raee: servono nuove regole

In 'Un mondo senza rifiuti?', pubblicato da Il Mulino, Antonio Massarutto affronta la questione di gestione e smaltimento degli scarti, compresi i rifiuti Raee del mondo elettrico ed elettronico
Un Mondo senza Rifiuti - libro che tratta lo smaltimento dei rifiuti Raee

Chi è ‘l’inquinatore’? Colui che si ritrova nelle mani il prodotto da buttare via? Chi lo ha progettato e immesso in commercio? Chi l’ha distribuito? I produttori di materie prime? La questione riguarda molto da vicino anche i rifiuti Raee (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche). In attesa di una risposta convincente – che non c’è –, per far fronte al problema dello smaltimento dei rifiuti, di ogni genere, si fa ricorso sempre più spesso al principio di responsabilità estesa. Che può essere declinato in molti modi. Ad esempio, può implicare la responsabilità economica di farsi carico dei costi della gestione dei rifiuti, inclusi i ‘costi esterni’ determinati dallo smaltimento. E ciò vale anche per i rifiuti e materiali del comparto elettrico ed elettronico.

In Europa, di solito, il principio di responsabilità estesa si concretizza nell’attribuzione a determinati soggetti – spesso i produttori o distributori – di obiettivi quantitativi, per esempio in termini di riciclo, di intercettazione e raccolta dei rifiuti, lasciando loro la libertà di organizzarsi, ma penalizzandoli con sanzioni economiche se falliscono l’obiettivo.

Copertina Libro Un mondo di rifiuti

“In linea di principio, l’obiettivo prevalente ricade sui principali produttori, ciascuno in ragione di quanto immette sul mercato”, rimarca Antonio Massarutto nel volume ‘Un mondo senza rifiuti?’, pubblicato da Il Mulino. Che sottolinea: “in questo modo si ritiene che ogni soggetto riceva un maggiore incentivo a differenziare in modo innovativo il proprio prodotto. Ma in pratica, quasi ovunque si sono affermati dei soggetti collettivi – i Producer Responsibility Organization, PRO nel gergo europeo – aderendo ai quali le imprese si liberano dalla responsabilità, esercitandola in forma consortile”.

Una montagna, anzi, una flotta di treni, di rifiuti Raee

In Italia, il Conai (Consorzio nazionale imballaggi) è un consorzio obbligatorio, cui aderiscono tutti i soggetti che immettono sul mercato imballaggi nuovi, in proporzione ai quali versano un contributo economico. Con queste risorse (oltre che con i proventi dei materiali recuperati), il Conai finanzia anche le raccolte differenziate svolte dai Comuni, e le fasi di trattamento successive, che sono svolte da imprese specializzate selezionate sul mercato. Il caso degli imballaggi è per certi versi rappresentativo, ma non certo unico. In molti altri campi si sono costituiti modelli di gestione analoghi.

Nel caso dei rifiuti elettronici, ad esempio, non si è costituito un consorzio monopolistico, ma si è puntato fin da subito sulla creazione di più soggetti tra loro in competizione, pur assoggettati al coordinamento di una ‘cabina di regia’ comune, che opera a livello nazionale e si assume responsabilità per gli obiettivi complessivi. Ciascuno dei consorzi affiliati è responsabile di fronte al coordinatore per la propria parte, in funzione delle quantità immesse sul mercato dai rispettivi associati.

Nel 2019 Ecodom, il principale Consorzio italiano di gestione dei Raee (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) ha gestito 122mila tonnellate di materiali, provenienti dalle case degli italiani – equivalenti al peso di 156 treni Freccia Rossa da 8 carrozze –, con un incremento del 16% rispetto al risultato raggiunto nel 2018 (105mila tonnellate). La raccolta ha evitato l’immissione nell’atmosfera di 849mila tonnellate di CO2, e un risparmio di oltre 153 milioni di kWh di energia elettrica.

Recupero rifiuti Raee: sul podio Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto

“Il successo sin qui è indiscutibile, ma non ci autorizza a dormire sugli allori”, rileva Massarutto: “si può fare ancora meglio, sia estendendo il modello a nuove frazioni di materiali, sia immaginando obiettivi e sistemi di incentivazione diversi, sia ancora aprendo i sistemi esistenti a una maggiore concorrenza”.

Ecodom recupera rifiuti Raee in tutta Italia, e sul podio per raccolta ci sono tre Regioni del Nord: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, seguite dalla Toscana. Fanalino di coda il Molise, con la maglia nera di regione meno virtuosa, seguita dalla Basilicata (che era ultima nel 2018).

Tra i rifiuti domestici gestiti da Ecodom nel 2019 prevalgono quelli del Raggruppamento R2 (Grandi Bianchi) con 76mila tonnellate (il 62% del totale). Seconda posizione per il Raggruppamento R1 (Freddo e Clima) con 38mila tonnellate (31%), seguito dai piccoli elettrodomestici (4.500 tonnellate, 4%), e da Tv e Monitor (3.200 tonnellate, 3%). Il Consorzio ha inoltre trattato anche 7 tonnellate di sorgenti luminose (R5). E i vertici del consorzio Ecodom sottolineano: “i risultati ottenuti sono ancora più importanti se si considera che il settore dei Raee è indebolito da carenze legislative e dalla mancanza di adeguati controlli lungo la filiera”.

Rifiuti RAEE Open Scope

Servono nuove regole per incentivare il recupero

In primo luogo, si potrebbero definire gli obiettivi su base non più nazionale ma regionale – così da stimolare la raccolta anche nelle regioni più in ritardo – e concentrarli sui flussi primari, quelli derivati dal consumo.

Si potrebbero anche accompagnare gli obiettivi minimi di riciclo con una tassa che vada a colpire la frazione non riciclata, così da rendere comunque conveniente un impegno ulteriore oltre al minimo. E ancora, andrebbero studiati meccanismi di contribuzione tali da stimolare una maggiore concorrenza tra i diversi materiali, anche allo scopo di privilegiare quelli che si dimostrano più facili da intercettare e riciclare.

“La tradizionale separazione tra rifiuti urbani – appannaggio del servizio pubblico gestito in regime di monopolio e assoggettato a una tassa –, e rifiuti speciali – gestiti in regime di mercato con operatori autorizzati – ha fatto il suo tempo”, evidenzia l’autore di ‘Un mondo senza rifiuti?’. E osserva: “quelli che in passato erano due mondi relativamente distanti e impermeabili, sono divenuti una realtà sempre più integrata, caratterizzata da flussi sempre più rilevanti che attraversano la frontiera tra le due categorie, in un senso come nell’altro”.

Secondo l’autore, “è quindi un grande errore pensare che rifiuti urbani e speciali siano mondi separati e distinti. Molti rifiuti speciali sono in realtà ex rifiuti urbani avviati al recupero, ma che poi per qualche ragione sono stati scartati o non trovano un mercato. Il rischio è che si pensi di aver risolto il problema dei rifiuti urbani semplicemente derubricandoli dalla qualifica di urbani e, pertanto, facendoli uscire dall’ambito di competenza del servizio pubblico. Occorre concepire un regime diverso, imperniato non sulla provenienza, domestica o industriale, ma sulle caratteristiche merceologiche dei flussi, distinguendo tra rifiuti recuperabili e ‘rifiuti ultimi‘, ossia quelli che non possono o non riescono in alcun modo ad essere recuperati”.

Non tutti gli scarti sono uguali

Secondo questa impostazione dovrebbe essere il mercato – tendenzialmente sempre più aperto e concorrenziale – a gestire i flussi di materiali recuperabili, sia in forma di materia sia di energia, mentre il servizio pubblico dovrebbe concentrarsi sulla gestione dei rifiuti ultimi, ossia trovare destinazione a quanto il mercato non è in grado di assorbire.

L’autore dell’analisi su come gestire i rifiuti sottolinea poi: “il principale problema sta nel fatto che per gestire i rifiuti ultimi sarà necessaria una congrua dotazione di impianti; ma nello stesso tempo, questa dovrà essere sempre più piccola, man mano che cresce la capacità di riciclo, con il rischio quindi che la capacità in eccesso risulti inutilizzata. Occorrerà quindi pianificare con attenzione l’eccesso di capacità, trovando il modo di condividerne il costo su scala nazionale”. E Massarutto indica una proposta: “a questo fine, opportuni sistemi di incentivi e penalità economiche devono essere studiati per ridurre al minimo il ricorso a questo secondo canale, che pure deve essere dimensionato in modo tale da assicurare una destinazione a tutti i flussi residui, qualunque ne sia la provenienza”.

Uno strumento certamente utile può essere la tassazione della discarica: è già presente in Italia, ma per importi che sono ancora troppo bassi e insufficienti a incoraggiare la transizione verso altre soluzioni. Per essere efficace, la tassa deve modificare il quadro delle convenienze, quindi essere tarata a un livello pari alla differenza tra la tariffa ‘al cancello’ della discarica e il costo delle migliori alternative. Insomma, c’è ancora parecchio da fare per innovare senza sprecare e inquinare di meno.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, imprese, tecnologie e innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con InnovationPost, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como.
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