Decarbonizzare il settore edile significa fare in modo che il mondo delle costruzioni riesca a non causare emissioni di CO2. Questo significa ricorrere a fonti energetiche alternative, impianti efficienti e interventi di riqualificazione del patrimonio esistente. Intervenire sugli edifici residenziali, già, farebbe una grande differenza.
Secondo uno studio elaborato da Elemens per Legambiente e Kyoto Club, gli edifici residenziali, pubblici e commerciali hanno contribuito in buona parte alle emissioni di PM2,5 (64% del totale nel 2018), PM10 (53%) e CO (60%) emesse in Italia nel 2018. Scendendo nel dettaglio del comparto residenziale, composto da circa 25 milioni e mezzo di abitazioni, il consumo di energia è per il 67% dovuto al riscaldamento domestico.
Inoltre, secondo l’ARPA il lock down ha dimostrato il peso del residenziale quando si parla di inquinamento atmosferico, tant’è che fermando industrie e trasporti le emissioni di PM10 sono diminuite meno del 20%, a causa di un maggior uso del riscaldamento.
Per quanto riguarda i vettori energetici, il gas naturale rimane in testa nella classifica delle fonti più utilizzate; al secondo posto ci sono le biomasse solide, come legno e cippato; seguono i prodotti petroliferi e, infine, la cogenerazione. Solo l’1%, poi, ricorre all’elettricità attraverso tecnologie quali le pompe di calore.
Lo stesso dato, ma rapportato al numero di abitazioni anziché ai consumi, vede comunque primo in classifica il metano, con circa 17 milioni e mezzo di caldaie a gas. Per quanto riguarda la tipologia degli impianti, invece, emerge che nelle città, gli impianti più diffusi sono quelli centralizzati alimentati a gas e gasolio.
I grandi centri urbani, oltretutto, diventano una priorità anche perché è proprio nelle grandi città che si rilevano i peggiori dati relativi alla qualità dell’aria. Proprio per questo motivo diventano, in un certo senso, una priorità. Questo significa riqualificare e intervenire sui condomini, che caratterizzano il contesto urbano.
Il primo passo per ridurre i consumi energetici è quello di efficientare il parco edilizio esistente, attraverso interventi di ristrutturazione.
Riqualificare un edificio esistente, infatti, ha lo scopo di migliorarne le performance e ridurre il suo fabbisogno energetico, ossia la quantità di energia necessaria al suo funzionamento. Un obiettivo che può essere raggiunto attraverso interventi quali:
Si riducono le dispersioni di calore e l’edificio funziona meglio e con meno energia sia in inverno, che in estate.
Se si considera che oltre il 70% degli edifici che sono stati soggetti di APE sono risultati in classe inferiore alla D, è semplice intuire la differenza che potrebbe fare una riqualificazione sistematica dell’esistente.
Lo studio di Elemens, ad esempio, ipotizzando un tasso di ristrutturazione pari al 3% annuo della superficie edilizia disponibile, come vorrebbe la Renovation Wave, calcola che si riuscirebbe ad ottenere una riduzione dei consumi attuali ad un terzo.
La sola riqualificazione degli edifici, però, non permette di raggiungere risultati sufficienti per decarbonizzare il settore residenziale. Per riuscire nell’intento, infatti, è fondamentale ricorrere a fonti energetiche alternative e che non causano emissioni di CO2.
Elettrificare un edificio, ad esempio installando una pompa di calore per la sua climatizzazione e per la produzione di acqua calda sanitaria, permetterebbe di abbandonare il gas. Per quanto efficiente, infatti, una caldaia a gas causa emissioni e, quindi, non permette di raggiungere una reale e completa decarbonizzazione degli edifici residenziali.
Soprattutto in condominio, dove l’impianto è spesso centralizzato, è possibile ottenere ottimi risultati in termini di risparmio energetico.
Combinare un impianto centralizzato a pompa di calore con un sistema per la produzione di energia rinnovabile, come il fotovoltaico o il solare termico, è sicuramente una buona soluzione che guarda alla via della decarbonizzazione. Intervenire su un condominio, inoltre, permette di riqualificare impianti generalmente molto energivori, che alimentano diverse abitazioni.
L’impatto, quindi, relativo alla sostituzione del singolo impianto, è considerevole. Inoltre, questi edifici possono trasformarsi in comunità energetiche, basate sull’autoproduzione, quindi in grado di produrre energia da condividere e distribuire tra i diversi abitanti.