Costruire comunità rinnovabili significa puntare su autoconsumo collettivo ed esperienze locali di reti energetiche green. Sole, vento, acqua, terra, biomasse: l’Italia può contare su 1,1 milione di impianti da fonti rinnovabili, in grado di soddisfare il 37,6% dei consumi elettrici e il 19% dei del fabbisogno energetico complessivo. E anche sul substrato virtuoso di 3.493 comuni 100% elettrici e 40 comuni 100% rinnovabili.
Ma bisogna fare di più: tra pandemia e incertezze burocratiche, siamo ancora lontani dagli obiettivi climatici al 2030. Ecco perché lo sviluppo delle comunità energetiche e delle configurazioni di autoconsumo collettivo, oggi più concreto grazie alla Legge Milleproroghe del marzo 2020, diventa un fattore chiave della transizione ecologica italiana. Il report Comunità Rinnovabili di Legambiente racconta lo status di questa spinta essenziale che viene “dal basso”.
Tra configurazioni di comunità energetiche da fonti rinnovabili e autoconsumo collettivo, le esperienze reali crescono in maniera vivace. Evoluzioni importanti, che evidenziano come la generazione distribuita, integrata a sistemi di accumulo o di gestione smart, possa davvero soddisfare i fabbisogni energetici di realtà anche molto diverse tra loro.
Attualmente in Italia si contano:
Tra le storie censite da Legambiente, anche diverse configurazioni di autoconsumo collettivo, guidate dalla prima esperienza di Pinerolo.
Ci sono anche situazioni particolari come quella del porto di Savona, che non rientra nelle precedenti definizioni normative ma apre la strada a una maggiore diffusione del modello energetico locale. Qui, infatti, è stato creato un sistema semplice di consumo e produzione a servizio delle utenze portuali, alimentato da 121 kW di pannelli fotovoltaici destinati ad aumentare fino a 4 MW. L’obiettivo è soddisfare il 95% del fabbisogno annuale di energia del porto di Savona o il 45% di tale fabbisogno più i consumi di una grande nave passeggeri 10 volte al mese.
La loro evoluzione conta. Secondo uno studio Elemens-Legambiente, infatti, le comunità energetiche porteranno 17 GW di nuova potenza da rinnovabili al 2030. Ovvero il 30% dell’obiettivo climatico al 2030 del PNIEC, ancora da aggiornare. La restante parte spetta invece allo sviluppo di impianti eolici, geotermici e idroelettrici diffusi nei territori e ben realizzati.
“Le comunità energetiche rappresentano uno strumento ideale contro la crisi climatica e la povertà energetica, che oggi riguarda oltre 2 milioni di famiglie italiane – spiega il presidente di Legambiente Stefano Ciafani –. Queste realtà, tuttavia, dovranno essere accompagnate da politiche di spinta di impianti da fonti rinnovabili più grandi, in grado di contribuire al bilancio energetico del nostro Paese fino al raggiungimento dell’obiettivo emissioni zero nette. Il tutto associato a sistemi di accumulo, per garantire flessibilità e sicurezza alla rete, e all’idrogeno verde, per decarbonizzare i settori più energivori”.
Le collaborazioni pubblico-privato in ottica di indipendenza energetica funzionano, mentre il fronte – necessario – dei grandi impianti progredisce ancora troppo lentamente. Nel 2020 siamo appena sopra 1 GW di potenza complessiva installata, solo 112 MW in più del 2019.
Colpiscono soprattutto le deludenti performance di solare ed eolico, ovvero i protagonisti della decarbonizzazione:
Considerando l’obiettivo di 70 GW di potenza al 2030 e la media di installazione degli ultimi tre anni (circa 513 MW), l’Italia raggiungerà il proprio obiettivo di istallazioni tra 68 anni!
Insomma, il passo di queste due fonti rinnovabili va decisamente cambiato, perché la colpa della frenata non è imputabile solamente alla pandemia. “La storia italiana è abbastanza chiara – spiega Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente –. In assenza di regole certe, trasparenti e in grado di coniugare le esigenze energetiche con quelle dei territori, sarà difficile superare le barriere non tecnologiche, le paure dei cittadini e delle amministrazioni locali”. Servono politiche concrete e coraggiose in tema di normativa, iter autorizzativi, regole trasparenti e riforme vitali per il successo del PNRR. Sarà fondamentale, in quest’ottica, il completo recepimento delle Direttive europee in tema di autoproduzione e scambio di energia.
Altra componente chiave del report di Legambiente, il livello di transizione energetica dei comuni italiani.
La cartina italiana risulta così suddivisa:
Nel complesso, oltre un milione di impianti da fonti rinnovabili installati soddisfano il 37,6% dei consumi elettrici e il 19% di quelli energetici totali. Tradotto: al 2020 potremmo dire addio a 13 GW di centrali a fonti fossili.
A queste cifre si uniscono quelle delle installazioni rinnovabili: 828.487 impianti fotovoltaici, oltre 3.369 mini idroelettrici, 4.950 impianti eolici, oltre 187mila a bioenergie (185mila da biomasse solide termiche), oltre 30mila geotermici tra alta e bassa entalpia e 4,4 milioni di metri quadri di solare termico. Il mix energetico porta, nel 2020, la produzione da rinnovabili a 113,9 TWh: un aumento di quasi 37 TWh rispetto al 2010 e di 58 TWh rispetto al 2006, primo anno del rapporto Comunità Rinnovabili di Legambiente.
I dati complessivi confermano che è necessario recepire le direttive europee su autoproduzione e scambio di energia
Ora le tecnologie e le potenzialità della generazione distribuita sono ampiamente sdoganate. Quel che serve è capire come moltiplicare questi numeri con l’obiettivo di raggiungere almeno 80-100 TWh di produzione da rinnovabile al 2030. Riducendo in parallelo i consumi e l’utilizzo delle fonti fossili, per poterne fare a meno entro il 2040. Nuove avventure energetiche nei territori, da un lato, investimenti coraggiosi nei grandi impianti, dall’altro. Ecco la ricetta che cambierà davvero il volto delle comunità rinnovabili italiane.