
Chi ha un minimo di confidenza con la transizione energetica sa bene che il produttore largamente dominante è la Cina. E la musica di certo non cambia se si guarda allo specifico comparto delle batterie destinate a garantire la propulsione delle auto elettriche. Ma siamo sicuri di conoscere tutti i benefici che avrebbe l’Europa a produrre in proprio, se non tutte, una parte importante delle batterie necessarie?
La risposta più comune a questa domanda contiene due indicazioni: da un lato c’è il vantaggio economico per i Paesi dell’Unione Europea derivante dalla riduzione delle importazioni da Pechino, dall’altro figura il vantaggio occupazionale legato alla creazione di posti di lavoro nelle fabbriche di batterie Made in Europe. Esiste però un terzo beneficio, non altrettanto intuitivo ma di grande importanza, del quale si occupa un recente studio di Transport & Environment (T&E).
Nella ricerca si approfondisce quello che ci si augura sia un futuro possibile e non uno scenario destinato a rimanere sulla carta. Stiamo parlando delle conseguenze pratiche che avrebbe sull’ambiente l’insediamento nel nostro continente di una forte supply chain della mobilità elettrica e della produzione di batterie.

In particolare, “grazie alla quota sempre crescente di elettricità rinnovabile impiegata nei processi produttivi, si arriverebbe a ridurre l’impronta di carbonio di una batteria del 62% rispetto ad una catena del valore interamente controllata dalla Cina. E tale riduzione si attesterebbe comunque al 37%, tenendo conto dell’attuale mix energetico medio nell’Unione Europea”.
Per arrivare a queste stime, sono state prese in considerazione le quattro componenti coinvolte nella filiera produttiva delle batterie destinate alla mobilità green. Si tratta di:
Nell’analisi di Transport & Environment, che ricordiamo essere un’organizzazione ambientalista indipendente europea, emerge anche come “l’onshoring della produzione di celle delle batterie e dei componenti necessari per soddisfare la domanda europea di sistemi di accumulo potrebbe far risparmiare circa 133 Mt di CO2 tra il 2024 e il 2030, l’equivalente delle emissioni annuali totali della Repubblica Ceca”.
Il report di T&E, oltre ad analizzare il livello di avanzamento dei progetti annunciati, evidenzia come addirittura meno della metà (47%) dell’intera produzione di batterie agli ioni di litio, pianificata nell’Unione Europea da qui al 2030, è in realtà sicura di essere effettivamente realizzata.

“Le misure messe rapidamente in campo – si legge – per rispondere all’IRA (Inflation Reduction Act) statunitense hanno giovato all’industria europea, che ha consolidato parte della sua nascente industria greentech; infatti, lo scorso anno i progetti sicuri si attestavano ad appena un terzo del totale. Nonostante ciò, sono ancora più della metà (53%) i progetti europei che presentano un rischio medio-alto di essere ritardati, ridimensionati o cancellati del tutto”.
Nello studio i progetti di produzione di batterie annunciati pubblicamente e previsti fino al 2030 vengono divisi fra le vari nazioni europee facendo emergere situazioni molto differenti. In particolare, il Paese più esposto appare la Germania dove per la produzione interna di batterie sono previsti oltre 350 GWh aggiuntivi di capacità da qui alla fine del decennio. Ma di questi circa 100 GWH vanno considerati ad alto rischio ed altri 50 a rischio medio.
Altri Paesi molto esposti al rischio sono Regno Unito, Spagna, Norvegia e Ungheria. Su questo fronte buone notizie, ma in realtà solo apparenti, per l’Italia: se è vero che la produzione futura di batterie non è a rischio, è altrettanto vero che con i suoi 48 GWh da qui al 2030 il nostro Paese si colloca all’ultimo posto fra le grandi nazioni europee.
Carlo Tritto, policy officer per T&E Italia, sottolinea che “per garantire che le gigafactory vedano la luce qui e non altrove, l’Unione Europea deve fugare ogni incertezza sull’abbandono dei motori endotermici e fissare un obiettivo di elettrificazione del 100% delle flotte aziendali che possa assicurare un mercato alle batterie Made in UE”.
Per il responsabile di Transport & Environment “le stesse considerazioni valgono per il nostro Paese, in cui il mercato dell’auto elettrica, a causa di nuovi incentivi annunciati da mesi e ancora non pervenuti, è in contrazione persino rispetto ai modesti volumi del 2023. Eppure l’Italia, con il più alto tasso di motorizzazione in Europa e uno dei parchi circolanti più vecchi, inquinanti e insicuri, necessita più di ogni altro stato membro un netto cambio di marcia”.