
Quando si parla di industria italiana delle pompe di calore, si dovrebbe partire dai dati. “L’Italia vanta la seconda industria europea a livello di pompe di calore. Contiamo 50 aziende produttrici sulle 300 totali in Europa. A ciò si aggiunge un altro dato: il 20% della produzione dei componenti delle pompe di calore in Europa è realizzato in Italia. Nel nostro Paese disponiamo di una base di componentistica chiave fondamentale per lo sviluppo, a differenza di altri settori che, invece, per la componentistica devono rifornirsi all’estero”. A mettere in risalto l’istantanea del settore è Maurizio Marchesini, presidente di Assoclima, Associazione dei costruttori di sistemi di climatizzazione, federata ad ANIMA Confindustria.
I numeri sono importanti, lo sa bene Marchesini. Per questo l’Associazione ha commissionato quest’anno a The European House Ambrosetti lo studio “Il ruolo delle pompe di calore in Italia: stato dell’arte e opportunità di sviluppo”. È un’analisi pensata proprio per illustrare la forza di un settore, che è un elemento di valore e una leva per la competitività industriale nazionale.
A pochi giorni dall’importante evento di riferimento, Heat Pump Technologies (Allianz MiCo Milano, 2-3 aprile), è bene comprendere presente e prossimo futuro del comparto, attraverso un’analisi puntuale.
Il peso specifico dell’industria italiana delle pompe di calore lo si comprende bene, andando a guardare nel dettaglio i numeri espressi. Se analizziamo la fascia 20-50 kW, il 50% di ciò che è venduto in Italia è di produzione nazionale. Passando alla fascia di potenza 50-350 kW, l’80% è made in Italy. Quindi il nostro è un Paese che ha un’impronta industriale molto forte – afferma Marchesini –. Vorrei soffermarmi sul segmento 20-50 kW, una fascia che fino a cinque anni fa il nostro settore definiva “il mondo del light commercial”.

Il motivo è chiaro: il residenziale, in particolare le villette, era inteso 0-20 kW, e da 20 a 80-100 kW si parlava di light commercial office building, ovvero piccoli ambiti commerciali con aree uffici e servizi. Oggi, al segmento classico del “light commercial” si aggiunge un altro importante segmento denominato “multifamily”, rappresentativo della crescita della domanda di generatori elettrici a pompa di calore nel comparto condominiale. Questo nuovo segmento ricopre una rilevanza enorme in prospettiva futura ed è previsto essere assieme al segmento residenziale il più importante per ciò che riguarda le crescite assolute. La partita decisiva in questo segmento è sostituire la caldaia centralizzata con una pompa di calore in grado di soddisfare le esigenze delle varie utenze in termini di caldo, freddo e acqua calda sanitaria.
Qual è oggi il punto debole dell’industria italiana delle pompe di calore? “Il segmento di potenza 0-20 kW. Nato come prodotto di massa, il classico split di matrice produttiva prevalentemente asiatica e con tecnologia a espansione diretta inizialmente proposto per assolvere essenzialmente alle esigenze di raffrescamento dell’ambito residenziale, si è via via completato della funzione pompa di calore per soddisfare le cosiddette esigenze di caldo nelle “mezze stagioni” normalmente in abbinata a un generatore a gas per il riscaldamento invernale.
Da alcuni anni oramai, quando si parla di pompa di calore in ambito residenziale, s’intende un prodotto diverso, maturo e più evoluto, in grado di fornire in toto la cosiddetta climatizzazione a “ciclo annuale”, ossia freddo, caldo e acqua calda sanitaria. Questa è la reale differenza. Allo stato attuale, la tecnologia permette alla pompa di calore, in particolare aria-acqua o acqua-acqua, di andare a sostituire il generatore a gas, sia nelle ristrutturazioni, sia nelle nuove costruzioni.
L’unico aspetto negativo e da tenere in grande valutazione è che l’Italia e l’Europa, diversamente da quanto accade nel settore delle medie e grandi potenze, non detengono un primato e un forte footprint produttivo nella fascia 0-20 kW. Quindi, quando parliamo di opportunità di sviluppo futuro, dobbiamo lavorare molto per incrementare questo segmento produttivo. In Italia non mancano certo le competenze e il know-how e non manca neanche da parte delle aziende e dei gruppi internazionali presenti la volontà di investire sul territorio ma occorrono politiche chiare a medio lungo termine e piani incentivanti per far crescere la quota di mercato produttiva in questo segmento”, rileva il presidente di Assoclima.
In quali casi, in Italia, investire in un sistema a pompa di calore rappresenta una buona soluzione per soddisfare i fabbisogni termici di abitazioni e appartamenti? Sarebbe semplice dire: in tutti i casi. Ma non è così, o lo è parzialmente. Personalmente sono sempre stato contrario ai divieti, perché una tecnologia deve entrare in maniera autonoma e graduale, facendo comprendere all’utente i reali benefici, prima di diventare prevalente.
Lo studio condotto da The European House Ambrosetti e Assoclima ha avuto lo scopo anche di sfatare alcuni falsi miti. Uno di questi era che la pompa di calore andasse benissimo nelle nuove costruzioni, ma non fosse adatta nelle ristrutturazioni. Le due leve su cui poggia questa falsità era l’impossibilità della pompa di calore di raggiungere temperature tali da consentirne l’utilizzo con temperature esterne molto rigide e di raggiungere i 75 °C per l’acqua calda sanitaria. Da qui l’erronea convinzione che non si prestasse bene per le ristrutturazioni. Dato che il mercato è costituito per oltre l’80% da ristrutturazioni e solo per la restante parte da nuove abitazioni, questo costituiva un ostacolo per l’espansione della tecnologia nella parte più cospicua del mercato.
Tuttavia – ribadisco – si tratta di un falso mito: le pompe di calore moderne sono progettate per funzionare efficientemente anche a basse temperature esterne (anche fino a -15/20 °C). Non solo: anche con gli impianti a radiatori, sono in grado di mantenere il comfort termico nell’abitazione raggiungendo temperature di mandata più elevate. Oggi con i nuovi gas refrigeranti, in particolare R 290 (propano), possono assolvere tranquillamente alle suddette esigenze.
Tutto questo, spiega sempre Marchesini, a significare che si assisterà via via al passaggio da una tecnologia tradizionale basata sui generatori a gas alle pompe di calore elettriche, una sorta di passaggio di testimone tra le due tecnologie.

“Premesso che stiamo già assistendo da anni al processo di introduzione della pompa di calore anche nel segmento residenziale, sono convinto che non ci sarà un rallentamento nel prossimo futuro. Anzi, per raggiungere gli obiettivi individuati dal Fit for 55 e dalle varie direttive conseguenti, non ultima la direttiva “Case Green”, dovremo assistere a una accelerazione a riguardo, pena il non raggiungimento degli obiettivi prefissati, anche se ci potranno essere delle situazioni dove limiti oggettivi di spazio e vincoli vari non permetteranno, in Italia, un immediato e facile utilizzo delle pompe di calore in tutte le abitazioni”.
“Ma non siamo preoccupati di questo perché le situazioni in cui la pompa di calore residenziale, comunque, potrà trovare facilmente applicazione sono così tante che l’industria italiana ed europea sarebbe prontissima a scommettere sulla loro crescita esponenziale. Non è questo lo scoglio principale. Oggi il vero ostacolo per una penetrazione ancor più rapida e importante della pompa di calore elettrica semmai è quello economico”.
Per avere prezzi ragionevoli e diventare competitivo, il settore 0-20 kW deve contare su numeri alti di venduto. Oggi la tecnologia, in quanto più “giovane”, è soggetta e legata alla classica curva dei “prezzi e dei costi” e solo con la produzione di massa si riuscirà ad abbassare i costi. In questo momento è una lacuna difficilmente colmabile e un loop che non si chiude.
Senza misure incentivanti, rivolte in particolare alle nuove tecnologie quali sono le pompe di calore, è difficile programmare nuovi investimenti e, “se non saremo altamente efficienti a livello di produzione, non riusciremo ad abbassare i costi. Se non saremo in grado di abbassare i costi, non permetteremo alla pompa di calore di colmare quel gap nei confronti dei più tradizionali sistemi a gas o, peggio ancora, di lasciare che in Europa arrivino pompe di calore prodotte in paesi extra UE”.
Il problema principale, quindi, è il costo iniziale dell’investimento, oggi superiore a quello di una caldaia. “A tale proposito abbiamo chiesto dei piani di incentivazione, chiari e duraturi nel tempo, che potessero ridurre o, meglio ancora, abbattere questo scoglio legato essenzialmente all’investimento iniziale, superato il quale si evidenziano i vantaggi economici oggettivi delle pompe di calore legati in particolar modo al ciclo di vita del prodotto e collegati ai risparmi nel tempo rispetto alle soluzioni a combustibili fossili”.
Per ciò che riguarda le caratteristiche distintive, va ricordato che la pompa di calore – a parità di kWh termico prodotto – riduce le emissioni di CO2 del 65% rispetto a una caldaia a condensazione. Benefici che si amplificano ulteriormente se confrontati con una caldaia non a condensazione, con un risparmio del 75% delle emissioni di CO2.
Veniamo al tema dei prezzi dell’energia. Quali scenari di prezzi elettrici devono essere contemplati perché l’elettrificazione possa essere competitiva? “Oltre all’investimento iniziale, un ostacolo attuale è costituito dal prezzo dell’energia elettrica – afferma Marchesini –. Negli ultimi tre anni si è parlato molto, a livello europeo, dell’importanza della decarbonizzazione e dell’elettrificazione dei consumi. Le pompe di calore sono in grado di prelevare energia rinnovabile dall’ambiente, riducendo il fabbisogno di energia primaria di circa il 58,5% per il riscaldamento di un edificio residenziale.
Gli elementi paradossali sono due. Primo: si è continuato a garantire incentivi al gas, ma non all’elettricità. Secondo: continuiamo ad avere un costo dell’energia elettrica elevato, pur avendo oggi raggiunto un livello italiano davvero buono e in continua, rapida e progressiva espansione delle rinnovabili”.
Quindi, pur avendo abbassato negli ultimi anni il costo della produzione di energia elettrica, che ancora oggi soffre di una componente che la penalizza rispetto al gas, non si è ancora effettuato un disaccoppiamento dei prezzi dell’energia elettrica da quelli del gas.
Quale valore potrà avere il decoupling di prezzo tra elettricità e gas? “Se riusciremo a fare questo disaccoppiamento, esso costituirà l’autentico incentivo per le pompe di calore. Ben più che l’incentivo del 50%, che non sempre ha una rilevanza così significativa, perché l’utente finale, pur potendo contare sulla possibilità di scaricare la fiscalità in 10 anni, potrebbe non avere la possibilità di farlo per l’impatto del costo iniziale. Quindi, vanno bene gli incentivi – mirati a stimolare le nuove tecnologie che ne abbisognano davvero –, ma occorre arrivare a rendere competitivo il prezzo dell’elettricità, scorporandolo da quello del gas, perché questo sarà lo stimolo più potente per la competitività per l’industria italiana delle pompe di calore”.
Che importanza riveste il tema della formazione e delle competenze? Come va declinato? “È un tema prioritario. La difficoltà nel centrare l’obiettivo – dichiarato da EHPA – di 60 milioni di pompe di calore in Europa non è legata a un problema produttivo, quanto a un problema installativo”.

“Quando si è detto che, nel 2022, l’Italia è stato il primo Paese per vendita di pompe di calore, ci si riferiva al sell-in, non al sell-out. Di ciò che è stato venduto dalle aziende nel 2022, si stima che solo il 35/40% sia stato installato. Il collo di bottiglia non è la produzione di pompe di calore; il problema è la formazione di coloro che dovranno installarle e di coloro che dovranno occuparsi dell’assistenza. Stiamo assistendo a un passaggio di consegne tra una tecnologia (caldaie a gas) e un’altra (pompe di calore), ma per prendere il testimone, la nuova tecnologia e il settore a essa legato devono essere pronti a garantire un determinato servizio e una prontezza e competenza nell’assicurarlo. Da qui l’esigenza di formazione”.
Un altro aspetto che evidenzia la dinamicità del settore delle pompe di calore riguarda la capacità di passare, nel giro di pochi anni, a tre diverse tipologie di gas refrigeranti via via a minor impatto ambientale, refrigeramenti A1, A2 e recentemente A3. “Questo si traduce in un’adeguata competenza del professionista, che dovrà essere formato a livello tecnologico e anche sui refrigeranti nuovi, in primis il propano”.
A livello associativo, come vi state muovendo a proposito? “Stiamo collaborando con AiCARR, Assofrigoristi e altre associazioni a noi collegate proprio per implementare la formazione, perché ne abbiamo fortemente bisogno, contando inoltre su un numero sempre più ampio di personale per rispondere agli scenari futuri di espansione. Come associazioni e come imprese del settore ci stiamo muovendo proprio in questa direzione. Sono convinto che solo sapendo fornire adeguata assistenza e capacità di manutenzione potremo avere successo e sviluppo”.
L’anno in corso e il prossimo futuro come si prevedono? Qui è bene fare un discorso separato tra segmenti tecnologici. “Per il settore commerciale (dai 20 kW in su), credo che il 2025 presenterà un altro segno positivo. Le aziende del settore nel primo trimestre stanno mediamente registrando un +5/7%, ottimo segnale, segno di un settore in continua crescita. Inoltre, nel commercial esistono interi mercati nuovi, non nicchie. Penso solo a titolo di esempio ai capannoni industriali, con uffici collegati, che sono sempre stati riscaldati da caldaie: in maniera assai rapida, anche grazie a investimenti importanti delle aziende, si stanno radicalmente sostituendo le caldaie con le pompe di calore”.
“E questo, va a favore dell’industria italiana delle pompe di calore. Moltissime aziende, negli ultimi anni, hanno investito in fotovoltaico. La logica conseguenza per queste aziende che hanno fatto un investimento in tal senso è passare da sistemi di riscaldamento a gas alle pompe di calore elettriche. E questo sta puntualmente accadendo”.
Ma rispetto agli ultimi quattro anni, com’è l’andamento? “Dopo il Covid non c’è più continuità. Ogni anno fa storia a sé ed è diverso dall’altro. Nonostante tutto, ogni anno ha registrato un andamento positivo. Quindi, cresceremo anche quest’anno, magari in maniera diversa rispetto all’anno scorso”.
Nel 2024, il driver nel commerciale è stato rappresentato dal PNRR, ma anche nell’anno in corso si risentirà di una coda positiva degli effetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. “Il residenziale, invece, credo che abbia segnato la performance più negativa nel 2024. Riteniamo che la bolla speculativa generata nel 2022 a causa di tutti i fattori economici, politici e geopolitici in atto, e in Italia in particolare dagli effetti positivi ma poco sostenibili legati al Superbonus 110, abbia poi provocato una bolla al contrario nel 2023 e nel 2024 con profonde riduzioni di quote di pompe di calore vendute anche a causa degli stock presenti nella filiera. Si è arrivati così, a metà del 2024, a toccare il fondo”.
A proposito di stock e di route to market è importante fare dei distinguo: mentre nel commercial il canale di vendita principale è il cosiddetto canale corto e si ha la percezione diretta dell’andamento del mercato, nel residenziale molto dipende da grossisti e rivenditori. Questo genera un’incognita maggiore, costituita dallo stock intermedio e dalla pipeline di vendita più lunga. Tutto ciò si riflette poi sulle dinamiche di mercato e sulle incognite maggiori di effettiva ripartenza. Oggi ci sono magazzini intermedi in riduzione, ma comunque ancora capienti.
“Possiamo tradurre l’andamento in un ottimismo più tiepido, che non significa però che non ci sia la ripartenza. Le pompe di calore nel residenziale si continuano a installare e ne stiamo installando di più rispetto agli anni precedenti” conclude Marchesini.
