
La transizione energetica negli USA passa gioco forza dalla rivalità con la Cina e dalla necessità di recuperare terreno sulle rinnovabili e non solo, oltre a ridurre la dipendenza dalla Repubblica Popolare, che è oggi il più grande produttore di beni del mondo, “con una produzione equivalente a quella di tutte le fabbriche statunitensi, tedesche e giapponesi messe insieme”, ricorda Foreign Policy. Non solo: la Cina esprime un predominio tecnologico e anche dal punto di vista di materie prime.
Il Governo Biden ha da subito impostato la sua politica sull’incentivare le green tech, proprio perché è uno dei campi in cui si è articolata la rivalità tra Stati Uniti e Cina.
L’Inflation Reduction Act è certamente il passo più significativo del presidente USA, oggi impegnato in un difficile testa a testa con Donald Trump (che su rinnovabili e sui veicoli elettrici ha sempre manifestato ostilità). Ad agosto 2022, Joe Biden l’ha convertita in legge, “segnando l’azione più significativa intrapresa dal Congresso sull’energia pulita e il cambiamento climatico nella storia della nazione”, riporta la Casa Bianca.
IRA a parte, sono diverse le decisioni prese dagli Stati Uniti in materia di sviluppo delle tecnologie necessarie su rinnovabili, energy storage e mobilità elettrica, nonché sulle materie prime critiche necessarie per le soluzioni tecnologiche. Lo ricorda un recente report ECCO, intitolato “Gli USA e le tecnologie per la transizione energetica” dedicato ad analizzare lo stato dell’arte degli Stati Uniti in materia di tecnologie per la transizione energetica.
Le tappe che hanno caratterizzato lo sforzo sulla transizione energetica degli USA sono caratterizzate, oltre che dall’IRA, anche dal Chips and Science Act, emanato sempre nell’agosto 2022 per rafforzare la produzione americana di chip, le catene di fornitura e la sicurezza nazionale, investendo in ricerca e sviluppo, scienza e tecnologia e nella forza lavoro. La stessa Casa Bianca ha ricordato, a proposito dell’atto, che l’America ha inventato i semiconduttori, ma attualmente incide circa per il 10% della fornitura mondiale, e nessuno dei chip più avanzati.
Nei giorni successivi, è giunta la conversione in legge dell’Inflaction Reduction Act, mediante cui ha stanziato 369 miliardi di dollari per incrementare gli investimenti statunitensi nelle tecnologie green e i posti di lavoro ad essa associati, con l’obiettivo generale di ridurre le emissioni statunitensi, in linea con gli obiettivi al 2030.

“Secondo le stime, le misure contenute nell’IRA dovrebbero ridurre di due terzi il gap tra le emissioni USA attuali e l’obiettivo fissato per il 2030, che indica una riduzione del 50-52% rispetto ai livelli del 2005”, sottolinea ECCO.
L’IRA prevede crediti di imposta per i progetti sulla transizione energetica, sotto forma di rinnovabili e sull’energy storage, sovvenzioni e prestiti, favorendo non solo fotovoltaico, eolico & C. ma anche l’idrogeno verde e i veicoli elettrici. Come ricordava Transport & Environment nel 2023, gli investimenti in fabbriche di batterie, e veicoli elettrici sono esplosi in Nord America.
Nel primo anno dell’IRA sono stati annunciati un totale di 280 progetti di energia pulita in 44 stati degli Stati Uniti, per un totale di 282 miliardi di dollari di investimenti, creando 175mila posti di lavoro, segnala un’analisi Goldman Sachs.
Da agosto 2022 sono stati annunciati 488 miliardi di dollari di investimenti in energia pulita su scala nazionale, segnala American Clean Power.
Tuttavia, al di là di questi impegni annunciati, a livello di capacità rinnovabile installata, ECCO evidenzia anche i lati critici come emerso da un report pubblicato a febbraio 2024 nel quadro del progetto Rapid Energy Policy Evaluation and Analysis Toolkit (REPEAT) coordinato dall’Università di Princeton. L’IRA ha sicuramente reso competitivi gli investimenti in energie rinnovabili, ma non sono state affrontate le barriere non economiche legate al potenziamento delle energie rinnovabili, quali: le concessioni dei permessi, i problemi di interconnessione alla rete, le interruzioni nelle catene di approvvigionamento.
Inoltre, l’adozione dell’Inflaction Reduction Act ha scatenato riflessioni e un certo attivismo in seno all’UE, che ha portato a definire il Quadro Temporaneo di Crisi e Transizione (TCTF), che modifica le norme sugli aiuti di Stato fino alla fine del 2025. E l’annuncio, l’anno scorso, del Green Deal Industrial Plan, nato per aumentare la capacità produttiva interna di tecnologie e prodotti a zero emissioni nette, cui fanno parte sia il Net Zero Industry Act sia il Critical Raw Materials Act.
“Nonostante la grande preoccupazione iniziale, la contestualizzazione degli impatti macro-economici dell’IRA sull’UE ha dimostrato come i suoi effetti saranno estremamente ridotti”, segnala ECCO, riportando i risultati di un’analisi del Centre for Economic Policy Research, che evidenzia come in un orizzonte di 5-10 anni il reddito UE subirà un relativo declino pari allo 0.001%.
Nel percorso verso la transizione energetica negli USA è bene comprendere lo stato di avanzamento delle fonti rinnovabili. “Nel 2022, eolico, solare, biomassa, termovalorizzazione dei rifiuti, geotermico e idroelettrico rappresentavano il 22,7% della produzione totale di energia negli Stati Uniti”. La produzione di energia da fonti rinnovabili ha riportato un tasso di crescita annuale del 12.6%, passando da 864 TWh nel 2021 a 974 TWh nel 2022 – una crescita, questa, trainata dall’aumento della produzione eolica e solare e dalla crescita della produzione idroelettrica.

L’eolico negli USA è più sviluppato del fotovoltaico, rappresentando nel 2022 l’8% della capacità produttiva di tecnologie per l’eolico. Tuttavia, l’industria statunitense copre infatti solo due terzi della domanda e, sull’eolico offshore, è in ritardo rispetto a Cina e Unione Europea.
L’industria del fotovoltaico statunitense è caratterizzata da una produzione destinata pressoché interamente al mercato nazionale. Secondo i dati di Wood Mackenzie, nel 2023 l’industria solare statunitense ha aggiunto una capacità di generazione elettrica da solare fotovoltaico pari a 32,4 gigawatt (GW), con un aumento del 51% rispetto al 2022, e del 37% rispetto al 2021.
Aggiungiamo i dati recenti SEIA, relativi al primo trimestre 2024 durante cui è entrata in funzione una nuova capacità produttiva di moduli solari pari a 11 GW, che risulta essere trimestre di crescita più grande nella storia americana nel settore della produzione di energia solare.
Sulla necessità strategica legata ai materiali critici, fondamentali per la transizione energetica, gli Stati Uniti da tempo dimostrano una forte attenzione. Già nel 2010, il DoE (Dipartimento di Energia degli Stati Uniti) ha pubblicato la Critical Materials Strategy, focalizzata sui materiali utili per le turbine eoliche, i veicoli elettrici, le celle solari. A questa è seguito, nel 2021, un ordine esecutivo firmato dal Presidente USA, che ha chiesto al governo di effettuare una rivalutazione delle catene di approvvigionamento critiche per gli Stati Uniti.

Intanto, la lista delle materie prime critiche è stata aggiornata nel 2022 da parte del US Geological Survey, vedendo un ampliamento della lista da 35 a 50 minerali. Di questi, 12 sono quelli per la cui produzione il Paese è totalmente dipendente dall’estero, e 31 per i quali la quota di importazioni supera il 50% del fabbisogno nazionale. Nel caso delle terre rare, gli USA sono dipendenti per il 95% dalla Cina, per cobalto e nickel, importano rispettivamente dalla Norvegia (per il 77% del fabbisogno) e dal Canada (per il 56%).
Il DoE ha elaborato una strategia a sostegno delle catene di approvvigionamento nazionali per il decennio 2021-2031: si basa sulla diversificazione delle forniture, sullo sviluppo di alternative e sull’incremento di riutilizzo e riciclo. Oltre alla strategia nazionale, sono stati impostati o sono in agenda diversi accordi per l’approvvigionamento delle materie critiche necessarie.
