Microchip: tra ambizioni e realtà, l’UE è in ritardo

L’UE si è data l’obiettivo di arrivare a produrre in Europa il 20% dei microchip mondiali. La Corte dei Conti Europea afferma che sarà molto improbabile, fissando un obiettivo pari a poco più della metà. Lo spiega in una relazione speciale, motivando lacune, punti critici e raccomandazioni. Tra queste ultime, occorre promuovere un Chips Act 2.0, su cui stanno lavorando vari Paesi, tra cui l’Italia
Mercato dei microchip fondamentale per la transizione energetica

L’Europa dei microchip è in ritardo nella corsa mondiale, per quanto siano stati fatti progressi in termini di produzione. Lo fa notare la Corte dei Conti Europea, in una relazione speciale, dedicata alla strategia dell’UE in materia di microchip, in cui rileva “debolezze nella preparazione, nell’attuazione e nel monitoraggio della stessa”.

Quale obiettivo generale del pacchetto del Chips Act, la Commissione Europea ha adottato quello fissato per il Digital Decade: il 20% della produzione mondiale di microchip all’avanguardia e sostenibili deve essere made in UE. Malgrado la crescita negli anni e l’azione di stimolo del Chips Act verso il settore, la Corte ritiene “molto improbabile” che la strategia permetta di conseguire, entro il 2030, l’obiettivo “estremamente ambizioso” fissato nel quadro del Digital Decade. Stima che si raggiungerà solo l’11,7 % al 2030.

Microchip, DNA della tecnologia

I microchip sono minuscoli dispositivi elettronici fabbricati con una base di materiali semiconduttori, generalmente silicio, contenenti circuiti e componenti elettronici incisi o stampati.

Denominati anche chip o semiconduttori, si trovano ovunque nelle soluzioni hi-tech della vita quotidiana. Per questo sono considerati il DNA della tecnologia moderna: un solo smartphone ne contiene circa 160.

Si tratta di soluzioni essenziali tanto per l’industria automobilistica quanto per la sfera sanitaria, svolgendo un ruolo fondamentale per l’energia, la difesa, la mobilità e i sistemi di comunicazione.

Il mercato dei microchip, dal punto di vista industriale, ha registrato un 2024 solido, con una crescita prevista del 19% e un fatturato di 627 miliardi di dollari per l’anno (Fonte: World Semiconductor Trade Statistics). Il 2025 potrebbe essere ancora migliore, con un fatturato previsto di 697 miliardi di dollari. Deloitte, nel 2025 Global semiconductor Industry outlook, stima che il settore raggiungerà un nuovo massimo storico ed è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo ambizioso – e ampiamente accettato – di mille miliardi di dollari in vendite di chip entro il 2030, grazie al traino degli chip AI.

Sempre in termini di mercato, l’Unione Europea è indietro rispetto a Cina, Sud Corea, Taiwan, Giappone e Stati Uniti, con una quota di mercato, a livello globale, del 9%.

Produzione di Microchip suddivisa per capacità produttiva

Sarà difficile competere a livello globale, specie con Cina e USA, in molti settori tecnologici, non potendo contare su una quantità adeguata di microchip e dovendo dipendere da altri Paesi. Nel 2021, con i siti di produzione dell’UE operanti a pieno regime, il disavanzo commerciale dell’UE nel settore dei microchip ammontava a quasi 20 miliardi di euro.

Le lacune del Chips Act

Torniamo alla relazione della Corte dei Conti UE e all’obiettivo del 20%, fissato dal Chips Act. La Corte dei Conti lo ritiene “eccessivamente ottimista”, tenuto conto della limitatezza del mandato e delle risorse della Commissione, nonché del fatto che il successo della strategia dipende in larga misura dall’azione degli Stati membri, dagli investimenti del settore privato e da altri fattori quali i costi dell’energia.

Quali sono i motivi che hanno portato a tale sopravvalutazione? Secondo l’ente che funge da revisore esterno dell’Unione Europea, il Chips Act è stato preparato in situazione d’urgenza. Questo ha conseguito alcuni difetti procedurali, primo dei quali è non aver seguito le procedure generalmente applicate nell’elaborazione legislativa, come la valutazione delle strategie precedenti e un’analisi dell’impatto della proposta.

“L’assenza di un’analisi completa dei motivi per cui la strategia del 2013 non ha raggiunto i propri obiettivi e la conseguente incapacità di trarre insegnamenti dall’esperienza potrebbero esporre il Chips Act agli stessi identici problemi”, rilevano gli autori della relazione, evidenziando che tale pacchetto manca di chiarezza per quanto riguarda i valori-obiettivo perseguiti e il monitoraggio. Senza una valutazione d’impatto completa, è difficile stabilire se la misura di stimolo per il futuro dei microchip made in UE tenga sufficientemente in considerazione le necessità dell’industria.

Investimenti, obiettivi e informazioni: i punti deboli

Il Chips Act ha annunciato investimenti totali per almeno 43 miliardi di euro finalizzati a sviluppare l’industria dei microchip e in grado di attrarre e mobilitare ulteriori investimenti privati attesi di importo equivalente. Tuttavia, la maggior parte di questi fondi è costituita da risorse proprie del settore o dai bilanci degli Stati membri. La Commissione contribuisce solo per una piccola parte dell’importo totale, quantificato nel 10% circa dei finanziamenti pubblici, si legge nella relazione speciale.

Una lacuna evidenziata dalla Corte dei Conti riguarda la stessa posizione della Commissione Europea, che non dispone di mandato per coordinare gli investimenti nazionali a livello dell’UE affinché questi siano allineati agli obiettivi del Chips Act. Essa dispone solo di “informazioni parziali” sui finanziamenti totali che il settore riceve e utilizza, il che riduce la sua capacità di monitorare la situazione e di individuare lacune e sovrapposizioni. I finanziamenti associati al pacchetto potrebbero non essere sufficienti a sostenere e stimolare gli investimenti di cui l’industria ha bisogno per aumentare la quota di mercato dell’UE. Da qui si spiega l’incapacità di raggiungere l’ambizioso obiettivo del 20%.

C’è un altro elemento di debolezza, evidenziato dalla Corte dei Conti UE. Il settore è caratterizzato da “un numero relativamente esiguo di grandi imprese che intraprendono progetti di valore elevato”. Questo si traduce in una concentrazione dei finanziamenti, ma soprattutto nel rischio che la cancellazione, il ritardo o il fallimento di un solo progetto possono avere un’incidenza complessiva sensibile.

Raccomandazioni alla Commissione UE

La relazione speciale non manca di proporre delle raccomandazioni alla Commissione UE. Ne elenca due, in particolare. Innanzitutto, consiglia di fare urgentemente il punto della situazione sul Chips Act e di adottare le necessarie misure correttive a breve termine, in ogni caso entro l’anno in corso. Per il 2026 la stessa Commissione, in stretta cooperazione con gli Stati membri e con l’industria, dovrebbe iniziare ad elaborare la prossima strategia in materia di semiconduttori.

Per cercare di far progredire l’industria europea dei microchip sono già avvenuti incontri per arrivare a delineare il futuro Chips Act 2.0, sul quale la Commissione Europea si è impegnata a lavorare con l’obiettivo di adottarlo entro il 2026. Esso è chiamato a proporre una serie di azioni concrete per rendere più competitive le imprese del settore.

Il ruolo dell’Italia nel rilancio dell’industria europea dei microchip

L’Italia intende essere parte di quella “Coalizione dei Volenterosi” sui semiconduttori, alleanza strategica tra Stati Membri che – spiega il Ministero delle imprese e del made in Italy – si pone l’obiettivo di rafforzare l’industria europea dei chip e promuovere un nuovo approccio comune per la competitività del settore. Lo fa considerando il valore che ha il comparto dei microchip, parte del settore della microelettronica, in cui il nostro Paese ha registrato nel 2023 un volume d’affari di oltre 7 miliardi di euro, di cui circa 1,4 miliardi di euro generati dal comparto dei semiconduttori (Fonte: ANIE).

La volontà di porre le basi per uno sviluppo dell’industria dei microchip c’è. Lo scorso aprile si è tenuto, nella sede del MIMIT, il primo tavolo plenario sul piano industriale di STMicroelectronics. Nell’occasione, la società ha ribadito l’intenzione di destinare già nel primo triennio 2025-2027 la maggior parte degli investimenti al nostro Paese: si tratta di una cifra complessiva di 4 miliardi su un totale di 6,5 miliardi a livello europeo, con 2,6 miliardi destinati al sito di Catania in termini di singolo investimento. Il polo siciliano promette di essere il più significativo in Europa per la produzione di carburo di silicio (SiC) da 200 millimetri con ciclo verticale integrato. SiC è un materiale semiconduttore utilizzato nella produzione di wafer, che servono come base per microchip ad alta potenza.

A questi investimenti vanno aggiunti anche quelli di Silicon Box, da 1,3 miliardi di euro, annunciati a fine 2024 per sostenere la realizzazione della prima fabbrica europea della stessa azienda, che sorgerà a Novara, per cui sono previsti investimenti complessivi per 3,2 miliardi.

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Andrea Ballocchi

Giornalista freelance, si occupa da anni di tematiche legate alle energie rinnovabili ed efficienza energetica, edilizia e in generale a tutto quanto è legato al concetto di sostenibilità. Autore del libro “Una vita da gregario” (La Memoria del Mondo editrice, prefazione di Vincenzo Nibali) e di un manuale “manutenzione della bicicletta”, edito da Giunti/Demetra.
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