Impianti rinnovabili, la burocrazia è un macigno sulla strada dello sviluppo

Secondo lo studio di Elettricità Futura, i ritardi medi nel nostro paese raggiungono quasi i sei anni, da aggiungere ai due anni previsti dalla legislazione
La crescita degli impianti rinnovabili è frenata dalla burocrazia

Fra le cose che, come poche altre, uniscono gli italiani c’è il lamento contro la burocrazia, con tutte le complicazioni, gli ostacoli e i ritardi che essa comporta. Lasciamo perdere la scontata obiezione che stiamo parlando di una sciagura che ci siamo costruiti noi stessi, in questa sede è importante sottolineare come la burocrazia impatta, e non poco, anche sul settore delle rinnovabili. Esattamente ciò che sottolinea il recente studio “Il disegno del sistema autorizzativo per decarbonizzare e rilanciare gli investimenti”, presentato Elettricità Futura, associazione delle imprese elettriche italiane, e realizzato in collaborazione con Althesys.

A rischio i target della decarbonizzazione

Un’indagine la cui conclusione principale, ma sarebbe meglio parlare di allarme, è che il nostro Paese è in ritardo rispetto al target di decarbonizzazione fissato al 2030, un obiettivo che, ai ritmi attuali di realizzazione delle rinnovabili, non potrà essere raggiunto. Tra le principali ragioni di questa situazione vi sono, appunto, le complessità e la durata eccessiva dei processi autorizzativi che hanno frenato o addirittura bloccato molti progetti.

Lo studio di Elettricità Futura indica, come esempio più recente, gli ultimi esiti deludenti delle aste ex D.M. FER 1. È vero che la nuova Direttiva europea Rinnovabili, che dovrà essere recepita in questi mesi, stabilisce il rispetto del limite di due anni per le procedure degli impianti rinnovabili. La realtà, però, è ben diversa ed anche il D.L. “Semplificazioni”, in vigore da luglio 2020, pur avendo consentito di fare un passo avanti si è rivelato largamente insufficiente per sbloccare gli investimenti necessari nel settore delle rinnovabili.

Non realizzato il 46% dei progetti presentati

L’indagine sottolinea che il ritardo medio delle autorizzazioni nel nostro Paese raggiunge quasi i 6 anni, che si vanno ad aggiungere ai 2 anni, come detto, previsti dalla legge. Anche per questo le imprese italiane sostengono i costi più alti d’Europa per ottenere l’autorizzazione di un impianto rinnovabile. Un contesto nel quale finisce col non sorprendere che il 46% dei progetti presentati non viene poi realizzato.

le tempistiche della burocrazia italiana per rinnovabili

E per non farci mancare nulla riportiamo il dettaglio dello studio di Elettricità Futura relativo alla burocrazia e alle varie fasi della procedura autorizzativa, con relativi ritardi, per la creazione di un impianto rinnovabile.

Burocrazia: le fasi autorizzative per le rinnovabili

1) Valutazione preliminare – Si tratta del cosiddetto “pre-screening” VIA. Il proponente ha la facoltà di richiedere la valutazione preliminare del progetto al fine di identificare la procedura più adatta da avviare.

2) Verifica di assoggettabilità – Lo screening VIA che permette di valutare i potenziali impatti del progetto. Nella prassi spesso non si affianca ma segue la richiesta di un preventivo per la connessione alla rete.

3) PUA – Nel caso di impianto di competenza statale, se lo screening indica la necessità di VIA, il proponente la richiede per ottenere il Provvedimento Unico Ambientale. I tempi variano tra i 325 e i 505 giorni. In caso diverso, si passa direttamente all’Autorizzazione Unica (Regione).

4) PAUR – Nel caso di competenza regionale, si chiede un Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale. Come il PUA, contiene sia la VIA positiva, sia i restanti titoli ambientali. Ha tempi tra i 235 e i 385 giorni.

5) Concessioni – Gli impianti offshore e idroelettrici necessitano di una concessione. Questo aspetto, non espressamente incluso nell’iter autorizzativo unico, contribuisce a sua volta ad allungare le tempistiche.

Il tutto senza dimenticare che in parallelo all’iter per ottenere tutti i permessi necessari si svolge anche la procedura per la connessione alla rete di trasmissione o di distribuzione, con ulteriori rischi di complicazioni e ritardi.

Sono in gioco 100 miliardi di euro

Insomma, un’autentica giungla burocratica che necessita tuttora di un radicale “disboscamento”, pena il mancato raggiungimento degli obiettivi del Green Deal che, sottolinea l’indagine, avrebbe “impatti molto negativi sul sistema energetico ed economico italiano, in termini di competitività delle imprese, qualità della vita, oneri per i consumatori, oltre che sull’ambiente e sulla salute”. Lo studio, infatti, quantifica in circa 100 miliardi di euro il valore dei benefici a rischio al 2030, dati dall’insieme di ricadute dirette in Italia degli investimenti, dagli effetti netti sul sistema economico e dalla riduzione delle emissioni.

Scenario Green Deal

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Marco Ventimiglia

Giornalista professionista ed esperto di tecnologia. Da molti anni redattore economico e finanziario de l'Unità, ha curato il Canale Tecnologia sul sito de l'Unità
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