
Le emissioni antropogeniche, ovvero le emissioni causate dalle attività umane, stanno modificando le condizioni meteorologiche in tutto il mondo. E le condizioni meteo modificate a loro volta incidono sulle attività umane che provocano le emissioni… È una sorta di circolo, quello di cui si occupa un recente articolo pubblicato sul sito di BloombergNEF dedicato alla filiera energetica, anche se purtroppo non lo si può certo definire come un circolo virtuoso. Anzi, l’aggettivo da utilizzare ha la valenza opposta: un circolo vizioso che minaccia di avere delle conseguenze sempre più catastrofiche.
In particolare, l’articolo, firmato da Willa Tobin analista meteo di BloombergNEF, si occupa della correlazione fra eventi meteo estremi e la filiera energetica negli Stati Uniti. Ma risulta di estrema attualità anche per il nostro Paese, che concentra nel suo piccolo territorio buona parte delle peculiarità geografiche ed economiche che caratterizzano il Nord America.
“Le condizioni meteorologiche quotidiane – si legge – incidono sulle esigenze di riscaldamento e raffreddamento. Gli eventi meteorologici estremi possono interrompere le infrastrutture e causare picchi di domanda di energia. In sintesi, il cambiamento del meteo può sbilanciare i mercati delle materie prime, ingarbugliare le catene di fornitura e distorcere i prezzi delle materie prime energetiche”.
Partendo da queste premesse, nell’articolo vengono indicate cinque delle principali conseguenze di questi cambiamenti climatici, effetti che si stanno già manifestando negli Stati Uniti sui mercati dell’energia e delle materie prime:
Per quanto riguarda il primo punto, le temperature invernali negli Stati Uniti sono aumentate del 2% negli ultimi 10 anni rispetto ai livelli del 1990-1999. Ciò riduce la domanda totale di riscaldamento residenziale e commerciale, portando a livelli di stoccaggio di gas naturale più elevati e prezzi del gas naturale più bassi.
Nel dettaglio, uno spostamento di un grado Fahrenheit nelle temperature medie invernali può ridurre i prelievi di gas annuali fino al 6%. Dunque, man mano che gli inverni diventano più miti, la necessità di scorte di gas più grandi diminuisce, spingendo le utility a ridefinire i volumi di stoccaggio e spingendo i produttori di gas a rivolgersi alle esportazioni come fonte di reddito.
In relazione alle estati sempre più calde nel continente americano, nell’articolo si spiega che i giorni con una temperatura al di sopra dei 18.5 gradi Celsius sono aumentati del 17% rispetto alla media registrata nel 1990-1999, mentre l’estate del 2024 è stata la più calda mai registrata.
“Il caldo estivo – si legge – è pericoloso per le reti elettriche: quando le persone accendono i condizionatori, la domanda di energia aumenta vertiginosamente, stressando la rete e aumentando il rischio di blackout. Inoltre, aumenta il ricorso ai combustibili fossili, necessari per integrare la generazione da fonti rinnovabili intermittenti, e questo provoca un’inversione a U nella transizione energetica”.
Un’altra conseguenza del cambiamento meteo è l’estendersi dei periodi di siccità con il conseguente calo della produzione idroelettrica. Le precipitazioni estive per il Nord-Ovest degli USA sono diminuite del 26%, confrontando la media degli ultimi 10 anni (2014-2023) con quella degli anni ’90 (1990-1999). Questo è un problema per l’agricoltura ma anche per l’approvvigionamento energetico della regione, che è dominato da impianti idroelettrici.
“Quando la pioggia è scarsa, i bacini idrici fanno affidamento sullo scioglimento della neve per mantenere livelli d’acqua robusti. Ma anche le precipitazioni nevose nella regione stanno diminuendo costantemente, con un calo medio annuale dello 0,6% dal 2000. Se questa tendenza continua, il Nord-Ovest potrebbe vedere una diminuzione della produzione idroelettrica, con un impatto sul business delle utility e dei produttori di energia indipendenti”.
Siccità significa anche aumento degli incendi boschivi e della loro intensità, con l’area bruciata annua che negli USA è più che raddoppiata rispetto alla media del 1990-1999. “Gli Stati Uniti occidentali hanno assistito a un picco particolarmente elevato nei danni correlati agli incendi boschivi, con il Sud-Ovest che ha aggiunto annualmente giorni con incendi rilevanti durante l’ultimo mezzo secolo”.
Anche le temperature degli incendi stanno aumentando negli Stati Uniti, e ciò li sta rendendo più pericolosi per le persone e le infrastrutture. E così le aziende di servizi con linee elettriche presenti in regioni soggette a incendi devono sempre più tenere conto di questi rischi mentre costruiscono le loro reti, che necessitano quindi di maggiore resilienza.
Infine, ci sono le drammatiche conseguenze del cambiamento climatico sugli uragani che colpiscono periodicamente gli Stati Uniti. “Gli uragani del Nord Atlantico – viene spiegato nell’articolo – sono gli eventi meteorologici estremi più costosi per gli USA, accumulando danni per oltre 1,3 trilioni di dollari dal 1980. E gli uragani rappresentano anche un rischio enorme per la produzione di petrolio e gas offshore nel Golfo del Messico”.

Al riguardo, la maggior parte dei principali cali nella produzione di combustibili fossili nella regione del Golfo del Messico corrisponde a dei devastanti uragani verificatisi a partire dal 1990. E attualmente sempre più tempeste nel bacino del Nord Atlantico stanno raggiungendo la forza di un uragano importante, con gli scienziati convinti che l’intensità degli uragani aumenterà ulteriormente insieme al riscaldamento globale.