Auto elettriche in Italia: a che punto siamo?

Come si prospetta il futuro delle auto elettriche in Italia? Qual è il quadro dell’attuale mercato? Cosa accadrà sul fronte delle infrastrutture di ricarica per uso domestico? Sono alcuni dei temi affrontati nei talk digitali che si sono tenuti venerdì 29 gennaio nell’ambito del Klimamobility Congress, appuntamento dedicato alla mobilità sostenibile. Analizziamo i punti essenziali di quanto discusso rispetto al presente e al futuro della mobilità elettrica nel nostro paese.

Il 2021 sarà l’anno del boom delle auto elettriche?

I talk hanno preso avvio da questa domanda chiave, con interventi di Roberto Scarabel, Vicepresidente vicario di AsConAuto-Associazione Consorzi Concessionari Auto, Gian Luca Pellegrini, Direttore di “Quattroruote” e Roberto Olivi, P.R. BMW Italia.

Nonostante la crisi riscontrata nel settore automotive come conseguenza dell’emergenza legata al Covid-19, nel 2020 il mercato della mobilità elettrica ha conosciuto cifre importanti. Nell’anno appena trascorso, nel nostro paese sono state immatricolate 32.538 auto elettriche, con un grosso aumento di vendite rispetto al 2019.

Si stima che proprio nel 2021 si inizieranno a riscontrare delle cifre significative, con un’ipotesi di 100 mila auto elettriche vendute e una quota di mercato pari al 7-8%. Si tratta di una stima attendibile?

Con ogni probabilità questa ipotesi è fondata. Esistono infatti condizioni idonee per poter raggiungere le 100 mila unità, in considerazione di una serie di fattori convergenti. Nel 2021 le case automobilistiche presenteranno diversi nuovi modelli che amplieranno di molto le opportunità di scelta da parte dei consumatori. Congiuntamente, proseguiranno gli incentivi statali, offrendo un ulteriore stimolo nella scelta di acquisto di una vettura elettrica pura.

L’italiano è ancora scettico nei confronti della mobilità elettrica?

Il 2021 sarà presumibilmente l’anno della svolta. L’andamento del mercato si muoverà di pari passo con gli sviluppi della pandemia. Si riscontra tuttavia fin da ora una maggiore predisposizione da parte degli italiani nei confronti dell’auto elettrica. Propensione legata non solo alla possibilità di accedere agli incentivi e alla maggiore disponibilità di modelli di vetture, ma anche a una crescente consapevolezza sul tema della decarbonizzazione.

Per avere una visione più definita sull’andamento del mercato dell’elettrico, occorrerà comunque attendere la fine dell’accesso agli incentivi. Solo a quel punto si riuscirà a capire se il mercato elettrico è già sufficientemente maturo per muoversi in maniera indipendente.

Il mercato è davvero maturo per le auto elettriche?

Per poter fornire una risposta certa al quesito, occorre quindi attendere l’evoluzione del mercato. Nel contempo, sta emergendo con chiarezza la crescente importanza del ciclo e del processo virtuoso che porta alla produzione delle auto elettriche. La scelta più appropriata da parte delle case automobilistiche è di lavorare in modalità olistica, per far sì che l’intera catena produttiva risulti effettivamente green, riuscendo a fornire tecnologie pulite capaci di rispondere alle esigenze dei clienti.

Come cambia il modo di comunicare l’auto

Si riscontra anche un cambiamento nel comunicare l’auto elettrica rispetto alle vetture tradizionali. Sotto il profilo comunicativo diviene sempre più strategico l’ambito digitale, anche per coltivare la relazione con il cliente nella fase post-vendita.

Lo stesso percorso d’acquisto si basa sempre di più su un approccio omnicanale. I consumatori vanno alla ricerca di informazioni muovendosi tra i canali digitali. Per aiutare il cliente nella scelta d’acquisto finale, resta tuttavia fondamentale anche il ruolo dei professionisti che lavorano in concessionaria. A oggi permane quindi un dialogo costante tra analogico e digitale.

Il quadro della ricarica domestica in Italia tra ostacoli e prospettive

colonnina di ricarica elettricaLa grande novità introdotta dalle auto elettriche si riscontra nel fatto che questi veicoli possono essere ricaricati anche a casa, a qualsiasi ora del giorno, notte inclusa, senza dover necessariamente recarsi dal benzinaio e per di più a prezzi convenienti.

La casa sta quindi diventando un elemento centrale per rifornire l’auto elettrica: i due sistemi, l’abitazione e la batteria della vettura, “dialogano” direttamente e, all’occorrenza, l’una cede energia all’altra. Un sistema virtuoso che sta prendendo piede in tutto il mondo e che deve però passare attraverso alcuni semplici accorgimenti tecnici. In occasione del Klimamobility, hanno discusso di questi temi Massimo Minighini, Responsabile Business & Product Development Neogy, Camillo Piazza, Presidente di Class Onlus, associazione attiva da anni in questo ambito, e Marco Grego di ecarico.it.

Diffusione della ricarica domestica: ci sono ancora ostacoli?

Il tema della ricarica a casa è l’elemento che discrimina principalmente e fondamentalmente la mobilità elettrica rispetto a quella tradizionale. La possibilità di avere a disposizione delle infrastrutture di ricarica domestica costituisce di fatto l’aspetto cruciale che permetterà di fare diventare l’auto elettrica un fenomeno di massa.

Oggi come oggi si riscontrano molte difficoltà nella realizzazione e nella diffusione su larga scala delle ricarica domestica. Esistono essenzialmente due tipologie di contesti:

Sono due modelli che presentano delle peculiarità, delle difficoltà e delle esigenze di mercato completamente diverse tra loro, su cui le varie realtà imprenditoriali coinvolte nel processo di elettrificazione si stanno cimentando. Si è infatti intuito come la ricarica domestica rappresenti l’elemento di svolta nella piena diffusione della mobilità elettrica.

Rispetto alla ricarica singola nel box auto si riscontrano attualmente svariate difficoltà tecniche da superare, tra cui:

A che punto siamo a livello normativo?

Il nodo principale da risolvere è quello relativo alla sicurezza. Per poter realizzare una ricarica a uso domestico occorre ovviamente rispettare delle specifiche normative. In linea generale, il contesto appare comunque positivo grazie all’opportunità di poter effettuare le installazioni di colonnine elettriche usufruendo del Superbonus del 110% introdotto nel Decreto Rilancio.

La resistenza dei condomini

Un condominio dotato di colonnine elettriche accresce il suo valore economico. Ciò nonostante, permangono delle resistenze da parte dei condomini nel momento in cui occorre procedere con l’installazione di ricariche domestiche. Il timore principale è relativo alla suddivisione dei costi necessari per la ricarica. Alcuni condomini temono infatti di dover pagare per ricariche di cui non usufruiscono personalmente o di cui usufruiscono in maniera marginale.

Per oltrepassare l’ostacolo della ripartizione dei consumi si stanno tuttavia mettendo in atto specifiche soluzioni, come contatori elettrici dedicati, che consentono a ciascun condomine di pagare la quota di corrente effettivamente usata per la ricarica della propria vettura.

Ulteriori problematiche che frenano lo sviluppo delle auto elettriche

Un punto cruciale nella diffusione della ricarica domestica è rappresentato dalla reale disponibilità di potenza elettrica. A oggi le città non sono ancora pronte sotto questo punto di vista. Si sta infatti procedendo con l’elettrificazione dei punti di ricarica in strada ma nessuno si sta occupando di fornire corrente sufficiente ai condomini.

Tra le maggiori sfide da affrontare rientra perciò la necessità di diffondere sistemi di ricarica adeguati che permettano al cliente domestico di non dover subire scatti intempestivi del proprio limitatore di potenza.

Allo stato attuale delle cose, quindi, il cliente necessita di un sistema semplice che gli consenta di caricare a basso costo e senza problematiche riguardanti la potenza.

Si tratta di punti fondamentali su cui è necessario lavorare per poter creare un modello di business che risulti appetibile nel mercato.

Per ciò che riguarda la diffusione della ricarica condominiale, accanto alla problematica della ripartizione dei consumi tra gli abitanti dello stabile, si configura infine un ulteriore scoglio da oltrepassare, ovvero l’occupazione abusiva degli stalli. Insieme alla sfida tecnologica occorre perciò fronteggiarsi con una sfida di tipo comportamentale.

Climatizzazione connessa e risparmio energetico? In azienda si può

La ricerca del comfort ideale parte dalla centrale termica e attraversa i vantaggi della climatizzazione connessa. Ecco il viaggio efficiente della realtà padovana Rea Robotics, che ha scelto di ottimizzare il proprio impianto di riscaldamento e raffrescamento e di associarlo al controllo smart della temperatura sia negli uffici sia nei capannoni di produzione. Il tutto, affidandosi all’esperienza di Trevisan Impianti e alle tecnologie Watts.

Risultato? Comfort ambientale efficace e risparmio energetico importante.

Climatizzazione connessa: il segreto è nel circuito

In una realtà come Rea Robotics, che si occupa da 30 anni di automazione industriale, innovazione ed efficienza sono già parole di uso “quotidiano”. Per vincere la sfida digitale legata alla climatizzazione, i manager dell’azienda di Veggiano (PD) hanno puntato sul sistema Watts Vision e sull’implementazione di una centrale termica più efficiente e sostenibile.

Quest’ultima rappresenta il cuore dell’impianto di riscaldamento. Era dunque fondamentale inserire prodotti che assicurassero affidabilità, sicurezza e gestione smart. La soluzione ospita gruppi di rilancio Serie PASM DN50 e DN32, Flowbox HK e HKW50, separatore idraulico e defangatore.

Climatizzazione connessa e ottimizzazione della centrale termicaCome funziona la centrale termica

I gruppi di rilancio e miscelazione, in particolare, garantiscono al sistema la circolazione dell’acqua in modo diretto. Questo fa sì che il liquido circoli secondo le esigenze impostate dal termostato. La Serie PASM, inoltre, regola la temperatura di mandata del fluido nel circuito secondario in funzione di un segnale esterno, grazie alla valvola miscelatrice a 3 vie a sua volta azionata da un attuatore elettronico modulante a 3 punti.

Completano l’installazione:

Più comfort con la climatizzazione connessa

Passando invece alla termoregolazione intelligente, il sistema Watts Vision garantisce il controllo centralizzato di tutti i dispositivi senza vincoli materiali, sfruttando la connessione Wi-Fi aziendale. I progettisti hanno scelto questa soluzione per il design compatto e per la flessibilità, che la rende capace di gestire la temperatura dei singoli ambienti indipendentemente dal tipo di impianto.

Climatizzazione connessa con Watts VisionL’unità centrale Serie BT-CT02 RF, dotata di un touch screen capacitivo a colori ad alta risoluzione 4,3”, permette il controllo in radio frequenza degli 11 termostati Serie BT-D03 RF e dei 15 ricevitori Serie BT-WR02 RF che controllano i fan coil degli uffici e della produzione.

Cosa pensano gli installatori

Gli imprevisti, nel settore impiantistico, sono all’ordine del giorno. Quello che conta è poterli risolvere senza allungare i tempi di consegna e aumentare i costi. Per questo i professionisti di Trevisan Impianti hanno apprezzato la modularità del sistema Watts Vision. Una flessibilità che ha permesso loro di integrare nuovi dispositivi in corso d’opera ed effettuare personalizzazioni nelle fasi successive alla prima installazione, anche dopo l’avvio degli impianti.

Il tutto con la garanzia di offrire al cliente finale continuità di esercizio, rapida manutenzione e bassi costi di gestione.

Industria conciaria: fare moda sostenibile con le tecnologie connesse

Un futuro di qualità, integrazione e moda sostenibile: il pregiato sapere dell’industria conciaria e pellettiera italiana si intreccia con le potenzialità della trasformazione digitale. Opportunità di crescita che superano i primari obiettivi automazione e ottimizzazione de processi. Le esperienze 4.0 conducono infatti le aziende di questo vivace settore verso nuovi traguardi di ecosostenibilità, tracciabilità e, dunque, competitività rispetto alla concorrenza dei Paesi emergenti.

Perché le sfide da vincere sono tante, e riguardano soprattutto la circolarità della filiera e la domanda di prodotti “etici”, frutto di attività artigianali e industriali a basso impatto ambientale. Senza rinunciare, in questa evoluzione della fashion green, alla qualità e all’iconicità della proposta.

Moda sostenibile tra etica e tracciabilità

Cosa significa manifattura conciaria in Italia? Calzatura, pelletteria, abbigliamento, carrozzeria, arredamento: con 1.180 aziende, 4,6 miliardi di euro di valore di produzione e un export da 3,3 miliardi di euro (fonte: UNIC, 2019) il trattamento delle pelli è un modello produttivo made in Italy riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo.

Quadro Economico industria conciaria italiana

Come si compone l’industria conciaria Italiana – Fonte dati economici UNIC 2019

Un’industria sempre al passo con i tempi e con le esigenze delle case di moda, chiamata oggi a fare i conti con il significativo macrotrend della sostenibilità. Dal primo anello della supply chain, l’allevamento, ai processi intermedi di lavorazione delle pelli grezze, fino alla realizzazione di ogni capo di abbigliamento o accessorio, i requisiti green guidano gli acquisti di un’ampia fetta di pubblico.

In risposta, le attività del mondo conciario risultano strettamente connesse alla gestione delle risorse (energia, acqua, sale, prodotti chimici), al recupero degli scarti in ottica di economia circolare, alla tracciabilità della filiera, al benessere dei suoi lavoratori e alla trasparenza delle informazioni relative al ciclo di vita del prodotto. La sfida green viene anche quantificata attraverso appositi indici di performance: il Materials Sustainability Index, che valuta l’impatto ambientale di un brand, e i Carbon e Water Footprint Index, legati agli obiettivi di decarbonizzazione e risparmio idrico.

Tutto questo, naturalmente, ricade sulla catena produttiva e guida l’attuale processo evolutivo dei distretti conciari.

Portare Industria 4.0 nell’industria conciaria

Restare competitivi, garantendo qualità e personalizzazione, senza venire meno alle esigenze della moda sostenibile non è un’operazione semplice. Ma il successo, oggi, sta nell’integrazione di impianti e processi tramite tecnologie digitali e connesse.

Schneider Electric accompagna piccole e grandi realtà del settore verso una gestione aziendale più flessibile, attraverso una molteplice proposta di valore. In particolare, digitalizzare significa ottenere:

Tutto questo è possibile con EcoStuxure, piattaforma integrata di prodotti, soluzioni e servizi che guida la convergenza digitale del settore conciario.
L’architettura scalabile e personalizzabile di EcoStruxure garantisce il monitoraggio in tempo reale dell’intera azienda. Questo grazie all’integrazione di sensori e macchinari intelligenti, realtà aumentata, software e altre tecnologie abilitanti che rispondono alle attuali esigenze tracciabilità ed efficienza lungo tutta la filiera. Si genera così un nuovo modello di manifattura connessa e, tornando al principale macrotrend del conciario italiano, ecosostenibile.

3 livelli di EcoStruxure di Schneider Electric

Digitalizzare la moda sostenibile conviene

Perché investire in tecnologie digitali e realizzare una conceria 4.0? Alla luce delle attuali trasformazioni del mercato, i vantaggi concreti per le aziende non mancano. Partiamo dall’efficienza: l’integrazione impiantistica consente di risparmiare energia, individuare consumi anomali, ridurre i fermi macchina e aumentare la produttività.

In termini di flessibilità operativa, poi, è possibile personalizzare e automatizzare le lavorazioni e controllare da remoto tutti i processi, dalle pelli grezze al prodotto finito.

Altrettanto strategica, infine, la gestione del trattamento delle acque e il monitoraggio degli agenti inquinanti. Aspetti fondamentali, insieme alla tracciabilità, per rispondere alle esigenze delle grandi firme della fashion green.

Per maggiori informazioni sulle opportunità di EcoStruxure dedicati all’industria conciaria, scarica la Brochure dedicata al settore manifatturiero conciario italiano.

Nuovi CPS monofase e trifase da Riello UPS

Riello UPS ha ampliato la propria gamma di prodotti CPS (Central Power Supply – Sistemi di alimentazione centralizzata) con l’aggiunta delle serie CSS Sentryum e CSS Sentinel Tower.

Si tratta di soluzioni nate per garantire l’alimentazione ai sistemi di sicurezza ed emergenza in caso di interruzione della rete elettrica. Sono pensati per quelle installazioni nelle quali è richiesta la conformità alla normativa EN 50171, ovvero quei campi di applicazione in cui è necessario impiegare un sistema CPS al posto di un UPS.
Alcuni esempi di applicazioni nelle quali è necessario impiegare un CPS:

 

Queste soluzioni CPS mantengono tutte le caratteristiche e le prestazioni proprie dei sistemi UPS, alle quali aggiungono tempi di ricarica ridotti, capacità di sovraccarico continuo fino al 120%, equipaggiamento con batterie ad alte prestazioni e vita attesa di almeno 10 anni, struttura meccanica conforme alla normativa EN 60598-1, protezione contro l’inversione delle batterie (errato collegamento) e possibilità di operare secondo tutte le modalità previste dalla norma.

CSS Sentryum

Riello UPS CSS SentryumÈ disponibile nei modelli 6/20 kVA/kW trifase-monofase/monofase e 10/20 kVA/kW trifase/trifase, grazie all’inverter IGBT a tre livelli e all’innovativo controllo digitale, offre un’efficienza complessiva fino al 96,5% in modalità ON LINE.

CSS Sentryum è equipaggiato di serie con dual input, ingresso separato per la rete di soccorso, che permette di effettuare con la massima semplicità e sicurezza le verifiche periodiche obbligatorie di funzionalità e autonomia del sistema.

La configurazione in parallelo, ridondante o di potenza, permette di aumentare ulteriormente l’affidabilità e la disponibilità del sistema, e il funzionamento in parallelo è garantito anche in caso di interruzione di uno dei cavi di segnale grazie al collegamento di tipo Closed Loop.

L’interfaccia utente è affidata a un display touch screen a colori che permette un accesso semplificato ed intuitivo a tutte le informazioni e parametri del CPS.

CSS Sentinel Tower

Riello UPS CSS Sentinel TowerDisponibile nei modelli 3000 e 5000 VA/W con ingresso e uscita monofase, è progettato con circuiti inverter a tre livelli che garantiscono massima protezione dei carichi critici e massima efficienza di esercizio.

CSS Sentinel Tower è dotato di tecnologia ON LINE a doppia conversione di ultima generazione ed è classificato come VFI-SS-111 secondo la norma IEC EN 62040-3.

I modelli CSS Sentinel Tower integrano di serie un’interfaccia a 4 contatti puliti già preconfigurati secondo quanto indicato dalla normativa EN 50171 relativa ai sistemi di emergenza.

Sia CSS Sentryum, sia CSS Sentinel Tower dispongono del sistema di controllo Smart Battery Management, che permette di gestire e monitorare le batterie massimizzandone le prestazioni e il ciclo di vita.

Auto elettriche: la batteria che si ricarica in 5 minuti

La cosiddetta Range Anxiety o “ansia da autonomia” rientra tra i principali ostacoli che a oggi rallentano la piena diffusione delle auto elettriche. Non a caso, in tutto il mondo si stanno studiando delle soluzioni che aiutino a superare questo fastidioso scoglio. Dall’Israele arriva proprio in questi giorni una notizia molto positiva a riguardo.

Come riportato da The Guardian, la società israeliana StoreDot ha ideato una innovativa tecnologia “extreme fast-charging” che permetterà di ricaricare le batterie delle e-car in soli cinque minuti.

Grazie alla scoperta, recuperare l’autonomia del proprio veicolo elettrico diverrà perciò un’operazione immediata come fare un semplice pieno di carburante.

La nuova tecnologia di ricarica ultrarapida

L’azienda israeliana ha già annunciato di avere prodotto i primi mille prototipi di celle che consentono una ricarica completa in soli cinque minuti. In base a quanto puntualizzato da StoreDot, ora le nuove celle saranno usate per assemblare pacchi batterie da testare su autoveicoli elettrici.

L’importante traguardo raggiunto si deve anche a una partnership con la società cinese Eve Energy.

L’innovativa tecnologia introdotta da StoreDot non è pensata esclusivamente per i veicoli elettrici ma anche per altri dispositivi che utilizzano batterie a ioni di litio, come ad esempio gli smartphone e i tablet.

Per poter raggiungere l’ambizioso obiettivo di ricarica completa delle auto elettriche in cinque minuti, la società israeliana ha effettuato delle modifiche sulla struttura della batterie agli ioni di litio. Nello specifico, la tecnologia prevede l’uso di nuovi materiali che vanno a sostituire la grafite con nanoparticelle semi-conduttrici combinate con composti organici capaci di proteggere i materiali durante la ricarica ultrarapida. La modifica permette così di alimentare la batteria con flussi elettrici a elevatissima potenza senza provocare cortocircuiti, surriscaldamenti eccessivi o rischi di incendio.

Gli sviluppi della nuova tecnologia

Attualmente, le nanoparticelle sono basate sul germanio. Nella seconda fase del suo iter di sviluppo, l’azienda israeliana punta però a sostituire il germanio con il silicio, cosa che permetterebbe di ridurre i costi essendo questo materiale decisamente più abbordabile sotto il profilo economico. Con questa ulteriore miglioria, si riuscirebbe a produrre le nuove batterie in massa nel giro di poco tempo, probabilmente entro la fine dell’anno, con costi paragonabili a quelli necessari per le classiche soluzioni agli ioni di litio.

Doron Myersdorf, il CEO di StoreDot, ha commentato con entusiasmo la nuova tecnologia: “Ricaricare una batteria agli ioni di litio in soli cinque minuti veniva considerato impossibile. Non stiamo presentando un prototipo di laboratorio, stiamo presentando dei campioni ingegneristici provenienti da una linea di produzione di massa. Questo dimostra come la tecnologia sia fattibile e pronta dal punto di vista commerciale”.

Dal canto nostro, non possiamo che attendere con interesse gli sviluppi della nuova tecnologia che ha tutte le carte in regola per fornire un’ulteriore spinta alla diffusione su larga scala della mobilità elettrica.

Recovery Plan: “spariscono” 10 miliardi per la riqualificazione degli edifici

Le bozze di un documento si chiamano così proprio per la loro provvisorietà, ciò non toglie che quanto accaduto al capitolo “Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici” contenuto nel Recovery Plan salta inevitabilmente all’occhio. Infatti, fra la prima e la seconda versione c’è addirittura una differenza negativa di più di dieci miliardi relativa alle risorse disponibili per la riqualificazione del nostro patrimonio immobiliare, pubblico e privato.

Il perché della cosa è praticamente impossibile da capire dato che la suddivisione delle risorse (29,35 miliardi) destinate agli interventi sull’edilizia è specificata nella seconda versione mentre è del tutto assente nella prima bozza, quella con 40,1 miliardi di spesa prevista. Una “stranezza” che non passerà inosservata a Bruxelles, considerato che il Recovery Plan altro non è che il documento messo a punto dal governo italiano per l’impiego degli ingenti fondi messi a disposizione dal Recovery Fund europeo.

Dagli edifici un terzo dei consumi di energia in Italia

Nonostante la vistosa sforbiciata, le risorse destinate alla riqualificazione del patrimonio immobiliare restano molto ingenti anche perché l’abbattimento delle emissioni di CO2 non può che passare dalla riduzione dei consumi di energia degli edifici che generano più di un terzo dei consumi totali in Italia. Il Piano del governo sottolinea come “la maggior parte dei 14,5 milioni di edifici del Paese è stata edificata in epoche precedenti alle vigenti normative legate all’efficienza energetica. L’Italia è inoltre esposta a rischi sismici, che richiedono una diffusione capillare degli interventi di prevenzione”.

L’intervento su efficienza energetica e riqualificazione degli edifici si struttura su due linee progettuali. La prima riguarda la realizzazione di un programma di efficientamento e messa in sicurezza del patrimonio edilizio pubblico, con particolare riferimento a scuole, edilizia residenziale pubblica, Comuni e cittadelle giudiziarie. Un contesto dunque vastissimo, per il quale vengono previste risorse pari a 10,84 miliardi di euro.

Risorse riqualificazione degli edifici nel Recovery Plan IT

Sei miliardi e mezzo destinati al settore scolastico

In quest’ambito la parte del leone viene assegnata alla scuola con 6,42 miliardi destinati al risanamento strutturale degli edifici scolastici con il relativo “efficientamento energetico e la digitalizzazione degli ambienti di apprendimento attraverso il cablaggio interno delle scuole, in modo da favorire una progressiva riduzione dei consumi energetici e delle emissioni climalteranti”. Prevista anche la realizzazione di nuove scuole in un’ottica di sostituzione edilizia.

Edilizia residenziale pubblica e privata

La seconda linea progettuale dell’intervento su efficienza energetica e riqualificazione degli edifici riguarda l’edilizia residenziale privata e anche pubblica, quest’ultima intesa come il patrimonio immobiliare dell’Istituto autonomo case popolari (IACP). Un settore per il quale il Recovery Plan indica uno stanziamento complessivo di ben 18,5 miliardi di euro.

Si tratta di un ambito che, nella visione del governo, sarà dominato in buona sostanza dal ricorso al Superbonus, definito come “un incentivo temporaneo per la riqualificazione energetica e l’adeguamento antisismico del patrimonio immobiliare privato, attraverso una detrazione fiscale pari al 110% dei costi sostenuti per gli interventi”.

Riqualificazione degli edifici con il Superbonus

Ed oltre che descrivere i purtroppo complessi meccanismi di funzionamento del Superbonus, il documento ne indica le finalità concrete: “L’obiettivo è di aumentare in modo sostanziale il risparmio annuale generato dagli interventi di riqualificazione energetica. In termini di superficie sottoposta a riqualificazione energetica e sismica, si stimano circa 3 milioni di metri quadri riqualificati per anno, corrispondenti a circa l’1% della superficie complessivamente occupata da edifici residenziali”.

Risco Group semplifica l’interfaccia con RisControl

RisControl di Risco Group è una tastiera touch screen dal design moderno che abilita una migliore esperienza d’uso sia in ambito residenziale che commerciale.

È composta da un display ad alta risoluzione da 8 pollici sul quale trova spazio un’interfaccia intuitiva. Grazie a icone simili a quelle di uno smartphone, l’utente ha infatti la possibilità di controllare lo stato del sistema di sicurezza, inserire o disinserire l’allarme e accedere a video live o alle registrazioni delle telecamere IP VUpoint in tutta semplicità, per il massimo del controllo e della sicurezza.

Inoltre, RisControl consente di personalizzare la visualizzazione fornendo accesso rapido alle funzioni più utilizzate dall’utente ed è integrata nel Cloud di Risco, con cui comunica attraverso la rete wifi. Il collegamento con la centrale avviene, invece, tramite Risco Bus.

RisControl: facile da installare e da usare

Schermata RisControl Risco GroupLa nuova tastiera RisControl permette di personalizzare l’interfaccia con icone ad accesso rapido per controllare con semplicità il sistema di sicurezza, la gestione video e l’automazione domestica.

È progettata per favorire una installazione e un cablaggio semplificati e veloci grazie a una staffa di montaggio e a un connettore rimovibile. Inoltre, RisControl fornisce sicurezza e controllo avanzati consentendo agli utenti di visualizzare facilmente e rapidamente video dal vivo e registrazioni dalle telecamere IP VUpoint e dalla soluzione NVR.

RisControl è supportata dalla versione 1.4 del firmware ProSYS Plus, oltre a essere certificata Grado 3, e sarà a breve rilasciato un firmware per LightSYS che la supporterà. A breve la tastiera consentirà di gestire, grazie all’integrazione con il Cloud Risco, il campanello elettronico con telecamera Doorbell, per permettere all’utente di beneficiare del pieno controllo della propria abitazione o del proprio ufficio, ovunque si trovi, e di interagire con gli ospiti.

Data center e cloud: la fabbrica connessa che verrà

Che ruolo avranno data center e cloud nella trasformazione digitale delle aziende? Dopo un 2020 all’insegna della remotizzazione, ci troviamo di fronte a una rete che cambia, per adattarsi a nuove esigenze di smart working, archiviazione e capacità IT.

Questa necessaria evoluzione infrastrutturale sta dimostrando l’importanza dei data center come fattori abilitanti del cambiamento smart. Ma digitalizzazione fa rima con innovazione: la strada della connettività, secondo gli esperti di Schneider Electric, si percorre solo rispondendo a nuovi requisiti di efficienza, adattabilità e sostenibilità di queste applicazioni.

Quali sfide per data center e cloud?

L’analisi di Steven Carlini, VP del settore Innovazione & Data Center di Schneider Electric, parte dunque dalla certezza che i data center e le reti siano fondamentali per la trasformazione digitale delle imprese. Tuttavia, il rapido aumento delle esigenze di connettività legate a cloud e gestione in remoto ha generato diverse complessità gestionali.

Archiviate le emergenze del primo periodo, è tempo di riflettere su come migliorare le condizioni operative. La domanda sorge spontanea: le infrastrutture attuali sono sufficienti per fronteggiare una crescita esponenziale? “Gli eventi del 2020 hanno reso necessari e pressanti gli aggiornamenti delle capacità IT per adattarsi alle nuove necessità del lavoro a distanza – spiega Carlini -. Nel 2021 l’attenzione sarà concentrata su come innovare le reti di elaborazione dati per ottenere prestazioni più efficienti grazie all’automazione. La trasformazione e l’automazione digitale offrono opportunità enormi per affrontare il presente e accelerare il passo anche negli anni a venire”.

Data center digitali: le tendenze del 2021

Dalla strategia alla pratica: quali tendenze tecnologiche accompagneranno l’accelerazione di fabbriche e aziende connesse? Ecco i driver per una digitalizzazione sicura ed efficace.

L’edge computing sposta i confini

La pandemia ha evidenziato la necessità di riportare a una dimensione locale la produzione di sistemi e dispositivi fondamentali in situazioni di emergenza. Qui, il più grande ostacolo è reperire persone qualificate mantenendo efficienza, qualità e competitività. Il segreto di questo ritorno alla “localizzazione” è nell’automazione. Ovvero nella convergenza digitale tra IT e OT supportata da reti potenti, sicure e flessibili.

Che ruolo hanno Wi-Fi 6 e 5G? Offrono l’affidabilità e la flessibilità necessarie a interconnettere macchine e sensori in tempo reale per ottimizzare la produzione. L’Edge Computing rappresenta l’architettura ideale per raccogliere ed elaborare tutte le informazioni, efficientando i processi aziendali.

Le soluzioni contactless aumentano i dati

In epoca di forzato distanziamento sociale, l’evoluzione del touch-free sfrutterà le tecnologie legate a comandi vocali e riconoscimento facciale con l’analisi video integrata (IVA). Questo tipo di tecnologie video generano molti dati e soprattutto richiedono un’alta definizione che mette a dura prova le infrastrutture IT. Dotarsi di un micro data center local edge può rivelarsi la scelta vincente per affrontare l’enorme mole di dati da elaborare e archiviare.

In orbita con la connettività di rete LEO

I satelliti in orbita terrestre bassa o LEO (Low Earth Orbiting) hanno le carte in regola per diventare la tecnologia di comunicazione del prossimo futuro. Si aprono quindi interessanti possibilità per le implementazioni di data center di Edge Computing che hanno bisogno di una connessione di rete ad alta velocità, soprattutto nelle aree più remote.

Gestire data center e cloud con “mani” diverse

Alla luce di tutto ciò, il cambio di prospettiva per le reti aziendali è evidente. “Nel 2021 sarà importante aggiornare i sistemi DCIM e di IT management per fornire livelli adeguati di visibilità – conclude Carlini -. Questo al fine di implementare sistemi controllabili da remoto o tramite automazione”.

Anche la manutenzione dei data center si sta facendo smart: tante funzioni di aggiornamento vengono già eseguite da robot, e il loro potenziale è destinato a crescere.

Economia circolare in Italia: serve un salto di qualità

Non solo rifiuti: parlare di economia circolare in Italia significa definire una strategia di filiera. Questo perché il riciclo dei materiali a fine vita – valorizzazione energetica compresa – è solo la parte finale di un modello di crescita rigenerativa da rifondare, sostenere, finanziare. Dove conta soprattutto favorire una visione trasversale che interconnetta tutti i player dei settori tecnologici-produttivi coinvolti, verso un nuovo paradigma industriale.

“Si tratta di cambiare radicalmente prospettiva, mantenendo i prodotti il più a lungo possibile nel circuito attraverso l’estensione della loro vita – spiega Davide Chiaroni, Energy & Strategy Group, Politecnico di Milano School of Management -. Obiettivo che richiederà tempo e risorse ben più significativi di quanto messo in campo fino a oggi”.

Economia circolare in Italia: ne parla Davide Chiaroni

Davide Chiaroni, vicedirettore dell’E&S Group e curatore del Report

Perché spingere l’economia circolare in Italia

La svolta, secondo gli analisti, si avrà solo quando le tante “r” dell’economia circolare, in primis i concetti di riuso e rilavorazione, prenderanno il sopravvento negli investimenti sostenibili, scardinando i sistemi di economia lineare. Perché questa direzione? Il problema è globale. Riguarda soprattutto la scarsità delle risorse del pianeta, l’incompatibilità tra crescita della domanda di beni e servizi e capacità di soddisfarla e l’incontrollabile produzione di rifiuti.

Basti pensare che dall’inizio del Novecento a oggi, a fronte di una crescita di 4,5 volte della popolazione, il consumo di risorse naturali è aumentato di ben 12,5 volte. Inoltre, il 54% delle persone vive in aree urbane: secondo le stime dell’ONU, nel 2050 il dato salirà al 64%. Se restiamo nel “business as usual”, il futuro non promette inversioni di tendenza, anzi.

L’Europa finanzia i progetti sostenibili, e noi?

Per fondare un ecosistema economico, produttivo e finanziario sostenibile, serve un adeguato supporto istituzionale. In Europa, gli incentivi non mancano; a livello nazionale, si intravedono movimenti positivi.

Il ricco piano d’azione Ue

Nel marzo 2020, nonostante la pandemia, la Commissione europea ha presentato “Un nuovo piano d’azione per l’Economia Circolare”. L’aggiornamento del piano 2015 prevede un ambizioso programma di integrazione tra filiere circolari che coinvolge operatori economici, consumatori, cittadini e organizzazioni della società civile.

Parliamo di 454 miliardi di euro di fondi strutturali e di investimento per oltre 500 programmi in tutto il continente. Uniti a 183 miliardi (637 in totale) di cofinanziamenti nazionali da parte degli Stati membri, 26 miliardi a carico del bilancio Ue e 7,5 miliardi dall’EIB-European Investment Bank dedicati al fondo europeo per gli investimenti strategici. Non dimentichiamo, infine, i 900 miliardi del Recovery Plan per la transizione ecologica nel prossimo decennio.

Come si muove la politica italiana

I primi segnali italiani vengono dalla Legge di Bilancio 2020. Qui, tra le misure per il Green New Deal, è stato introdotto un fondo per gli investimenti pubblici pari a 4,24 miliardi di euro per il periodo 2020-2023. Tra gli interventi contemplati dalla normativa, anche quelli orientati all’economia circolare.

Con il decreto dell’11 giugno 2020, il MISE ha poi dedicato 157 milioni di euro in finanziamenti agevolati e 62,8 milioni in contributi alla spesa ai nuovi progetti industriali green. Al centro, la sperimentazione di soluzioni innovative per la riconversione delle attività produttive verso un modello circolare. Le cifre non abbondano, ma la strada è quella giusta.

Transizione circolare: requisiti e vantaggi

Utilizzare al meglio tutto questo denaro è certamente una priorità. Ma siamo pronti? Prima di “spendere”, infatti, è importante capire come farlo e cosa si intende realmente per circular economy. La principale differenza con gli altri paradigmi sostenibili sta proprio nell’idea di base. Non contano solo l’efficienza o il taglio delle risorse impiegate: l’economia circolare punta a ridurre – a parità di contenuto – il “prelievo” di risorse dalla natura. Traguardo raggiungibile solo attraverso il recupero e la massima valorizzazione dei materiali in uso.

La Circular Economy non è la panacea di tutti i mali, ma rappresenta la miglior soluzione possibile per ogni settore, ambito di consumo o attore in gioco

I tre concetti della simbiosi industriale

Secondo il report del Politecnico di Milano, il futuro dell’economia circolare in Italia passa da tre parole chiave:

“In questo modo – commenta Chiaroni -, si connettono più filiere che condividono parte delle risorse e ne traggono beneficio, generando la cosiddetta simbiosi industriale. Risulta così possibile sostenere la stessa domanda di beni e servizi utilizzando meno risorse. La vera economia circolare non è una ricetta di austerity, bensì di espansione della domanda”.

La produzione green fa bene a tutti

Cambiare paradigma economico e produttivo non giova solo all’ambiente. Lo confermano le stime della Ellen MacArthur Foundation: nelle filiere Ue dei prodotti complessi di media durata, il cambio di passo può consentire tagli fino a 630 miliardi di dollari nei costi annuali dei materiali. Ancora meglio i beni di largo consumo: il risparmio netto di materiali potrebbe toccare i 700 miliardi di dollari all’anno a livello globale.

I vantaggi riguardano anche il capitale umano, perché la circolarità si è trasformata in potente strumento di innovazione. Gli effetti di un modello industriale così concepito stimoleranno crescita occupazionale e nuovi modi di lavorare. Effetto non meno importante, la resilienza dei sistemi viventi e dell’economia. Il degrado del suolo costa al mondo intero circa 40 miliardi di dollari all’anno. Cifra che non considera i costi nascosti del maggiore uso di fertilizzanti e della perdita di biodiversità.

Economia circolare in Italia: il butterfly diagram

Come far ri-circolare i materiali

Fare economia circolare significa soprattutto mantenere e riutilizzare i materiali che compongono i prodotti, riducendo al minimo gli scarti. In letteratura, si fa riferimento a due principali tipologie di flussi: i cicli biologici e quelli tecnici.

I primi partono da materie prime organiche di origine naturale e sono in grado di ritornare nel loro stato originario (es. le biomasse impiegate per la valorizzazione energetica). Le componenti tecniche, invece, comportano lavorazioni in parte irreversibili, che hanno come ultima opzione il riciclo (es. metalli o plastiche).

Cicli biologici per attività a impatto zero

La strategia dei cicli biologici prevede tre elementi:

Le sei “R” dei cicli tecnici

Per riutilizzare le risorse all’interno di un’economia circolare si può anche ricorrere alla strategia delle R, che caratterizza i cicli tecnici.

I suoi passaggi sono:

Economia circolare in Italia: cosa manca?

Gli investimenti in economia circolare, dunque, generano efficienza produttiva, opportunità di mercato, nuovi modelli di business, possibilità di waste recovery, integrazione di filiere e competenze.

Pratiche ancora troppo lontane dal sistema industriale del nostro Paese. “In Italia non abbiamo un ecosistema circolare di player che spingono intere filiere tecnologico-produttive verso questo nuovo approccio – conclude Chiaroni -. Mancano soprattutto le piattaforme, ossia gli attori deputati a costituire un bilanciamento tra domanda e offerta di prodotti, materiali o risorse, facilitando la circolazione delle risorse all’interno del sistema”. L’assenza di queste figure, salvo casi sporadici e ancora embrionali, rappresenta una limitazione fortissima per lo sviluppo dell’economia circolare in Italia.

Garantire l’alimentazione sui carichi critici, i webinar per i professionisti

Operare nella progettazione delle strutture mediche e dei Data Center significa gestire le problematiche delle applicazioni più critiche in assoluto. Per garantire la continuità di servizio nelle sale operatorie, nelle unità di terapia intensiva o nei grandi Data Center, è fondamentale identificare delle soluzioni appropriate per ogni impianto elettrico, soddisfacendo al contempo i rigorosi requisiti delle norme in vigore.

Per dare risposte concrete a queste necessità, Socomec ha organizzato specifici webinar dedicati all’alimentazione dei carichi critici. Ogni settimana per ciascun evento sono previsti due appuntamenti uguali, così da dare la possibilità a più persone di partecipare in diretta: il martedì alle ore 11:00 e il giovedì alle ore 16:00.

Tutti i webinar sono gratuiti e ai partecipanti verrà inviato l’attestato di frequenza con la documentazione.
Chi fosse impossibilitato a partecipare potrà iscriversi comunque e ricevere successivamente un link per rivedere i webinar on demand e scaricare gli atti degli eventi.

Alimentazione dei locali medici di gruppo 2

Ospedale

A livello normativo come deve essere fatto un quadro per l’alimentazione di un locale di gruppo 2? Perché il mercato si sta orientando verso una soluzione particolare di UPS? Il seminario, in programma martedì 2 e giovedì 4 febbraio, spiegherà quali sono le particolarità a cui fare attenzione quando si progetta o si acquistano soluzioni di questo tipo.

Grandi Data Center

Il mondo dei Data Center oggi è in forte evoluzione e cambiamento: ai grandi Data Center nati nei primi anni Novanta si stanno sempre più affiancando impianti di medie e piccole dimensioni. Al variare delle dimensioni dell’impianto, cambiano anche le soluzioni tecniche che permettono di raggiungere la massima continuità e disponibilità dell’alimentazione. Durante questo webinar, in programma martedì 9 e giovedì 11 febbraio, saranno presentate le soluzioni migliori per i data center di grandi dimensioni.

Medi Data Center

Le ragioni dell’evoluzione nel mondo dei Data Center sono molteplici: IoT, guida autonoma, smart buildings, 5G sono solo alcune delle applicazioni che necessitano di tempi di elaborazione molto veloci e di connessioni a bassa latenza, caratteristiche che è possibile ottenere solo con medie o piccole soluzioni costruite vicino agli utenti che producono i dati da elaborare. Questo webinar si svolgerà martedì 16 e giovedì 18 febbraio.

Piccoli Data Center

Data Center

Con una dimensione cento volte inferiore a quella di un data center tradizionale, anche i componenti dei piccoli Data Center devono essere studiati appositamente per occupare il minor spazio possibile pur garantendo la massima disponibilità. Durante questo webinar, in programma martedì 23 febbraio e giovedì 25 febbraio, saranno presentate le soluzioni che garantiscono la continuità di alimentazione di queste utenze tanto piccole quanto critiche.

Per registrarsi a ciascuno dei quattro webinar è possibile visitare questa pagina e scegliere l’evento di proprio interesse.